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La cripta di San Mauro

 

 

 

 

 

É una delle poche testimonianze di insediamenti cenobitici presenti nel territorio oritano 

 

Sulle colline a Sud del centro abitato di Oria si aprivano molte grotte usate sin dal paleolitico come insediamenti. Intorno al IV – V sec. d. C. esse furono frequentate da eremiti. Una di queste è l’attuale “cripta di San Mauro”. Dal IX sec. fu utilizzata come chiesa rupestre dai monaci Basiliani e successivamente dai Benedettini che la dedicarono a San Mauro.

Esaurito il fenomeno cenobitico, di questa cripta si perse il ricordo finché, nel XVII secolo, se ne ripristinò il culto e la frequentazione grazie alla costruzione di una cappella. Lo storico Domenico Tommaso Albanese (1638 – 1685) riferisce del ritrovamento fortuito della cripta da parte di un giovane pastore e, a seguito di vari miracoli operati dal Santo, della volontà della gente di erigere a proprie spese una chiesetta sulla cripta. Promotore di questa rinascita fu il canonico Lucio Riccardìa, anch’egli miracolosamente guarito da una malattia: fu lui a commissionare la statua in legno tutt’ora venerata nel santuario.

La chiesa fatta edificare tra il 1664 e il 1666 sulla cripta di San Mauro presentava massicce volte di tufo sorrette da mura e ampi pilastri uniti tra loro da archi a tutto sesto. Dove attualmente è situato l’abside del santuario v’era un muro perimetrale al quale era addossato l’altare maggiore e il presbiterio era delimitato da una balaustra in legno. La chiesa venne affidata alla cura del Capitolo che, aldilà dell'obbligo delle celebrazioni, ne riceveva concreti vantaggi economici dai lasciti e dalle offerte dei fedeli; donazioni che dovettero essere considerevoli se, nel 1755, il Capitolo avvertì la necessità di incrementare le dignità capitolari con la creazione di quattro Canonici Mauritani.

 

Con la ristrutturazione, nel 1932, della chiesa alcantarina - risultato dell'ampliamento della precedente cappella -, a seguito del rifacimento del pavimento e del completamento delle due navate laterali, l'accesso alla cripta venne spostato dal centro sotto la prima arcata della navata principale. L’attuale scala si congiunge ai gradini ricavati nella roccia facenti parte della primitiva scala d’accesso.

 

Scavata nella roccia tufacea, la cripta ha un forma rettangolare e si estende in lunghezza per una decina di metri. Sul lato sinistro si trova una fossa, adibita dai Frati Alcantarini ad ossario, e incavati nel muro si snodano alcuni incassi verticali dove venivano inumate le salme dei religiosi.

 

A differenza delle chiese rupestri bizantine, spesso completamente affrescate e decorate, la cripta di San Mauro è grezza, fatta eccezione del lato dove è collocato l'altare. Vi troviamo alcuni dipinti di differente fattura ed incerta paternità e datazione. Al centro v’è l'immagine di San Mauro in abiti abbaziali dorati: la mitria, il pastorale ed il libro della “regola” benedettina. Ai lati della figura la sigla: “S. M.”.

A sinistra l’affresco di una “Madonna della melagrana”: in grembo il Bambino vestito di bianco con al collo un pendaglio di corallo.

A destra una "Madonna con Bambino" vestita di rosso con un velo bianco trapunto di oro e due angeli che le reggono sul capo una corona. L’iconografia è molto simile a quella della Madonna di Costantinopoli: si veda, per esempio l’affresco del XVII sec. del santuario di Balvano (Potenza).

Al lato sinistro un'altra raffigurazione di San Mauro e, a destra, l'immagine del patriarca San Giuseppe.

 

 

La grotta di San Mauro oggi
e in due foto del 4 Giugno1946

 

 

 

San Mauro Abate (VI sec.)

 

Non si hanno notizie precise della sua vita ad eccezione di quanto racconta papa Gregorio Magno (590 - 604) in uno dei suoi dialoghi. Si sa che visse come discepolo di san Benedetto da Norcia e presumibilmente, quando questi lasciò Subiaco per Montecassino, gli successe come abate. A lui sono attribuite gesta prodigiose: l'episodio più noto, riportato anche dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, racconta che quando il monaco Placido cadde in un lago vicino al convento, Benedetto, avendo visto ciò che stava accadendo in una visione, esortò Mauro a correre in aiuto del giovane compagno, ed egli lo salvò camminando sulle acque. Secondo la Vita Mauri attribuita per lungo tempo a Fausto, suo compagno, ma che in realtà fu scritta nel IX secolo da Oddone di Glanfeuil, Mauro fu mandato da San Benedetto a istituire in Gallia la vita monastica. Sarebbe giunto a Glanfeuil, oggi San Maur sur Loire, nella diocesi di Angers. Quivi sarebbe morto il 15 Gennaio del 584. Per questo motivo i religiosi della congregazione benedettina francese, sorta nel 1618, presero il nome di Maurini.

La memoria liturgica di San Mauro si festeggia il 15 Gennaio.

 

 

 

 

La Perdonanza di San Mauro

 

Nel cammino pasquale delle Perdonanze, tradizionali appuntamenti della devozione diocesana di Oria, il IV Giovedì dopo Pasqua vede la festa di San Mauro. Tale celebrazione si tiene nel Santuario di Sant'Antonio, dove vi è la cripta basiliana dedicata appunto a San Mauro.

 

 

 

 

Il corallo e la melagrana

 

Diffuso già durante l'antichità nei paesi del Mediterraneo, il melograno è da sempre collegato ai culti della Dea Madre. Secondo la mitologia greca il primo melograno nasce dalle stille di sangue di Dioniso da cui il frutto trae il colore rosso. I tanti chicchi, evocano inoltre vita, fecondità e abbondanza.

Il melograno è anche presente nell’iconografia cristiana che assume sia l’ancestrale simbolismo che quello ebraico di regalità (ispirata dalla coroncina del frutto). Poiché dotato di grani rossi, simili a goccioline di sangue, prefigura il sacrificio di Cristo. Diventa quindi simbolo di martirio “fecondo”, come il frutto pieno di semi. Inoltre simboleggia l'unità della Chiesa, per i chicchi che stanno tutti uniti nel guscio.

Troviamo il melograno e il suo frutto nella decorazione di abiti e paramenti sacri. Nell’iconografia medioevale e rinascimentale sono Maria e il Bambino a tenere in mano una melagrana come nel quadri della "Madonna della Melagrana" (1480 - 1481) e della “Madonna del Magnificat" (1483 - 1485) entrambi di Sandro Botticelli (Galleria degli Uffizi, Firenze). Nella “Madonna Dreyfus” (1469 ca. o 1475 - 1480 ca.) attribuita a Leonardo da Vinci ma probabilmente di Lorenzo di Credi (National Gallery of Art, Washington) il Bambino in piedi con la manina porge alcuni chicchi alla madre, che lo guarda con un'espressione ambigua, composta ma senza allegria, prefigurando la tragica sorte del figlio.

Nella statua della “Madonna del Granato” di Capaccio (Salerno) è Maria che tiene il frutto nella mano destra come uno scettro e l'evidente somiglianza iconografica tra questa statua e le statuette di Hera ritrovate nei santuari di Paestum - entrambe raffigurate in trono con una melagrana in mano, simbolo di fertilità -, non lasciano dubbi sulla continuità tra culto greco e cristiano.

 

Il corallo è un antichissimo amuleto di valore apotropaico per i neonati, ancora oggi diffuso. Secondo la tradizione pagana i rametti appuntiti infilzavano il malocchio lanciato per invidia. Nella “Madonna Casini” (1426-1427), detta anche "Madonna del solletico", del Masaccio, troviamo il pendente di corallo rosso al collo del Bambino, rivoltato di lato nel gioco. Lo troviamo anche nel quadro della “Madonna di Senigallia” (1470 - 1485) e nella “Pala di Brera” (1472 ca.) di Piero della Francesca. In questi casi, come nella iconografia cristiana in generale, il corallo acquista anche un valore di premonizione della Passione per via del colore rosso-sangue. Infatti veniva usato già nel medioevo per i reliquiari della Croce.   

 

 

 

 

I Basiliani a Oria

 

La cripta di San Mauro si trova nel quartiere di Oria chiamato "Rione San Basilio". Il nome deriva dal Colle di San Basilio (329 - 397), il santo fondatore del più noto ordine monastico greco - bizantino diffusosi dall'Oriente nell'Italia Meridionale, già a partire dal IV secolo.

L’espansione di Basiliani nell’Italia meridionale fu determinata sia nel VII sec. dalla invasione persiana dell’Asia minore che, nell’VIII sec., dalla persecuzione iconoclasta degli imperatori bizantini Leone Isaurico (+ 741), Leone IV (+ 780 c.) e Michele II (+ 857).

 

I Basiliani si stabilirono a Oria nella zona che un tempo ospitava una vasta foresta, la Foresta oritana appunto, ove si trovano tracce della loro presenza in alcune grotte scavate nella roccia - in particolare nei dintorni della chiesa della Madonna della Scala -, nella contrada di San Cosimo (ove sorge l’attuale santuario), nel convento presso Piazza Manfredi, all'interno delle mura di cinta (nel 1286 il monastero basiliano fu incorporato nella più ampia costruzione del convento dei Domenicani, ad opera dei quali, nel XVI secolo, fu costruita l'attuale Chiesa di San Domenico) e in un altro monastero, sotto il titolo di San Gregorio Nazianzeno, nei pressi di Piazza Lama. 

 

Con la conquista di Bari da parte di Roberto il Guiscardo, il 15 Aprile 1071, cadeva la capitale del Catapanato segnando la fine del dominio bizantino sull'Italia meridionale. L'avvento dei Normanni provocò la graduale sostituzione del rito greco con quello latino. Ad Oria il monaco benedettino cassinese Godino, eletto a reggere la Diocesi dal 1085 al 1098, si adoperò in questo senso e molte chiese e cripte dei basiliani passarono in possesso dei benedettini. Con tutta probabilità si deve a questo periodo la sostituzione nella cripta dell'immagine di San Basilio con quella di San Mauro.

 

Oria, chiesa basiliana della "Madonna della scala"

 

 

 

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Ultimo aggiornamento: 27-05-17