3. La formazione professionale nell’opera educativa e sociale di Annibale Maria Di Francia"

 

 

 

L’opera educativa espressa nell’orientamento e avvio al lavoro risale all’origine degli Orfanotrofi Antoniani. Le attività lavorative e l’educazione professionale che vi si tenevano erano concepite da Annibale Di Francia non solo come fonte di sostentamento per gli assisiti, ma anche e so­prattutto come fattore di formazione, auto­disciplina, moralizzazione e come concreta possibilità di riscatto umano, sociale ed economico.

  

 

 

3.1.1 La rivoluzione industriale in Italia

 

Per comprendere appieno l’attività di formazione professionale svolta da Annibale Di Francia e la pedagogia del lavoro ad essa sottesa anche in questa sezione della presente ricerca è necessario percorrere rapidamente  un excursus storico che le contestualizzi storicamente e ne faccia emergere gli elementi di novità ed originalità.

La rivoluzione industriale, rispetto ai paesi del nord Europa, nacque in Italia con forti ritardi e condizionamenti. Al compimento dell'unità nazionale, l'economia italiana era basata su attività agricole di tipo tradizionale. Fino ad allora, la mancanza di unità politica, la carenza di materie prime, di grandi capitali disponibili per gli investimenti necessari e di adeguate infrastrutture avevano ostacolato l’avvio di un apparato industriale moderno.

Inoltre l'inizio dello sviluppo industriale italiano, che interessò solo alcune zone del Paese e non conobbe una diffusione uniforme, avvenne soprattutto nei settori tessile ed alimentare, che non richiedevano tecnologie molto avanzate altresì una forte utilizzazione della «forza – lavoro» e la possibilità di sfruttare forme di energia naturale come quella idrica. Solo in seguito si svilupperanno altri settori, come quello metallurgico, meccanico e chimico, grazie alla svolta impressa dall'utilizzo dell'energia elettrica e dei carburanti fossili nell'industria.

Il processo industriale fu favorito soprattutto – se non esclusivamente – da un complesso di fattori riferibili sia a condizioni economiche locali, a cominciare dal sistema delle comunicazioni, che avvicinò ulteriormente il Piemonte, la Lombardia ed il Veneto ai mercati di sbocco, ma anche a certe scelte politiche fondamentali, che indubbiamente avvantaggiarono tali aree potenzialmente più promettenti e socialmente avanzate a discapito delle altre.  

La nascita del Regno d’Italia aveva creato dunque un Paese unito almeno formalmente. Dal punto di vista socio economico l’Italia divenne un mercato economico unitario, tuttavia le varie aree regionali che facevano parte del nuovo Stato avevano forti differenziazioni economiche e produttive, spesso non complementari, e il processo di unificazione purtroppo non diede vita ad una graduale integrazione economica modernizzando i  mezzi di produzione e allargando i mercati dei settori di produzione di materie prime e artigianali.

Nel Mezzogiorno la ristrettezza economica, la staticità delle strutture burocratiche, il protezionismo e il fiscalismo non agevolarono la formazione di ceti imprenditoriali moderni, come anche non permisero di assimilare e tradurre in atto progetti riformatori: caratteristiche che assunsero forme ancora più gravi ed acute quando il confronto si fece con le aree del Nord e con le leggi dello Stato post - unitario.

La preponderanza del latifondo, della piccola proprietà contadina frammentata e l’arretratezza dei mezzi di produzione, insieme alle spesso sfavorevoli condizioni climatiche e morfologiche del suolo, continuarono a segnare negativamente e per lungo periodo ancora la produzione agricola e manifatturiera meridionale. Inoltre la lontananza dai mercati centroeuropei rese più difficile lo sviluppo del commercio e delle attività produttive.

Al momento dell’unificazione la società meridionale venne dunque incorporata in un sistema più ampio, nel quale erano già presenti i germi di uno sviluppo capitalistico e di un regime liberale. Questi germi di un «altro» modello di sviluppo determinarono più che l’integrazione, la subordinazione economica e politica del Sud nei confronti del resto d'Italia. A questo punto il problema divenne politico, in quanto investiva la responsabilità dell'intera classe politica nazionale, i suoi governi ed il Parlamento. Purtroppo la classe dirigente post-unitaria non solo ignorò, di fatto, il problema del divario sorto con l'unificazione, ma lo accentuò, come nel caso dell'unificazione dei sistemi finanziari e del nuovo sistema tributario, mettendo in crisi l'iniziativa industriale già esistente al Sud.

 

 

  

3.1.2 La «questione sociale» e il prezzo umano del benessere  

 

Quella che dunque cominciava a prendere forma era la cosiddetta «questione meridionale», parte integrante di una più ampia e complessa «questione sociale», che, insieme con gli aspetti positivi e negativi della prima fase della rivoluzione industriale, da quel momento interessò anche l’Italia. Accanto al progresso e ai benefici che la nascita del sistema industriale moderno apportò al Paese, quasi uno scotto da pagare, emersero in tutta la loro drammaticità i risvolti negativi di questa evoluzione economica e sociale: le nascita del proletariato, le condizioni miserabili e disumane degli operai. In una parola, la pressante richiesta di giustizia sociale.

La classe politica dirigente, liberale e in lotta contro il potere temporale della Chiesa, si mostrò impreparata a risolvere i gravi problemi del momento.

I cattolici italiani da parte loro risposero alle istanze della questione sociale tramite un laborioso processo politico e sociale svolto lungo l'Ottocento che ebbe nella enciclica di papa Leone XIII, il punto più alto. Il documento, promulgato il 15 maggio 1891, fu l’enunciazione coraggiosa  della dottrina sociale cristiana applicata ai problemi ed alle questioni emergenti, quali appunto la questione sociale, il diritto alla proprietà privata, il consociativismo operaio, la nascita del socialismo. Tuttavia è da notare che parte del clero, per quieto vivere o per comoda subordinazione al potere, non recepì e attuò le direttive dell’enciclica di Leone XIII ed in pochi si preoccuparono dei problemi sollevati dalla questione sociale[1]. Per contro, invece, sorse una nume­rosissima schiera di cristiani – da Gio­vanni Bosco ad Annibale Maria di Francia, da Luigi Orione a Bartolo Longo e molti altri – che diede battaglia alle brutture ed alle ingiustizie del liberismo e del capitalismo. Senza la pretesa di risolvere la questione sociale, essi diedero vita ad opere ed attività che rappresentavano una soluzione o un rimedio per lo meno temporaneo per tante sventure. Essi chiesero allo Stato di in­tervenire, ma intanto tolsero numerosi giovani e ragazzi dalla strada, dalle fabbriche o dai latifondi per dare loro apprendimento e istruzione: attraverso la scuola e il lavoro li aiutarono a diventare onesti cittadini e buo­ni cristiani.

  

 

 

3.1.3 Le prime scuole pubbliche di formazione professionale dell’era moderna  

 

Nel primo Ottocento, parallelamente all’espansione dell’industrialismo in tutta l’Europa occidentale e negli Stati Uniti d’America, fiorirono le prime scuole di formazione professionale organizzate direttamente dallo Stato o dai governi locali.

Il problema della formazione professionale cominciò a porsi in termini moderni a seguito della rivoluzione industriale, in particolare col diffondersi della meccanizzazione in diversi settori produttivi. Il processo produttivo, frantumandosi in mansioni molteplici e specifiche, rese superflua l’esperienza artigianale. La prontezza di esecuzione e la rapidità della produzione diventarono la risposta efficace alle nuove tendenze del mercato, orientate sulle esigenze di più vaste moltitudini.

Tuttavia quello della formazione professionale non venne ancora avvertito come un problema d'interesse generale. L'attenzione dei governi fu all'inizio del tutto marginale. La legislazione sociale, a partire dalla metà del XIX secolo, si preoccupò quasi esclusivamente delle condizioni del lavoro nelle fabbriche e della tutela dei lavoratori, soprattutto dei minori. L’addestramento degli operai e, più in generale, tutta l'organizzazione del lavoro restavano sotto il controllo esclusivo dell'impresario o di suoi intermediari. Pertanto, là dove l'artigianato non assunse le caratteristiche di vera impresa, persistevano le forme tipiche di preparazione degli artigiani mentre, all'interno delle fabbriche, l’apprendistato continuava a privilegiare la componente addestrativa, lasciando nello sfondo ogni più generale formazione tecnico - culturale.

Diventò urgente e prioritaria l'esigenza di assicurare a tutti, quindi anche ai futuri addetti alle attività produttive, l’alfabetizzazione di base ovvero un’istruzione elementare diffusa – detta anche «popolare» –, che, nelle intenzioni soprattutto delle forze sindacali e politiche più vicine agli interessi degli operai, doveva mirare a promuovere, fra l'altro, la crescita della coscienza dei diritti sociali e politici dei lavoratori.

Tuttavia si rese necessario anche prospettare in termini generali e pubblici il processo di acquisizione di abilità e competenze necessarie al lavoro al fuori dell'ambiente ristretto della bottega o della piccola impresa, quale iter a sé che precede l'inizio dell'attività lavorativa.

Ad organizzare le prime scuole di formazione professionale e di avviamento al lavoro si dedicarono con continuità e impegno associazioni private, enti religiosi, sindacati, comunità locali e infine anche lo Stato.

Per quanto riguarda lo sviluppo dell'istruzione e della formazione professionale in Italia, va anzitutto ricordato che scuole con questa specifica vocazione erano nate già prima della nascita dello Stato unitario.

In Italia il primato cronologico spetta a Torino, dove nel 1805 viene istituita una scuola di disegno destinata ai tecnici impegnati nelle cosiddette «arti industriali», e a Nola, dove Giuseppe Bonaparte (1768 –  1844), durante la sua breve reggenza del Regno di Napoli, nel 1806, fondò le «Scuole di Arti e Mestieri», la prima forma di istruzione professionale pubblica della penisola.

Fra i pionieri dell'istruzione tecnico - professionale, attraverso il tirocinio pratico in scuole - officine, è da annoverare San Giovanni Bosco che, nel 1852, avviò i primi «laboratori per giovani apprendisti» con una calzoleria – di cui egli stesso ai primordi si improvvisò maestro –, sartorie, legatorie, falegnamerie, tipografie, fucine di fabbro e scuole agricole. Sulla sua scia anche il Beato Luigi Monti (1825 – 1900), fondatore dei Figli dell’Immacolata Concezione, e San Leonardo Murialdo (1828 – 1900), fondatore dei religiosi Giuseppini, crearono opere analoghe per la gioventù.

A livello statale, a parte l'istruzione tecnica disciplinata dalla Legge Casati del 1859, esistevano vari tipi di scuole professionali che affondavano le radici nella secolare tradizione artigiana e manifatturiera italiana. Le scuole di agraria, minerarie, industriali, nautiche, di arti e mestieri, ecc., assicuravano l’addestramento di manodopera qualificata per l'artigianato, l'agricoltura e l'industria. Il livello di preparazione tecnico - pro­fessionale delle classi destinate ad attività, che diventavano di giorno in gior­no più importanti nella vita nazionale, restava tuttavia piuttosto scarso. Nasceva quindi la necessità di un insegna­mento fatto di nuove discipline e attraverso nuovi metodi, atto a formare il cervello e non solo i muscoli del nuovo operaio. Sulla base delle parziali e incomplete espe­rienze fatte da enti e privati, questa scuola doveva divenire organismo statale e costituire quella istruzione popolare che lo Stato non aveva ancora dato agli italiani.

  

 

 

3.1.4 Annibale Maria Di Francia pioniere solitario   

 

A questi problemi organizzativi, didattici e formativi non restò estraneo il Di Francia: li visse e sperimentò direttamente soprattutto nella sua opera di fondatore e coordinatore di istituzioni educative ed assistenziali.

Certamente l'ambiente sociale e scolastico in cui svolse la sua azione non erano dei più favorevoli. Si è già accennato al fatto che, alla vigilia dell'Unità, nelle province borboniche non si andò oltre qualche lodevole, quanto fallimentare, tentativo di innovazione in ambito scolastico come, per esempio, l’apertura di scuole tecniche[2]. D’altro canto, nel Regno delle due Sicilie, la stagnazione delle tecniche produttive e l'immobilismo dei rapporti di produzione, non richiedevano, se non in misura irrilevante, una qualificazione e un aggiornamento della manodopera, quale si andava delineando in altri stati della penisola. I dati statistici che riguardano la Sicilia e, più in generale, il Mezzogiorno ce li descrivono come un terreno arido, difficile e ancora da dissodare: nel 1861, in Sicilia, su una popolazione di 2.392.414 abitanti, ben 1.112.776 – quasi la metà della popolazione! – erano senza professione e 33.890 indigenti.

Purtroppo nel Meridione d’Italia l’incidenza politica e sociale del movimento cattolico e di associazioni e circoli culturali fu pressoché assente. Se al Nord le organizzazioni cattoliche riuscirono ad aggregare le masse rurali e a pilotare molte iniziative produttive contribuendo in maniera rilevante al decollo economico e sociale dell’area, nel Sud l’impegno del laicato, sparuto e disorganizzato, non riuscì a sviluppare alcuna attività sociale che potesse adeguatamente incidere e qualificare positivamente un mondo dominato dal sottosviluppo, dall’ignoranza e dalla superstizione[3].

Come rimedio ai mali economici e culturali della Nazione, società pedagogiche, unioni degli insegnanti e numerose riviste culturali promossero la diffu­sione della cultura tecnico - professio­nale, tenuta sempre in condizioni di minorità, tramite l’erezione e la frequenza obbligatoria di scuole professionali. Specialmente le «Leghe per l'istruzione e per l'educazione del popolo», già sorte in Belgio verso il 1860, si diffusero in tutto il nord d’Italia svolgendo un'opera attivissima e concreta a favore di una cultura utile alle classi lavoratrici con programmi, adattabili, entro certi limiti, alle peculiari esigenze del popolo. Nessuna Lega sorse nel Meridione d'Italia.

Questa quasi totale assenza di strutture e interventi istituzionali così come di fermenti culturali e politici fece sì che il Di Francia si trovò isolato rispetto agli altri educatori europei e dell’Italia centro – settentrionale, che spesso trovarono l’appoggio dei governi o di gran parte dell’opinione pubblica interessata ai problemi educativi ed alla formazione dei giovani. Soltanto la sua energia e le forti motivazioni spirituali gli permisero di procedere soprattutto attraverso le frequenti e pesanti difficoltà[4].

Il tasso d'incremento demografico molto ac­centuato, inversamente proporzionale alle tristi condizioni socio - econo­miche, la disoccupazione, l’analfabetismo, l’accattonaggio, la condizione di precarietà degli anziani e quella di inferiorità culturale e sociale e della donna compongono il panorama della società vicina a Padre Annibale Di Francia nel quale si trovò neces­sariamente ad operare.

 

 

 

3.2.1 I bisogni economici delle istituzioni XE "3.2.1 I bisogni economici delle istituzioni"

 

Comprendendo e valutando i problemi della società in cui visse e i bisogni di chi gli stava accanto, Annibale Di Francia cercò di escogitare in modo talvolta inedito e geniale delle soluzioni alle numerose difficoltà incontrate. Le sue qualità inventive ed organizzative si espli­carono soprattutto nei primissimi tempi della sua vita al «Quartiere Avignone» quando i bisogni si fecero numerosi e urgenti inversamente proporzionati alla disponibilità di risorse.

Egli  iniziò la sua opera di trasformazione del «Quartiere Avignone» con l’acquisto – con una spesa non indifferente – di qualche casetta trasformata in scuola e poi in orfanotrofio. Oltre a ciò, ben presto diede fondo al piccolo patrimonio di famiglia per far fronte ai bisogni quotidiani delle due piccole comunità quando queste soprattutto con l’avvio dei due orfanotrofi divennero copiose e urgenti.

Con le sue suore e confratelli il Di Francia si fece quindi questuante e bussò letteralmente ad ogni porta, a privati ed istituzioni.

 

Io sono un povero prete, che spinto da un irrefrenabile sentimento di aiutare l’afflitta umanità, siano grandi, siano piccoli, mi getto in simili imprese senza nulla possedere, dopo aver distrutto tutto il mio, e mi ci metto senza altri mezzi che la fiducia in Dio e nei cuori benefici. Io quindi, in simili casi, ho il compito di provocare la pubblica carità, di andare in giro a dimandare l’obolo[5].

 

Per sostenere economicamente le opere ideò con passione e fantasia iniziative di carità come pranzi per i poveri, fiere e passeggiate di beneficenza e soprattutto pose i suoi istituti sotto la protezione di Sant’Antonio di Padova in nome della cui devozione i benefattori offrivano il proprio sostegno ai piccoli ospiti degli orfanotrofi di Padre Annibale che dal 1906 nella dizione ufficiale cominciarono a chiamarsi “antoniani”. Nel 26 giugno 1908, fu avviata la pubblicazione del mensile dal titolo emblematico: “Dio e il prossimo”. Il periodico divenne l’organo di comunicazione e contatto con migliaia di amici e benefattori.

Tutto ciò però non era ancora sufficiente sia dal punto di vista prettamente economico sia, più di tutto, in un ottica di principio. Carmelo Drago riassume in questo modo il pensiero del fondatore dei Rogazionisti:

 

Dobbiamo certamente avere fiducia nella divina Provvidenza, come pure nelle Segreterie Antoniane[6]. Ciò non ci deve dispensare dalla legge del lavoro, al quale dobbiamo sentirci maggiormente spronati, compiendo anche sacrifici, se necessario. Bisogna tenere presente che il lavoro non solo è fonte di introiti, ma, quando si compie con spirito di obbedienza, ci fa scontare le nostre colpe, ed è fonte di meriti per il paradiso.

Bisogna ancora ricordare che, nei primi tempi, la nostra Opera si manteneva principalmente con il ricavato del lavoro[7].

 

 

 

 

3.2.2 Il lavoro come fonte di sostentamento degli istituti  

 

Per il Di Francia un istituto che si prefigge l’educazione della gioventù, pena il retto indirizzo educativo, non deve sostenersi di elemosina. Egli ammette all'obolo dei benefattori il solo nel caso l'istituto ac­colga bambini di pochi anni, o persone incapaci di procurarsi il pane col proprio lavoro. Su questo punto, i criteri non ammet­tono equivoci:

 

Io ho ritenuto sempre che un Istituto che si prefigge l'educazione della gioventù, nel quale, oltre dei bambini, vi sono anche dei giovanetti capaci di lavorare, qualora pretendesse sostentarsi con le sole elemosine, si assomiglierebbe né più né meno che ad un giovane robusto, che, invece di lavorare, volesse vivere di accattonaggio.

Ad una istituzione di carità è lecito, dentro certi limiti, di stendere la mano, solo quando ha dei soggetti incapaci al lavoro: come ciechi, storpi, o vecchi cadenti o bambini di pochi anni. Del resto appoggiarsi sulle elemo­sine per istituti di giovanetti d'ambo i sessi, sarebbe un pregiudizio al retto indirizzo educativo[8].

 

Nella sua corrispondenza, nei suoi interventi sui giornali locali, nei suoi appelli e discorsi pubblici egli domanda lavoro per le sue orfanelle:

 

Esse devono vivere col lavoro delle loro mani, più che con le contribuzioni: adunque date loro delle commissioni (...). Lavoro io vi domando, o signori: se il contingente delle tante bambine, che non manca mai nel mio orfanotrofio, ha quasi un diritto alla vostra carità, quello delle giovinette già addestrate al lavoro, non vuol vivere di elemosina: esse vogliono lavorare, anche se debbono togliere le ore al sonno, purché lavorino, purché mangiando il pane quotidiano possano dire: Noi ce l'abbiamo lavorato! Dio benedica le nostre benefattrici, che ci hanno dato un lavoro proficuo[9].

 

Ad un pio e munifico signore chiede «non uno spreco di elemosine» – come egli stesso si esprime –, ma degli aiuti solo per portare innanzi le industrie e i lavori, i quali poi avrebbero formato da se le rendite e la vita dei suoi istituti[10].

Il resoconto degli introiti fatto alla Superiora delle Suore del Buon Pastore, rileva che nel 1891, solo due mila lire erano il frutto della questua; mentre, ben settemila lire erano state il ricavato dei lavori delle ragazze, specie quelli di maglieria a macchina[11].

Annibale Di Francia si adoperò quindi che le varie industrie degli orfanotrofi, dal panificio alla tipografia, dalla sartoria alle creazioni floreali ed altro, potessero contribuire a dare una certa autonomia economica dell’istituto piuttosto che contare esclusivamente sulle elemosine e la beneficenza.

Infatti dovendo anche occuparsi del sostentamento dei suoi protetti, non solo ricorse al contributo di amici e benefattori o a quello, spesso intermittente e volubile, degli enti pubblici, ma cercò di organizzare il lavoro e ed egli stesso vi colla­bora. A proposito di un laboratorio di fiori artificiali avviato in quegli anni così scrive:

 

...per lo spazio di sette anni abbiamo avuto una industria di fiorellini di metallo per le casse agrumarie, industria che ci diede considerevoli guadagni... Io stesso im­piantai l'industria, io stesso inventai gl'istrumenti, con i quali doveano farsi questi lavori; ... io dovea parzial­mente dirigere, sorvegliare i lavori per più ore al giorno, fintantoché le Suore s'impadronirono dell'arte[12].

 

 

 

 

3.3 Dalla piccola «azienda domestica» ai laboratori della «scuola di arti e mestieri»  

  

Il 20 agosto del 1906, parlando ai membri di un comitato di beneficenza dell’aristocrazia messinese in visita all’orfanotrofio femminile, con parole semplici e realistiche Padre Annibale esordisce:

 

…io sento il dovere di sottomettere al savio criterio di così nobile assemblea l’andamento di questo mio Istituto, gli scopi cui tende, le persone che lo compongono i mezzi con cui si sostiene, gl’introiti e gli esiti che ne formano la domestica azienda[13].

 

Di questa particolare «domestica azienda» da lui ideata per dare istruzione primaria e avviamento al lavoro ai suoi fanciulli traccia una breve cronistoria:

 

In primo luogo ab­biamo messo avanti un mulino e un pa­nificio (…). Anche prima del panificio avevamo impiantato una maglieria con macchi­ne, per confezionare calze, flanelle, scialli, copribusti e simili. Visitando la modesta esposizione dei nostri lavori, le SS.VV. videro ricami in bianco, in seta, in oro, lavori di filet, di uncinet­to, di tombolo, di oro filato, di merletti uso antico; videro fiori artificiali in carta, in stoffa, in metallo; e da pochi anni abbiamo intrapreso l'arte bella della fioricoltura (...). Aggiungo  che altre tre arti sono impiantate nell'Istituto ma­schile: calzoleria, sartoria, e tipografia[14].

 

Nel «Quartiere Avignone», nel 1881, furono impiantati quindi i primi laboratori: in una casetta presa in affitto, le donne guidate da una maestra lavoravano, a pochi soldi giornalieri, la corda per le sedie; le ragazze si dedicavano alla tessitura al telaio e al lavoro delle calze a macchina. Pregavano, lavoravano e cantavano, destando la meraviglia dei passanti, attratti dalla novità[15].

Per i ragazzi fu avviato il laboratorio di calzoleria con l’ausilio di un bravo calzolaio ed il contributo di un ricco benefattore messinese, il signor Mariano Gentile che, qualche anno dopo, contribuirà significativamente anche all’acquisto dei macchinari per il mulino e il panificio. In seguito fu creato un atelier di sartoria. Nel novembre del 1884, venne impiantata la tipografia. Il macchinario fu donato dal cavalier Giuseppe Crupi, tipografo ed editore messinese. Tra le prime commissioni la stampa delle etichette per le cassette degli agru­mi[16]. Le stampe portavano la denominazione: “Tip. Quartiere Avignone”, che più tardi subirà diverse variazioni.

Il terremoto del 1908 provocò una battuta d’arresto per l’attività della tipografia che fu chiusa perché il maestro tipografo rimase vittima del sisma con tutta la sua famiglia e non vi era alcuno che potesse assumerne l’incarico. Solo molto tempo dopo la tipografia riprese a funzionare soprattutto grazie alla esperienza e al merito di volenterosi

 

…che, leggendo e studiando manuali, acquistarono una pratica come autodidatti. Chi eccelse tra questi fu Fra’ Mariano Drago, affezionatissimo al Padre, rotto alla fatica e al sacrificio, che (…) spinto da spirito di iniziativa, giungeva a passare le notti intere in tipografia, stendendosi per un po’ di riposo sui cassoni dei caratteri. Come lui e con lui un ragazzo, dalle inclinazioni meccaniche, Carmelo Rappazzo, che più tardi divenne Fra’ Consiglio. E la tipografia riaprì i battenti[17].

 

I piccolo laboratorio tipografico venne  trasferito a Oria presso il nascente orfanotrofio maschile di Oria:

 

…il Padre volle che si rendesse subito attiva la tipografia, anche perché a questa era legata la propaganda antoniana, fonte di vita per l’Istituto.

Fu subito trasportata una macchina da Messina, col relativo corredo di caratteri mobili (…). Si vide la necessità di migliore attrezzature, per rispondere ai sempre crescenti bisogni della propaganda. Nel 1911 si acquistò una macchina da stampa piana, la Rapida Commerciale, poi una Pedalina e una Export, alle quali si aggiunse una cucitrice a filo metallico e un nuovo tagliacarte. Una discreta dotazione di caratteri mobili, fregi ed accessori completava la officina, che rimase in tali condizioni per parecchi anni[18].

 

Macchine, caratteri ed accessori occupavano il vasto locale del refettorio dell’ex convento francescano[19]. Il lavoro ripartì alacremente tanto che in brevissimo tempo si riuscì a stampare, dal settembre del 1910 all’aprile del 1911, il periodico «Dio e il prossimo» che dopo il sisma, veniva edito presso una tipografia di Acireale. Le pubblicazioni durarono dal settembre del 1910 all’aprile del 1911. In seguito tornò ad essere stampato a Messina[20].

A Oria la scuola tipografica e la relativa tipografia furono denominate “Tipografia antoniana del Piccolo Operaio” [21]e, dopo una decina di anni, nel 1920, “Tipografia Antoniana dell'Orfanotrofio Maschile del Can.co A. M. Di Francia”[22].

Le vicende belliche degli anni 1915 – 1918 segnarono una battuta di arresto per la tipografia degli Artigianelli che tuttavia dal 1921 in poi riprese con lena le attività con la stampa della raccolta di versi di Padre Annibale, «Fede e poesia», e con diversi lavori commissionati da privati ed enti pubblici.

Tra il 1917 e il 1918 anche gli istituti femminili di Messina, Oria e Altamura si dotarono di una tipografia.

La mole di lavoro sempre più voluminosa fece emergere l’esigenza di acquistare macchine più moderne e soprattutto a motore, al fine di evitare la fatica di manovrare i macchinari a mano.

Così, nel 1923, fu inaugurata nel «Quartiere Avignone» una nuova grande rotativa di fabbricazione tedesca: si trattativa della macchina tipografica più avanzata del tempo che riusciva a stampare 24 mila copie all’ora, con una tiratura di circa 400 mila copie. Per queste capacità fu denominata da Padre Annibale: «La Grazia»[23].

Anche a Oria, il 17 ottobre 1926, durante la sua ultima permanenza nelle Puglie, Padre Annibale benedisse le nuove e moderne macchine tipografiche[24].

 

La tipografia costituisce – avrà modo di affermare – una delle nostre più grandi risorse per le stampe che vi si fanno![25]

 

Presso l’istituto dello “Spirito Santo” di Messina, nel 1895, venne inaugurato un mulino – panificio:

 

…opera ve­ramente ardita, – dirà il Di Francia – che ci ha fatto invecchiare anzi tempo, ma con cui abbiamo risoluto un grave problema pei nostri istituti: cioè il pane quotidiano che si trae dai guadagni della vendita del pane di puro grano; il che rappresenta un introito di circa mille lire al mese (…). I medici di Messina lo raccomandano ai loro in­fermi[26].

 

Il “pane di puro grano” divenne subito popolare a Messina: fu denominato “Pane Padre Francia”, riconoscibile per le iniziali P.M.S.S., e distribuito in tre rivendite il 1897 ed in sei il 1906. La stessa cosa per le ostie per la celebrazione della Messa. Durante la prima guerra mondiale il molino e il panificio dello Spirito Santo lavoravano anche per le Forze Armate, ma non ne mancava anche per chi era nel bisogno:

 

…i nostri due Istituti di Messina ave­vano un molino con panificio e pasti­ficio, donde pane di puro grano e pa­ste alimentari si smerciavano in città, dando pane quotidiano a 200 persone, compresi i poveri di Messina, e quanti ne venivano ricevevano pane e pietanze[27]

 

Il macchinario era costituito da un motore a gas di 40 cavalli. Più tardi si aggiunse anche un pastificio, con due pres­soi acquistati da un fallito pastificio di Bausa, una contrada di Messina. Analoga struttura di mulino fu impiantata presso l’Orfanotrofio Anto­niano di S. Pier Niceto (Messina) ed inaugura­ta il 26 novembre 1916. Vi presiedette lo stesso Padre Annibale che tenne anche un discorso d’occasione[28].

A Messina, con il trasferimento dell’orfanotrofio femminile dal «Quartiere Avignone» al Palaz­zo Brunaccini, nel 1891, e qualche anno dopo, all’istituto dello Spirito Santo di Messina, gradualmente si passò dai telai alle macchine di maglieria per la confezione di articoli più elaborati e prodotti in maggiore quantità. Dalla stampa del tem­po si conosce l’entità dei lavori:

 

…si eseguiscono lavori di ago e di macchina, si cuce biancheria, si ricamano corredi, si fanno coltri, si lavora di guipure, si fanno berrette da prete, coppole per fanciulli e fiori artificiali anco per chiesa: il tutto a prezzi modicissimi[29].

 

Ed ancora, negli istituti femminili

 

…si lavora da sarte e si cuce biancheria. Si ricama in seta, in bianco ed in oro. Si lavora al tombolo, a filet e risarcimento. Si lavora all’uncinetto (…). Si lavora da maglieria: calze, maglie, mutande, copribusti per donna, vestitini per bambine, guanti ecc.[30].

 

A Oria furono acquistati da Milano sei telai per la produzione di tappeti, coltri da letto, lavori in lana e in cotone. Alla spesa di 600 lire per ogni telaio si aggiunse quella della permanenza a Napoli di alcune suore per apprendere, presso la Ditta Alzati, la nuova specie di tessitura. La scuola di lavoro per ragazze esterne fu aperta ufficialmente il 7 novembre 1910[31]:

 

…abbiamo un esternato di 60 ragazze figlie del popolo, che non pagano nulla, ma vengono tutte gratis; e per le quali abbiamo dovuto spendere onde fornire il laboratorio di tutto l’occorrente[32].

 

Un simile laboratorio venne avviato anche a Trani, nel 1910. Per l’apertura della Casa di Altamura, il 1916, Padre Annibale assicura Mons. Adolfo Verrienti, il vescovo che l’accoglie e che è preoccupato per la sussistenza economica del nuovo istituto, che fornirà la casa di macchine di maglieria – dal costo di lire 700 in media – e che le suore realizzeranno lavori di taglio e cucito, guipure e ricamo[33].

A partire dal 1895, a Messina furono istituite delle «scuole di lavoro» riservate alle ragazze della città. Si trattava di una via di mezzo tra una scuola professionale e dei corsi hobbistici in cui si acquisivano nozioni di disegno, pittura e creatività e si impartivano lezioni di pianoforte, ricamo, lavori a maglia, taglio e cucito.

Si è già accennato al laboratorio di arte floreale avviato presso la Casa femminile di Messina: insieme ai fiori artificiali venivano utilizzati quelli naturali[34] provenienti dalla floricultura a cui si dedicavano le orfanelle[35]. A Oria invece venne avviata una vera e propria azienda agricola o «colonia agricola» – secondo la terminologia del tempo –, che forniva prodotti agricoli e zootecnici in primo luogo per il fabbisogno dei due istituti e – come sempre – per gli indigenti della città:

 

…formai una piccola Colonia Agricola con Suore, postulanti e orfane. Vi aggiunsi tre contadini vecchi in ritiro di Oria, e col lavoro assiduo delle Suore, delle Orfane e di quei tre vecchi, sotto l’occhio vigile o mio o del mio Sacerdote, il fondo rustico di S. Pasquale non si ravvisa più con quel che era prima. Il terreno si è tutto dissodato, le Suore e le ragazze hanno erette armacerie pel frenamento delle acque piovane, piantano, seminano, mettono avanti le norie per l’innaffiamento, raccolgono, oltre che tengono cinque vacche, otto pecore, più di cento galline, conigliere, colombai. A vedere gli ortaggi di diversa specie fiorenti che somministrano ogni giorno le verdure a due Case, è un piacere[36].

 

Per l’irrigazione dei campi nonché per fornire la Casa di acqua corrente, negli anni ’20, fu installata su un pozzo fatto appositamente scavare una maestosa pompa eolica commissionata negli Stati Uniti alla «Aermotor’s Chicago factory».

Dopo il terremoto di Avezzano del 13 Gennaio 1915, appresa dai giornali la notizia che il Papa Benedetto XV, visitando i bambini feriti nell’ospedale di Santa Maria, aveva offerto loro dei mandarini, Padre Annibale ne fece preparare e spedire al Papa due pacchi colti dall’agrumeto di Oria[37].

Il 1 Novembre 1913, anche a Gravina di Puglia nacque una vera e propria «colonia agricola» in un appezzamento di terreno donato dalla facoltosa famiglia Meninni – Sottile. Nel latifondo coltivato a vigneto, grano, ortaggi, alberi da frutto ed una pineta, inizialmente doveva essere creata una scuola di lavoro per le bambine, poi si decise per una azienda agricola per gli orfanelli. La Casa - colonia agricola fu inaugurata il 1° novembre 1913, interamente diretta da religiosi laici rogazionisti: qui alcuni ragazzi si dedicavano all’agricoltura seguiti e formati da contadini pratici del mestiere. Ebbe tuttavia vita breve: verrà chiusa nel 1916 poichè quasi tutto il personale fu chiamato alle armi e i due religiosi furono trasferiti a Oria per collaborare alla conduzione del calzaturificio e giustificare la loro esenzione dal servizio militare al fronte[38].

Quella delle «colonie agricole» fu un’esperienza singolare e interessante nelle finalità, vagheggiata dal Di Francia sin dai primordi dell’opera, sia perché, allora come per buona parte anche oggi, l’agricoltura era l’attività più diffusa in Italia, soprattutto nel Meridione, sia perché gli orfani provenienti da famiglie di agricoltori potessero rimanere nel proprio ambiente. Simili esperienze erano già state avviate da altri fondatori come Don Bosco e Don Luigi Orione (1872 – 1940).

Nel Dicembre del 1911 a Oria venne allestito un calzaturificio con la fisionomia di un vero e proprio impianto industriale. Nel 1914 furono infatti acquistati dalla Keats Maschinen Gesellschafth di Francoforte  (Germania) dei macchinari per la confezione di calzature per il cui funzionamento si dovette provvedere ad un apposito e più potente generatore elettrico:

 

Abbiamo impiantato recentemente [. . .] – scrive Padre Annibale il 3 Aprile 1915 – un calzaturificio a macchina, cioè con 13 macchine per fare le scarpe, il cui impianto, compreso il motore di 16 cavalli e adattamento dei locali mi é costato finora, senza esagerazione alcuna, lire 36 mila. Le macchine possono produrre 80 paia di scarpe al giorno con un guadagno di lire 5 al paio in media, di netto: salvo minore smercio[39].

 

Il calzaturificio produsse gli scarponi usati dai soldati italiani durante la Prima Guerra mondiale. Un album di modelli di calzature per uomo e per donna datato 1920, custodito presso l’Archivio storico della Casa di Oria, testimonia che venivano accettate commissioni anche da parte di privati.  Alla fine degli anni ’20 il calzaturificio venne trasformato in calzoleria[40]. Costosi macchinari per la lavorazione delle tomaie per calzature furono acquistati anche per la Casa delle suore Figlie del Divino Zelo di San Pier Niceto nel 1916[41].

Sempre a Oria, nel marzo del 1912, ebbe inizio la scuola di sartoria, nel 1925, l’officina meccanica e, nel 1927, venne avviato il laboratorio di falegnameria ed ebanisteria.

Detti laboratori cominciarono a lavorare anch’essi su commissioni esterne oltre che per il fabbisogno dell’istituto. Essi produssero le divise per gli orfanelli, gli arredi lignei del santuario di Sant’Antonio da Padova, e anche abiti e arredi domestici per privati e soprattutto non abbienti.

Infine anche la costituzione di una orchestra musicale – a cui abbiamo accennato nel capitolo precedente – divenne una fonte di sostentamento per l’istituto, soprattutto ai primordi:

 

…ricordo – afferma Carmelo Drago – che il bisogno era tale che [ a Francavilla Fontana ] la banda musicale degli orfani accettava l’accompagnamento funebre al cimitero anche per dieci lire![42].

 

Inoltre l’aver affinato il proprio talento artistico attraverso lo studio della musica e di uno strumento divenne per molti orfanelli un mezzo di inserimento professionale.

Quanto detto fin qui vale anche per tutte le altre fondazioni del Di Francia: sa­rebbe dunque troppo gravoso citare la una lunga documentazione in merito.

  

 

 

3.4 Il lavoro, primo passo verso la dignità: fattore di educazione e motivo di riscatto umano e sociale  XE "3.4 Il lavoro, primo passo verso la dignità: fattore di educazione e motivo di riscatto umano e sociale "

 

Accanto all'educazione, la preghiera e lo studio, tra i capisaldi sui quali si inscriveva l’azione di redenzione spirituale e di promozione umana di Annibale Maria Di Francia sono da comprendere dunque la formazione professionale ed il lavoro. Se agli inizi dell’opera il lavoro è stato una risposta per eliminare la miseria nel “Quartiere Avignone” e poi una risorsa di sostentamento dell’istituzione, ora viene trattato come mezzo di educazione:

 

Bisogna che l’istruzione renda atta [ la fanciulla ] a guadagnarsi un giorno onestamente il pane della vita (…).

I ragazzi e le ragazze debbono avvezzarsi al lavoro fin dalla più tenera età, e col crescere negli anni si deve trovare il modo di rendere fruttifero il lavoro. Il lavoro infatti è tra i primi efficienti della moralità: è ordine, è disciplina, è vita, è arra di buon avvenire pei soggetti che vengono educati (…). Non vi può essere educazione né religiosa, né civile, discompagnata dal lavoro[43].

 

Partendo da questa intuizione pedagogica, Padre Annibale, fin dall’inizio delle attività caritative e di assistenza degli Orfanotrofi Antoniani, volle educare al lavoro i suoi ragazzi attraverso dei laboratori di apprendistato in diversi settori artigianali.

  

 

 

3.4.1 Principi e metodologia della pedagogia del lavoro difranciana

 

Fin dalla incipiente organizzazione delle Case rogazioniste appare chiara l’importanza del lavoro non solo dei giovani e dei ragazzi più grandi ma anche dei più piccoli[44]. Per Annibale Di Francia il lavoro impegna il fanciullo a sviluppare ed esercitare le proprie facoltà, ad espandere il proprio spirito di iniziati­va, di inventiva, di resistenza, ad esercitare il senso della responsabilità e di collaborazione. Nell’attitudine al lavoro egli vi scorge un fat­tore educativo importante, un motivo di ordine, disciplina, religione, civiltà e moralità[45]. Il lavoro rende il fanciulli «ben temprati nella virtù e nel bene»[46].

Fondandosi su una visione antropologica cristiana la pedagogia difranciana del lavoro salvaguarda il pri­mato degli elementi spirituali strettamen­te connessi alla formazione ed alla attività lavorativa.

Come non vi può essere educazione né religiosa, né civile separata dal lavoro:

 

Ora et labora, prega e lavora, era il motto che prendevano a loro divisa i solitari dell’Occidente, che, sebbene dedicati ad una vita di trascendentale ascetismo, pure proclamavano che non vi è sodezza di principii religiosi dove manca il lavoro[47].

 

…così non c’è attività umana che non trovi il proprio riferimento in Dio:

 

Se s’istruisce la mente dei giovani nella grande palestra dello scibile, bisogna altresì istruirla nei supremi principii della fede cattolica. Se si esercitano le braccia dei figli del popolo alle arti ed ai mestieri, bisogna altresì esercitare le loro labbra alla preghiera, ed innalzare la loro mente a quella purissima regione di luce, in cui non vi sarà distinzione secondo i ranghi e le condizioni sociali, ma secondo la virtù e i meriti della vita cristiana[48].

 

Il lavoro che non va di pari passo all’istruzione ed all’educazione sociale, etica e religiosa non ha alcuna utilità educativa e risulta un processo sterile se non addirittura degradante[49].

Qualunque tipologia di lavoro utile nella vita sociale è adatta ad impegnare gli educandi. In un regolamento scrive:

 

In ragione dell'età e della complessione delle alunne si avrà cura speciale di esercitarle a vicenda nei servizi domestici (...). Verranno infine addestrate a tutte quelle arti, a tutti quei mestieri necessari a sapersi nella loro condizione, affinché, uscendo dal Pio Luogo, possano condurre vita onesta e laboriosa[50].

 

Gli orfanelli vengono avviati alle arti e ai mestieri e le orfanelle ad ogni sorta di lavoro donnesco[51].

 

[ I Rogazionisti ] avvieranno gli orfanelli con pater­na ed affettuosa cura a sana educazio­ne e conveniente istruzione nelle arti e mestieri[52].

                                                                           

L’identità dei ragazzi si configura col nome significativo e programmatico di «artigianelli»:

 

Gli alunni artigianelli non [ hanno ] altro nome che quello di artigianelli, o sarti, o tipografi o calzolai, secondo l’arte cui sono dedicati[53].

 

Padre Annibale vuole che i ragazzi si abituino a lavorare fin da piccoli, tenendo conto delle loro inclinazioni e condizioni di salute[54]. È questa un’altra nota significativa che contraddistingue sin dagli inizi la sua opera educativa.

Egli detta quindi le norme circa le modalità con cui gli educatori e i maestri devono attendere all'insegnamento delle arti e dei mestieri:

 

É suo [ del maestro calzolaio ] stretto obbligo e dovere di spingere innanzi i ragazzi con zelo ed alacrità nella conoscenza dell'arte (...), mostrando vivo interesse di condurli presto al punto di poter lavorare da sé[55].

Non lascerà in ozio – continua – [ neppure ] i piccolini, ma li terrà occupati e attenti al lavoro dei grandetti[56].

 

Le attività devono essere eseguite con amore, diligenza e attenzione, in silenzio[57], senza noia e, tanto meno, cattiva volontà[58].

È deleterio e diseducativo infatti far eseguire qualche attività per castigo[59]. Piuttosto, durante la permanenza in collegio, si prevedono premi per i ragazzi che si distinguono e si impegnano di più[60] e per le educande più diligenti e attive in modo da «incitarle sempre più a riuscire buone, diligenti e laboriose»[61].

Interessanti ed ancora oggi validi restano alcuni criteri pedagogici riportati da Padre Carmelo Drago, inerenti all’impostazione delle scuole di formazione professionale nelle intenzioni di Padre Annibale.

 

a) Essi riguardano la necessità di fornire un apprendistato idoneo con maestri e insegnanti preparati e con varie specializzazioni in modo che ci sia maggiore possibilità di scelta da parte dei ragazzi, secondo le inclinazioni di ciascuno:

 

Ci dobbiamo impegnare, per quanto è possibile, ad ave­re un idoneo apprendistato, con varie specializzazioni in modo che ci sia maggiore possibilità di scelta, secondo le inclinazioni di ciascuno (…). Bisogna mettere capi d’arte capaci di istruire bene i ragazzi. Anche per questo compito bisogna cercare di formare dei no­stri, mandandoli magari a qualificarsi presso i Salesiani o altri centri specializzati.

Prima di ammettere i ragazzi alle varie arti o mestieri, studiare bene le inclinazioni e le capacità di ciascuno, in modo che possano fare facilmente profitto, e non si sia costretti a fre­quenti passaggi da un mestiere all’altro[62].

 

b) Le officine ed i laboratori siano impostati con criteri tecnici e moderni:

 

…devono essere attrezzati come meglio è possibile. Devono essere moderni, vari, lucrativi e che si prestino all’apprendimento. Bisogna fare tutto il possibile perché i macchinari siano adatti allo scopo e forniti di accurate protezioni per evitare eventuali disgrazie[63].

 

Come si è visto parlando, per esempio, delle tipografie, delle scuole agricole, dei mulini e panifici, dei laboratori tessili o del calzaturificio di Oria, le Case e gli orfanotrofi rogazionisti furono dotati di attrezzature tecnologicamente avanzate che non esistevano o spesso non erano conosciute nelle regioni ove operavano. In alcune zone fu lo stesso Padre Annibale ad introdurre tecnologie non solo moderne e innovative ma addirittura sperimentali, creando competenza ed alta qualificazione fra i giovani[64].

 

c) Le attività didattiche siano impostate e dirette senza scopo lucrativo e commerciale, ma a scopo formativo:

 

I nostri laboratori non devono essere impostati e diretti a scopo commerciale e lucrativo, ma soprattutto a scopo formativo dei ragazzi.

 

 

d) Sia considerata ancora la possibilità del sostegno economico alle attività scolastiche e istituzionali della Casa:

 

Tuttavia, senza intaccare lo scopo principale, è bene tenere conto anche della possibilità di guadagno sia per istruire anche in questo gli artigianelli, sia per aprire all’Istituto un’altra fonte di lucro (…). Per questo è bene pure procurarsi com­missioni di lavoro da parte di estranei.

 

e) …e la partecipazione dei ragazzi, soprattutto più grandi e meritevoli, agli utili della produzione dei laboratori, versandola su libretti postali:

 

In questo caso, per interessare i ragazzi più grandetti, già abituati a produrre, è bene che, detratte le spese vive, si faccia­no partecipare agli eventuali guadagni coloro che sono più meritevoli[65].

 

In un altro contesto afferma:

 

I ragazzi e le ragazze deb­bono avvezzarsi al lavoro fin dalla più tenera età, e col crescere negli anni sì deve trovare il modo di rendere fruttifero il lavoro[66].

 

In questo modo essi non saranno di peso ma contribuiranno attivamente al proprio mantenimen­to e si abitueranno ad avere fiducia nelle proprie possi­bilità: 

 

Alle ragazze – scrive il Di Francia in una circolare alle suore – che già hanno appreso bene i la­vori  donneschi, e  lavorano  nelle commissioni, si noti in apposito registro una qualche cosetta sui lucri. Quando usciranno dall'istituto, alla debita età, verrà  loro consegnato il peculio[67].

 

Le suore poi

 

…istruiscano le alunne e le facciano profittare nei lavori con materno affetto e premura, essendo a ciò obbligate anche per giustizia giacché ne ricevono un mensile[68].

 

Questo che potrebbe oggi apparire scontato o un semplice dettaglio è da considerarsi invece una vera e propria rivoluzione per quei tempi di sfruttamento intensivo del lavoro minorile[69].

 

f) Un altro mezzo adatto a suscitare nei ragazzi la volontà di far meglio diventano le esposizioni e le mostre dei prodotti e lavori eseguiti dai ragazzi. Queste attirarono l'attenzione e il plauso della popolazione e delle autorità[70].

 

È bene che nell’Istituto ci sia la stanza dell’esposizione dei migliori lavori eseguiti dagli apprendisti, con relativo nome e cognome, età e anni di frequenza all’apprendistato. Questo po­trebbe essere anche molto utile per far riuscire più interessante la solenne premiazione annuale; perché così si mostra concre­tamente la formazione e il progresso dei ragazzi nelle arti e me­stieri, e serve pure a dare maggiore prestigio all’Istituto[71].

 

Ed ancora:

 

A farla completa vi si potrebbe aggiungere una mostra di lavori utili, domestici, per esempio maglierie, lavori di taglio di biancherie e di abiti, e perfino tomaia o intere calzature. Anche lavori industriali e lavori meccanici se se ne eseguissero con macchine e con lavoro manuale potrebbero utilmente figurare nella mostra (…). Sarebbe importante ed opportuno che tali esposizioni fossero illustrate da un discorso, anche letto, d’introduzione con il quale si facessero notare i lavori delle orfane, grandi e piccole, ricoverate (sui quali si metterebbe il segno in iscritto con il nome di ogni lavoro e la specifica quale abbiano fatto le grandette, le giovani, e quale le piccoline e quali le esterne se ce ne siano state); si facesse notare lo svolgimento delle scuole di lavori, difficoltà superate, importanza di alcuni lavori, ecc. Il discorso letto, o recitato, deve concludersi con complimenti e ringraziamenti, ecc. verso gl’intervenuti, e potrebbe anche cominciare con il saluto agli stessi. Potrebbesi anche invitare redattori di giornali che possono farne buona relazione in quelli[72].

 

 

g) Infine, il curriculum professionale degli «artigianelli» dovrà essere redatto in base ad un programma realizzato in modo progressivo:

 …il curriculo professionale dovrà essere regolato da un programma razionale di teoria e pratica, da svolgersi annualmente in modo progressivo[73].

 

 

 

3.5 L’eredità di Sant’Annibale Di Francia oggi  

 

3.5.1 Dalla «Scuola di arti e mestieri« ai «Centri di formazione professionale»

 

Gli originari opifici e laboratori artigianali sorti per sostenere le opere educative e di promozione sociale di Annibale Maria Di Francia si evolverono in pochi decenni in «Scuole di arti e mestieri», successivamente in «Scuole di addestramento professionale» e quindi nei «Centri di formazione professionale» che, dal 1956 in poi, operando con l’autorizzazione statale, conferiranno agli allievi un attestato di qualifica professionale utile a spendersi nel mercato del lavoro. Dal 1974, a seguito delle deleghe in materia di formazione professionale trasferite dallo Stato alle Regioni, i vari centri di formazione professionale presenti negli istituti dei Rogazionisti (Bari, Oria e Matera) si confederarono in un’associazione senza fine di lucro: il C.I.F.I.R., «Centri di Istruzione e Formazione Istituti Rogazionisti»[74].

Ai tradizionali settori della meccanica, elettricità ed elettronica, si aggiunsero col tempo altri ambiti formativi, più orientati al terziario e al mondo dei servizi e del turismo e – con un’iniziativa pionieristica – i primi corsi di informatica e giornalismo radio televisivo. A partire dagli anni ottanta, l’immagine di queste scuole professionali è cambiata ancora divenendo dei veri e propri «centri di servizi formativi» con laboratori aggiornati e corredati con le più moderne attrezzature. L’importanza del Centro di formazione professionale è data ancora dalla costante attenzione ad orientare i programmi e le iniziative a favore dei giovani i quali possono acquisire non solo conoscenze tecniche e abilità professionali ma anche e soprattutto valori civili e religiosi.

Attraverso i Centri di formazione professionale i Rogazionisti esprimono il loro carisma nella dimensione sociale e solidale partecipando alle vicende del nostro tempo e progettando ed attuando sul territorio una ininterrotta ed aggiornata attività formativa ed educativa finalizzata all’inserimento del mondo del lavoro della gioventù soprattutto la più svantaggiata economicamente ed esposta all’esclusione sociale.

 

 

 

3.5.2 L’evoluzione delle strutture di accoglienza per minori rogazioniste

 

Con i criteri e l’impostazione pedagogica dati da Padre Annibale agli orfanotrofi antoniani fu percorso un cammino durato quasi 125 anni: in quest’arco di tempo essi hanno lasciato un profondo segno nel tessuto civile ed ecclesiale sia italiano che – dagli anni ’50 in poi – internazionale, aiutando migliaia di ragazzi e ragazze a divenire adulti e ad inserirsi con esito positivo nella società.

Oltre alla forma del convitto e semi – convitto, nel secondo dopoguerra, per le Case di Bari, nel 1946, e Matera, nel 1958, fu sperimentata la realizzazione del Villaggio del Fanciullo, nello stile, metodologia e  contenuti delle «Boys Town» avviate da Padre Edward Joseph Flanagan (1886 - 1948) negli Stati Uniti[75]: una struttura valida per la formazione umana e sociale di tanti ragazzi e giovani provenienti dalle situazioni incresciose del secondo conflitto bellico. Accanto al Villaggio, la scuola di arti e mestieri per un inserimento adeguato nella vita sociale ed un conseguente lavoro sicuro.

 

 

 

3.5.2.1 L’esperienza del C.Ed.Ro.  

 

Con la mutata condizione storico – culturale associata all’esperienza maturata in più novant’anni di attività nell’ambito delle politiche sociali ed in particolare nel settore del disagio e della devianza minorile, e – in Italia – in risposta ai dettami legislativi 328/00 e 149/01, i Padri Rogazionisti hanno ampliato e riqualificato la propria presenza e servizio sul territorio a favore dei minori con l’apertura di comunità residenziali e comunità alloggio in quasi tutte del Case sia in Italia che all’Estero.

Per portare un esempio paradigmatico citiamo qui l’esperienza del C.Ed.Ro., Centro Educativo Rogazionista e dell’associazione «Famiglie Insieme».

Nelle Case di Oria e Matera, le comunità di accoglienza per minori in stato di disagio sono gestite dalla cooperativa sociale C.Ed.Ro. [76]. Creata nel 2004, la cooperativa è formata da religiosi e laici ed ha come obiettivo la promozione umana e l’integrazione dei bambini e ragazzi ospiti delle strutture educative dei Padri Rogazionisti attraverso la gestione di servizi socio - sanitari, educativi, di formazione e addestramento professionale. Collaborando con i servizi sociali e consultori, le ASL e i Tribunali per i minorenni, il C.Ed.Ro. rivolge la sua attenzione ad una molteplicità di bisogni e disagi di bambini e adolescenti per i quali è stato disposto l'allontanamento dalla famiglia naturale per maltrattamento, abuso emozionale e fisico, abbandono e trascuratezza, problemi psico - fisici, ragazze madri, ecc... . Ogni giovane ospite ha il diritto di poter esprimere le proprie potenzialità e di trovare una famiglia ed una comunità che garantiscano il suo più completo sviluppo. Per questo motivo ogni azione educativa e formativa tende a ripristinare le condizioni socio - affettive ed un ambiente favorevole. La cooperativa promuove e gestisce due comunità educative di tipo familiare, un centro socio - educativo, una comunità alloggio, un centro di pronta accoglienza. Viene fornita una consulenza psicopedagogica e psicosociale per i ragazzi, all'intero sistema familiare naturale in disagio ed alle famiglie affidatarie e una consulenza educativa domiciliare per le situazioni di disagio psicosociale familiare e vengono promossi percorsi di formazione per educatori professionali, operatori sociali, insegnanti e genitori.

Oltre all’animazione e organizzazione del tempo libero con attività ricreative, ludiche, culturali (scuola di canto e ballo) ed alla partecipazione ad attività e sportive (la scuola di calcio, basket e pallavolo), per gli adolescenti in disagio evolutivo o in messa alla prova per reati viene curato l’inserimento socio - lavorativo attraverso programmi individualizzati ed i laboratori artigianali di restauro, falegnameria, cartapesta, giardinaggio, apicoltura ed erboristeria realizzati in sede.

Nell’intento di promuovere una cultura solidale, l’azione educativa del C.Ed.Ro. tende anche a coinvolgere i giovani del territorio nell’animazione culturale, ricreativa e sportiva e attraverso la creazione di vari laboratori. Uno di questi è l'attività del Laboratorio Teatrale «Cedrointour».

 

 

 

3.5.2.2 L’associazione «Famiglie Insieme»  

 

Tramite il Centro Educativo dei Rogazionisti i «ragazzi di Padre Annibale» possono contare su un sostegno in più per la loro crescita e maturazione: la possibilità di essere accolti da una famiglia ed a costruire relazioni significative e stabili con adulti. Ciò è reso possibile da un gruppo di famiglie costituite in un’associazione di volontariato e di promozione sociale, l’associazione «Famiglie Insieme»[77], che promuovere la cultura dell'accoglienza e dell'affido, al fine di salvaguardare il diritto dei bambini, dei ragazzi e degli adolescenti in disagio evolutivo ad avere una famiglia. Questa è stata in origine, nel 2004, l'intuizione di Padre Nicola Mogavero, rogazionista, degli educatori e responsabili del C.Ed.Ro. di Oria e dei fondatori dell'associazione «Famiglie Insieme» che, contando inizialmente sull’apporto ed il coinvolgimento di alcune decine di famiglie che frequentavano l'Istituto antoniano, predisposero dei percorsi prima di accoglienza, per ospitare per i week-end o dei brevi periodi di vacanza i ragazzi impossibilitati a recarsi presso la propria famiglia di origine, e quindi di affido. Avendo sperimentato la difficoltà insita nell’affido familiare – soprattutto perché si trattava di adolescenti con disagio affettivo e relazionale – si cominciò a comprendere che l’accoglienza di un minore e, in particolare, l’affido non erano esperienze da vivere in solitudine bensì collettivamente ed «in rete».

Alla famiglia affidataria in questo modo viene data dunque la possibilità di trovare attraverso un sostegno psicologico ed educativo mirato e il sostegno di altre famiglie accomunate dalla medesima esperienza, gli strumenti adeguati per gestire il percorso educativo e le situazioni più difficili e problematiche. Ad ogni famiglia viene offerta inoltre una particolare formazione e sostegno spirituale attinto dalla fonte stessa del carisma rogazionista. Attualmente l’associazione raggruppa circa 130 famiglie sul territorio salentino ed opera sotto la guida e la consulenza dell'équipe del C.Ed.Ro.

 

 

 

 

 

Conclusione

 

 

La vita e l’opera pedagogica e di promozione sociale di Sant’Annibale Maria di Francia sostennero e dimostrarono che l'educazione dell’uomo è l'unico mezzo in grado di renderlo libero e capace di scegliere e decidere per la piena realizzazione della propria vita. Questo asserto ci permette di inserire la sua figura tra le fila dei pedagogisti cattolici del secolo scorso oltre che in quelle dei «santi sociali» e soprattutto dei «salvatori di ragazzi»[78], quali San Giovanni Bosco, San Luigi Orione, il Beato Bartolo Longo e molti altri, che sollecitarono le istituzioni e l’opinione pubblica ad intervenire e intanto, in nome di Dio e dell’uomo, cercarono di strappare ragazzi e giovani dal baratro di un futuro già segnato da miseria, brutture e devianza, dando loro educazione, istruzione e sostegno per divenire onesti cittadini e buoni cristiani.

Il contesto storico ed il panorama sociale che fecero da sfondo all'opera di Annibale Maria Di Francia gli presentarono un'emergenza alla quale egli rispose immediatamente con la fondazione di opere assistenziali per gli orfani ed i ragazzi bisognosi. L’Italia e soprattutto il suo Meridione avevano bisogno urgente di uomini di azione e non di puri teorici e richiedevano opere e fatti di indole sociale più che di assistenzialismo o di semplice supplenza. In questa direzione si mosse l’azione pedagogica e di promozione umana di Annibale Di Francia[79] e questo fu l'elemento caratterizzante che contraddistinse il suo lavoro da una mera profusione di beneficenza. Tutto ciò prova la modernità del suo pensiero: puntare sulla formazione integrale dell'uomo al quale devono essere concesse pari opportunità senza distinzione di censo o di estrazione sociale e risvegliare la coscienza delle responsabilità sociali di tutti, soprattutto delle pubbliche istituzioni, affinchè quello che prima poteva essere l’aiuto caritativo di benefattori per risollevare i bisognosi dalla miseria e dall’indigenza venga  riconosciuto come il dovere di garantire a tutti i cittadini un diritto acquisito[80]. Anche e soprattutto l’educazione dei ragazzi, intesa come processo di promozione e accessibilità all’istruzione e al lavoro, non poteva essere letta – e non può esserlo a maggior ragione oggi – come un atto di beneficenza o di compassione. É un diritto da assicurare a tutti i ragazzi – anche a quelli che si  trovano in situazioni di disagio – crescere in modo sano ed equilibrato, usufruendo delle opportunità che la società concede.

Padre Annibale è stato un precursore dei tempi anche per l’importanza che rivolse alla progettazione di un’azione educativa su misura dei singoli allievi, ossia formulata sulla base della conoscenza delle loro reali  esigenze e potenzialità; principio questo quanto mai valido ancora oggi.

Padre Annibale ha dato anzitempo e in una maniera sorprendentemente profetica risposte a necessità e diritti reclamati scegliendo le vie che allora gli erano consentite e che si sono rivelate comunque efficaci grazie ad una idonea impostazione pedagogica. La sua opera rivolta a formare i giovani e a inserirli nella società rimane ancora oggi una proposta valida per il metodo e l’ispirazione.

La lezione di Annibale di Francia agli educatori ed operatori del sociale di oggi invita a cogliere e discernere il cambiamento dei «segni dei tempi», riconoscere le nuove forme di povertà ed i «nuovi poveri» e di conseguenza trovare nuove soluzioni e risposte alle necessità e povertà di oggi, tra le quali emergono preponderanti l’emergenza educativa e della devianza giovanile. Insieme al sociologo Silvano Burgalassi possiamo riconoscere in quella del Di Francia questo nuovo tipo di approccio e soluzione al problema:

Lottando contro le varie forme di povertà (...) non solo mediante l'assi­stenza e la beneficenza ma soprattutto attraverso il lavoro, il Nostro si è col­locato in una visione moderna del problema (...); lo si può accusare (col senno del poi) di non aver «colpito al cuore» le cause della emarginazione, cercando invece di eliminarne i difetti più rilevanti. In realtà tale accusa è giusta se si vuole approfondire il problema ma è errata se intende affermare la vacuità dei rimedi proposti. P. Annibale Di Francia ha sostenuto varie volte che la causa dell'emarginazione era costituita dal prevalere del profitto di pochi sui bisogni di molti e dal conseguente sfruttamento di questi ultimi (...). Il problema si porrebbe ben diversamente oggi, in un mondo che ha chiaramente messo a nu­do le carenze dell'attuale modello economico, teso alla valorizzazione este­nuante del profitto, dei consumi, del denaro. L'efficientismo ed il profitto, va­lori della moderna «civiltà del progresso» sono la vera causa dell'emarginazio­ne sociale di quelle categorie (giovani e vecchi, ammalati e devianti) a cui si ri­volse proficuamente l'opera del Nostro[81].

 

La stessa proposta culturale offerta dal Di Francia ai suoi ragazzi  andò oltre gli obiettivi della cultura del suo tempo[82]. Il rapporto privilegiato che egli instaurò con le classi svantaggiate favorì un processo di diffusione culturale di larghi strati popolari, fenomeno questo strettamente le­gato propriamente alla contemporanea «società complessa». Sul finire dell’’800 ed agli inizi del ‘900, la cultura popolare cattolica ebbe, quindi, un ruolo di tutto rilievo nel sistema educativo italiano, in quanto creò i presupposti culturali per l’affermazione del processo di scolarizzazione di massa. Di questo processo è stato protagonista anche Annibale Maria Di Francia, soprattutto all'educazione dei più poveri[83].

È interessante ancora rilevare che agli orfani accolti negli istituti antoniani, spesso in condizioni miserrime e, a volte, di totale abbandono veniva dato un pane e un letto, ma specialmente un sorriso ed una sicurezza nella vita. Essi si applicavano allo studio almeno fino all’istruzione primaria e, in quei tempi, specie nell'Italia del Sud, ciò non era poco. Oltre all’istruzione di base, ai ragazzi veniva assicurato l'apprendimento di «un'arte e di un mestiere», come si diceva allora: ciò consegnava nelle loro mani per il proprio futuro un mezzo di sussistenza e di realizzazione sociale. Tuttavia Padre Annibale non mirava a fare dei suoi «artigianelli» dei semplici manovali, così come alle ragazze non doveva essere assicurata solo la  formazione da buona massaia, quanto piuttosto essi dovevano possibilmente riuscire degli specialisti nel proprio settore di la­voro e, per i particolarmente dotati, non doveva mancare la possibilità il seguire qualche percorso artistico secondo le proprie inclinazioni, onde fosse valutata al massimo la propria personalità. Insomma, questi i ragazzi non dovevano minimamente rimpiangere lo stato di orfanità dal quale provenivano, ma dove­vano essere in grado di affrontare sereni la vita senza alcun complesso d'inferiorità[84].

Conscio degli stretti legami tra educazione e società, Anniba­le Maria Di Francia contribuì ad un modello di sviluppo della società – la società civile italiana dopo l'Unità – che fece posto e beneficiò anche dell’elevazione delle classi più svantaggiate. In tale contesto storico si inserì il tentativo di stabilire un rapporto educativo con le masse attraverso tragitti didattici inno­vativi e produttivi, che legavano il campo dell'istruzione alla formazione professionale, quali furono i laboratori artigianali degli istituti antoniani[85].

Se è possibile accostare i primordi dell’opera di Annibale Di Francia, in cui i laboratori degli orfanotrofi dovevano produrre semplicemente per sostenersi ed esistere, alla scuola di Jasnaja Poljana per i figli dei contadini russi fondata e diretta da Lev Tolstòj, (1828 –  1910),  la cui esperienza di educazione attraverso il lavoro era limitata alla elevazione economica dei contadini della regione, la successiva attività educativa e formativa legata e finalizzata al lavoro non può non farci accostare il Di Francia ad altri fra i gli educatori degli ultimi due secoli che si sono occupati della medesima problematica e perseguito gli stessi obiettivi.

La rapida carrellata appena compiuta sulle attività lavorative e la formazione professionale realizzate nell’ambito delle Case rogazioniste ci ha mostrato – e non poteva essere altrimenti – che la concezione del lavoro sottesa sia quella cristiana[86].  In più, per il Di Francia educare al lavoro significa educare alla vita, a partecipare in modo cosciente e responsabile al consorzio sociale, ad esercitare una professione, ad eliminare alla radice le cause del degrado e della miseria. Ma ciò che rende la pedagogia del lavoro difranciana tradizionale e nello stesso tempo estremamente attuale e innovativa è la concezione del lavoro quale strumento di educazione e formazione. Questa visione inserisce Annibale Di Francia in un solco che accomuna ed unisce virtualmente il suo pensiero e la sua opera a quelli di molti formatori e pedagogisti: da Filippo Melantone (1497 – 1560), nell’ambito della Riforma protestante, a San Giuseppe Calasanzio (1557– 1648), fondatore dei Chierici regolari poveri della Madre di Dio delle scuole pie, e San Girolamo Emiliani, (1486 – 1537), fondatore dei Chierici Regolari di Somasca; da Giovanni Amos Comenio (1592 – 1670) ai già citati San Giovanni Battista de La Salle (1651 – 1719), Johann Heinrich Pestalozzi (1746-1827)[87] e Friedrich Fröebel (1782 – 1852); da Don Raffaello Lambruschini (1788 –  1873) a San Giovanni Bosco (1815 – 1888), Otto Salomon (1849 – 1907) e Georg Kerschensteiner (1854 –  1932). In particolare i principi pedagogici di quest’ultimo molto si accostano a quelli del Di Francia[88] che, tra l’altro, prima di lui e di John Dewey (1859 – 1952) rinnovò il senso attivo dell’educazione legandola al lavoro[89]. Se infine la storia della pedagogia assegna a Cecil Reddie (1858 –1932) il primato cronologico della fondazione, nel 1889, ad Abbotsholme, della sua «New School», l’istituto educativo in cui la giornata veniva dedicata oltre alle attività scolastiche, al lavoro e ad occupazioni artistiche e ricreative, nel nostro Sud, ad opera di un uomo che spese tutto del suo per l’orfanità derelitta, il Rifugio, inaugurato nel 1882, con la sua organizzazione, metodi educativi e contenuti, aveva raggiunto nel giro di un decennio risultati che Messina ed il Meridione non avevano visto prima di allora. Il proposito di Reddie di trasformare la scuola in un tirocinio di vita era già attuato nelle Case del Di Francia dove mai si vide separata la teoria dalla pratica, l’istruzione dal lavoro, la vita in comunità dalla prospettiva di un futuro inserimento nella società[90].

 

Io già sono al punto di attuare il mio progetto cioè l’apertura della «Casa di Carità» (…), un’opera di carità così importante, che si prefigge di prevenire la perdita delle derelitte figlie del popolo, salvandole dall’ozio e dai pericoli, e avviandole a sana educazione ed istruzione, per restituirle indi alla stessa Città, giovani costumate, oneste e laboriose[91].

 

 

 

Appendice

«Io l’amo i miei bambini!»  

 

Parlare del Padre Annibale Maria Di Francia e non parlare del suo amore per i piccoli, soprattutto i bambini orfani, poveri e abbandonati, quando proprio da tutti è conosciuto principalmente come «Padre degli orfani», è parlare di lui a metà. Togliergli, per così dire, quest'aureola è rendere la sua figura incompleta. Riportiamo in appendice a questo studio un suo componimento in versi, «Io l’amo i miei bambini», scritti il 25 settembre 1902 in risposta ad altri  indirizzati a lui da un avvocato messinese, Angelo Toscano, per esaltare la sua missione benefica a favore della gioventù derelitta. L’occasione di questo particolare «carteggio» poetico fu data dal rifiuto dell’amministrazione comunale di Messina a concedere un sussidio straordinario agli orfanotrofi antoniani. Le motivazioni pretestuose celavano malamente un vero e proprio attacco politico e ideologico all’opera del Di Francia. La stampa ne parlò e l’opinione pubblica espresse la sua solidarietà a favore dei piccoli accolti dal canonico messinese. Fra questi ci fu, appunto, Angelo Toscano che con gentilezza d’animo volle incoraggiare le fatiche di Padre Annibale.

«Io l’amo i miei bambini» è il suo testamento spirituale del quale non sappiamo se ammirare l’alta vena poetica o il suo amore più che paterno verso i fanciulli[92]: è una consegna stringente e sempre attuale che noi riceviamo per porre la nostra attenzione sui suoi figli prediletti, i suoi bambini per i quali lavorò, lottò e soffrì, per i quali – stendendo la mano – fu trattato da «importuno» e da «insano»[93].

 

Come nota di canti peregrini

Mi giunge il suon della tua cetra bella,

O ignoto amico, e de li miei bambini

Nell’innocente amor mi rinnovella.

 

Io l’amo i miei bambini, ei per me sono

Il più caro ideal della mia vita,

Li strappai dall’oblio, dall’abbandono,

Spinto nel cor da una speranza ardita.

 

Fiorellini d’Italia, appena nati

Era aperto l’abisso a divorarli,

Non era sguardo d’occhi innamorati

Che potesse un istante sol bearli.

 

Pargoletti dispersi in sul cammino,

Senza amor, senza brio, senza sorrisi,

Ahimè, quale avvenir, quale destino

Li avrai nel torchio del dolor conquisi!

 

Perle deterse le bambine mie,

Le raccolsi dal loto ad una ad una,

Quasi conchiglie immezzo delle vie;

Oggi avviate a più civil fortuna.

 

Mi chiaman Padre: sulle loro chiome

Del ministro di Dio la man si posa;

Chiamano Madre, e a sì dolce nome

Risponde del Signor la casta sposa.

 

Perché non manchi a queste mense il pane

Ho gelato, ho sudato... - Oh, ecco intanto

Quest’oggi il vitto, o figli miei, dimane

Ci penserà quel Dio che vi ama tanto! –

 

Spesso ho battuto a ferree porte invano;

Atroce è stata la sentenza mia:

Via di qua l’importuno, egli è un insano;

Sconti la pena della sua follia! –

 

 

O miei bambini, un dì verrà che voi

Saprete il mio martirio e l’amor mio,

Che più non ama il padre i nati suoi,

Che per voi scongiurai gli uomini e Dio!

 

O ignoto amico! Il verso tuo potesse

Sciogliere i geli e convertirli in foco,

Onde pietà li doni suoi spandesse,

Pietà che al Cielo e alla terra invoco!

 


 

[1] Cfr. M. SPEDICATO, Annibale M. Di Francia e il suo tempo, in AA.VV., «Annibale M. Di Francia. Momento, opera, figura. Atti delle giornate di studi, Oria 15 – 16 ottobre 1977», Bari, Ed. Arti grafiche Favia, 1979, pp. 46 – 48; D. PALAZZO, Incidenza sociale dell’opera di Annibale M. Di Francia, in AA.VV., «Annibale M. Di Francia. Momento, opera, figura. Atti delle giornate di studi, Oria 15 – 16 ottobre 1977», Bari, Ed. Arti grafiche Favia, 1979, pp. 60 – 62. 66;  BORRACCINO, Azione religiosa e sociale…, p. 187; N. C. CORDUANO, Un’idea moderna di promozione umana, in «Studi rogazionisti», X 1989, n. 26/27, pp. 64 – 67; N. C. CORDUANO, La sua opera sociale fra due encicliche, Roma, Ed. Curia Generalizia dei Rogazionisti, 1990, p. 9, (Collana Quaderni di «Studi rogazionisti», n. 18).

[2] R. ROMEO, Mezzogiorno e Sicilia nel Risorgimento, Napoli, Ed. Scientifiche Italiane, 1963, p. 176.

[3] Cfr. SPEDICATO, Annibale M. Di Francia e il suo tempo, pp. 38 - 39; 44 - 45. 

[4] Cfr. VITALE, Il Canonico…, p. 80; Lettera al direttore de «La Parola Cattolica» (23 ottobre 1878), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 52, p. 25; V. NAZZARENO, Il lavoro nell’educazione del P. Annibale M. Di Francia, in AA.VV., «Annibale M. Di Francia. Momento, opera, figura. Atti delle giornate di studi, Oria 15 – 16 ottobre 1977», Bari, Ed. Arti grafiche Favia, 1979, p. 244.

[5] Lettera ai componenti della Società di Beneficenza di Taormina (3 gennaio 1902), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 41, p. 27.

[6] Veniva chiamato in questo modo il contatto con gli amici e i benefattori dell’istituto istaurato tramite l’invio di una rivista, contenente informazioni culturali e religiose e notizie dell’istituto, e una corrispondenza privata.

[7] DRAGO, Il Padre…, p. 185.

[8] Discorso per la visita di un comitato all’Orfanotrofio Antoniano femminile, in DI FRANCIA, Discorsi…, pp. 449 - 450.

[9] Discorso per la visita di un comitato all’Orfanotrofio Antoniano femminile, in DI FRANCIA, Discorsi…, pp. 457 - 458.

[10] Cfr. Lettera a destinatario sconosciuto (9 ottobre 1898), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 41 p. 21.

[11] Lettera alla Superiora delle Suore Buon Pastore (gen­naio 1891), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 38 p. 3.

[12] Lettera a Mons. Antonio Pennino (5 settembre 1897), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 37, p. 67 – 68.

[13] Discorso per la visita di un comitato All’Orfanotrofio Antoniano Femminile (20 agosto 1906), in DI FRANCIA, Discorsi…, p. 439.

[14] Discorso per la visita di un comitato All’Orfanotrofio Antoniano Femminile (20 agosto 1906), in DI FRANCIA, Discorsi…, pp. 450 - 451.

[15] Cfr. VITALE, Il Canonico…, p. 94.

[16]  Cfr. VITALE, Il Canonico…, pp. 147; 249 - 50.

[17] D. S. SANTORO, Breve profilo storico della Congregazione dei Rogazionisti, Ed. Curia generalizia dei Rogazionisti, Roma 1985, p. 81.

[18] TUSINO, Memorie biografiche, vol. 4, pp. 281 – 288.

[19] Cfr. Lettera al Prefetto di Lecce (27 ottobre 1910), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 41, p. 59.

[20] Cfr. DRAGO, Il Padre…, p. 339; T. Tusino, La nostra Casa S. Pasquale Baylon in Oria, in «Bollettino della Congregazione dei PP. Rogazionisti del Cuore di Gesù», XLII 1966, n. 3, p. 323.

[21] Cfr. DRAGO, Il Padre…, p. 71.

[22] Cf. Tusino, La nostra Casa S. Pasquale Baylon in Oria…, p. 310.

[23] Cfr. anche DRAGO, Il Padre…, pp. 231 – 232; 339 – 341.

[24] Cfr. E. TRAVAGLINI, La presenza in Puglia di Annibale M. Di Francia, in AA.VV., «Annibale Maria Di Francia Momento, Opera, Figura, Atti delle giornate di studio 15-16 ottobre 1977», Ed. Arti grafiche Favia, Bari 1979, p. 311.

[25] Cfr. Lettera al Prefetto di Lecce (27 ottobre 1910), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 41, p. 59.

[26] Discorso per la visita di un comitato All’Orfanotrofio Antoniano Femminile (20 agosto 1906), in DI FRANCIA, Discorsi…, p. 450.

[27] Appello ai cuori caritatevoli (7 gennaio 1909) in  DI FRANCIA, Scritti, vol. 43, p. 35. 

[28] Cfr. Discorso per l’inaugurazione di un mulino nell’Orfanotrofio Antoniano di S. Pier Niceto (26 novembre 1906), in DI FRANCIA, Discorsi…, pp. 508 – 521.

[29] Si tratta di un articolo del 9 settembre 1891 apparso su Il Corriere Peloritano e riportato in TUSINO, Memorie biografiche, vol. 2, p. 180.

[30] Cfr. DI FRANCIA, Scritti, vol. 43, p. 81.

[31] Cfr. DI FRANCIA, Scritti, vol. 61 pp. 109 - 110; TRAVAGLINI, La presenza in Puglia di Annibale Maria Di Francia, pp. 286; 295.

[32] Note ai margini di un processo…, in DI FRANCIA, Scritti, vol. 61 p. 110.

[33] TRAVAGLINI, La presenza in Puglia di Annibale Maria Di Francia, pp. 298; 299.

[34] Lettera al Can. Antonio Pennino di Palermo (5 settembre 1897) in DI FRANCIA, Scritti, vol. 37, p. 68. Cfr. anche VITALE, Il Canonico…, p. 263.

[35] Cfr. Fioricultura, Nuova Industria nell’Orfanotrofio Femminile del Can. Annibale Di Francia, (15 ottobre 1904), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 43, p. 20.

[36] Lettera al Sindaco di Oria, Gennaro Carissimo (29 Aprile 1914), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 41, p. 70; cfr. anche vol. 41, p. 59. Cfr. DRAGO, Il Padre…, pp. 384 – 389; 356 – 357.

[37] DRAGO, Il Padre…, pp. 389 - 390.

[38] DRAGO, Il Padre…, pp. 355 – 358; 384 – 390.

[39] Lettera a Mons. Adolfo Verrienti (3 aprile 1915), citata in TRAVAGLINI, La presenza in Puglia di Annibale A.M. Di Francia, p. 311.

[40] Cfr. TRAVAGLINI, La presenza in Puglia di Annibale A.M. Di Francia, p. 311.

[41] Cfr. Discorso per l’inaugurazione di un mulino nell’Orfanotrofio Antoniano di S. Pier Niceto (26 novembre 1906), in DI FRANCIA, Discorsi…, p. 521.

[42] Cfr. DRAGO, Il Padre…, p. 44.

[43] Discorso per la visita di un comitato All’Orfanotrofio Antoniano Femminile (20 agosto 1906), DI FRANCIA, Discorsi…, pp. 440; 451.

[44] VITALE, Il Canonico…, p. 103.

[45] Cfr. Discorso per la visita di un comitato All’Orfanotrofio Antoniano Femminile (20 agosto 1906), in DI FRANCIA, Di­scorsi…, p. 450.

[46] Cfr. VITALE, Il Canonico…, p. 94; Discorsetto dettato a una suora (marzo 1925), in DI FRANCIA, Scritti,  vol. 15, p. 45.

[47] Discorso per la visita di un comitato All’Orfanotrofio Antoniano Femminile (20 agosto 1906), DI FRANCIA, Discorsi…, p. 451.

[48] Discorso per l’ingresso degli Orfanelli Antoniani in Francavilla Fontana (31 gennaio 1909), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 45, p. 31.

[49] NAZZARENO, Il lavoro nell’educazione…, pp. 247; 249.

[50] Regolamento per l'Istituto Antoniano femminile di Oria (21 giugno 1910), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2010), vol. 5 p. 572.

[51] Regolamento per la costituzione giuridica della Pia Opera (1890), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2010), vol. 5, p. 144.

[52] Norme regolamentari per la Congregazione dei Rogazionisti (1914) , in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2010), vol. 6, p. 84.

[53] Note a margine di un processo…, in DI FRANCIA, Scritti, vol. 61, p. 111.

[54] Regolamento per l'Istituto Antoniano femminile di Oria (21 giugno 1910), pp. 571 - 573; Discorso per la visita di un comitato all’Orfanotrofio Antoniano femminile, in DI FRANCIA, Discorsi…, p. 450.

[55] Regolamento del Calzolaio (30 agosto 1905), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2010), vol. 5, p. 325.

[56] Regolamento del Calzolaio (30 agosto 1905), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2010), vol. 5, p. 324; cfr. anche DRAGO, Il Padre…, p. 185.

[57] Regolamento dell’Orfanotrofio Femminile (maggio 1891), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2010), vol. 5, p. 161; Regolamento per l'Istituto Antoniano maschile di Messina (9 novembre 1890), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2010), vol. 5, p. 147.

[58] Regolamento per gli alunni «Artigianelli» (febbraio 1915), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2010), vol. 5, p. 312.

[59] Cfr. Lettera a Fra’ Carmelo Drago, (3 dicembre 1923), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 30, p. 17. In questa lette­ra tra l'altro scrive: «1° Importante che si metta un premio come lo ha ideato Don Pietro per allettare i ragazzi al positivo lavoro delle scarpe. 2° Si deve riparare assolutamente al grave discre­dito e sprestigiamento in cui è fatto cadere il lavoro delle scarpe presso i ragazzi da darglielo per  castigo... ».

[60] Regolamento per l'Istituto Antoniano maschile di Messina (9 novembre 1890), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2010), vol. 5, p. 147; Discorso per la visita di un comitato all’Orfanotrofio Antoniano femminile, in DI FRANCIA, Discorsi…, p. 450.

[61] Regolamento per l'Istituto Antoniano femminile di Oria (21 giugno 1910), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2010), vol. 5, p. 357.

[62] DRAGO, Il Padre…, pp. 115 – 116.

[63] DRAGO, Il Padre…, p. 116; cfr. anche p. 248 e p. 296.

[64] Cfr. D. PALAZZO, Incidenza sociale dell’opera di Annibale M. Di Francia, p. 69.  Interessante a tal proposito è il Discorso per l’inaugurazione di un mulino nell’Orfanotrofio Antoniano di S. Pier Niceto del 26 novembre 1906 in cui Annibale Di Francia condensa la sua concezione del lavoro e dell’ingegno umano collegata ad  una visione realistica ma sostanzialmente ottimistica del progresso tecnologico di cui i nuovi macchinari del mulino, acquistati in pieno conflitto mondiale, erano espressione eloquente. Cfr. DI FRANCIA, Discorsi…, pp. 508 – 521.

[65] DRAGO, Il Padre…, p. 115.

[66] Discorso per la visita di un comitato all’Orfanotrofio Antoniano femminile, in DI FRANCIA, Discorsi…, p. 450.

[67] Circolare alle Figlie Del Divino Zelo (25 gennaio 1925), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 56, p. 62.

[68] Prima stesura del regolamento per le Figlie del Sacro Costato (8 agosto 1911), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2010), vol. 5, p. 733.

[69] Cfr. A. MONTONATI, Dalla parte degli ultimi, Roma, Ed. Curia generalizia dei Rogazionisti, 1991, (collana «Padre Annibale, oggi», n. 23), p. 15.

[70] Cfr. Pia Opera di Beneficienza dei Poveri abbando­nati. Resoconto e appello (aprile 1898), in Di FRANCIA, Scritti, vol. 60, pp. 97 - 98; SANTARELLA, Principi di pedagogia…, p. 328.

[71] DRAGO, Il Padre…, p. 116.

[72] Regolamenti per le Figlie del Divino Zelo (1920), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2010), vol. 6, pp. 512- 513.

[73] DRAGO, Il Padre…, pp. 115 – 116.

[74] Cfr. V. MAGISTRO, Il «CIFIR», un centro di scuola del lavoro, in «ADIF», XXV 2009, n. 3, p. 14.

[75] Per essere esaustivi occorre dire che, prima in Brasile, a Bauru con la «Casa do Garoto» (1951) e a Criciuma con il «Bairro da Juventude» (1954), e poi nelle Filippine con i «Boy’s Village» di Sylang (1987) e Toril (1998), i Rogazionisti hanno realizzato altre simili strutture di accoglienza per minori tuttavia non assimilabili del tutto alle «Boys Town» di Flanagan ed alle esperienze italiane degli anni ’50. Cfr. A. PERRONE, La carità “istituzionale”: rassegna storica delle scelte dei Rogazionisti, in AA.VV., «Apostoli del Rogate: per quale missione? Con i poveri per una carità creativa», [Roma], Ed. Curia Generalizia dei Rogazionisti, [2008], pp. 55 – 83.

[76] Cfr. AA.VV., Casa “San Pasquale” - Oria. C.Ed.Ro., Centro Educativo Rogazionisti, pp. 177 – 193 in AA.VV., Per la canonizzazione di Annibale Maria Di Francia. Giornate di studi e celebrazioni in Oria, Torre Colimena, Francavilla e Villa Castelli. Aprile Dicembre 2004, Manduria, Ed. Filo, [2005], 232 p.; AA.VV., Progetto Centro Educativo Rogazionisti (Oria), in «Studi rogazionisti», XXI 2000, n. 69/70, pp. 43 – 66; R. DE SIMONE, Un progetto di recupero dei minori. Ricerca sul Centro Educativo dei Rogazionisti di Oria (Tesi di laurea in Psicologia clinica), Università degli studi di Lecce, Facoltà di Scienze della Formazione. Corso di Laurea in Scienze dell’educazione, Lecce 2003, 180 p.; C. DE PASQUALE, Il progetto educativo della congregazione dei Padri Rogazionisti in Oria (Tesi di laurea), Università degli studi di Bari, Facoltà di Scienze della Formazione. Corso di Laurea in Scienze della formazione primaria, Bari 2007, 168 p. ; G. DI MARIO, L’impatto dei Progetti educativi individualizzati sull’organizzazione delle comunità d’accoglienza residenziale per minori: il caso della comunità C.ED.RO., in «Studi rogazionisti», XXXI 2010, n. 104, pp. 75 – 109; M. F. FAGGIANO, Il ruolo educativo dei Padri Rogazionisti in Oria (Tesi di laurea in Storia della Pedagogia), Università degli studi di Lecce, Facoltà di Scienze della Formazione. Corso di Laurea in Scienze dell’educazione, Lecce 2003, 220 p.; C. MARTELLA, Una casa tipo-famiglia, in «ADIF», XXV 2009, n. 3, p. 12; C. MARTELLA, La proposta psico-pedagogica del C.Ed.Ro.: nuovi itinerari ed esperienza di accoglienza / affido, in AA.VV., «Apostoli del Rogate: per quale missione? Con i poveri per una carità creativa», [Roma], Ed. Curia Generalizia dei Rogazionisti, [2008], pp. 139 – 144 (Collana Quaderni di «Studi Rogazionisti», n. 11); C. MUSCOGIURI, Affidamento dei minori. L’esperienza nella Coop. CEDRO di Oria (Prova finale in “Metodo e tecniche del servizio sociale”), Università del Salento, Facoltà di Scienze della Formazione, Scienze politiche e sociali. Corso di Laurea in Servizio sociale, Lecce 2013, 40 p.

I riferimenti bibliografici riportati sono necessariamente parziali ed indicativi: rimandiamo pertanto alla bibliografia sull’argomento contenuta negli stessi testi sopra elencati.  

[77] Cfr. C. MARTELLA, Una famiglia per ogni bambino, in «L’Amico Rog», XXVII 2006, n. 3/4, pp. 6 – 9 M. MONGELI, Una rete di famiglie solidali, in «ADIF», XXV 2009, n. 3, p. 13; C. PANTECA, L’associazione “Famiglie Insieme”, in «L’Amico Rog», XXVII 2006, n. 3/4, pp. 14 – 17; R. PERIN, Analisi di una realtà di lavoro clinico sociale con i minori e le famiglie accoglienti: C.Ed.Ro. – Centro educativo Rogazionisti Oria (BR) (Master universitario II livello. Il lavoro clinico e sociale con le famiglie accoglienti: affido e adozione), Milano, Università Cattolica del Sacro Cuore, 2010, 60 p.

 

[78] Questa è la felice espressione data da Teresio Bosco ad Annibale Di Francia e ad altre decine di personalità del mondo cattolico italiano che operarono a favore della gioventù e delle classi operaie dal XVI al XX secolo nel suo libro dedicato alla visione cristiana del lavoro ed alla dottrina sociale della chiesa. Cfr. T. BOSCO, I cristiani e il lavoro. Storia, figure, dottrina, [ Leumann ], Ed. Elledici, [ 2006 ], 160 p.

[79] Cfr. BORRACCINO, Azione religiosa e sociale…, p. 265.

[80] Cfr. LOVIGLIO, Annibale Di Francia educatore, p. 106.

[81] S. BURGALASSI, P. Annibale Di Francia, i Rogazionisti e il futuro, in AA.VV., «Annibale M. Di Francia. Momento Opera Figura. Atti delle giornate di studi, Oria 15 – 16 ottobre 1977», Bari, Ed. Favia, 1979, p. 338. Cfr. anche L. CABBIA, I nuovi bisogni sociali  la missione educativa sociale dei Rogazionisti: ipotesi di lettura, in «Studi Rogazionisti», XIII 1992, n. 38/39, p. 23.

[82] Cfr. SANTARELLA, Principi generali di pedagogia…, p. 339.

[83] P. MORELLI, Le attività educative di Annibale Di Francia, in AA.VV., «Annibale Di Francia. La Chiesa e la povertà», Roma, Ed. Studium, [1992], p. 73.

[84] Cfr. SANTARELLA, Principi generali di pedagogia…, pp. 338 – 339; NAZZARENO, Il lavoro nell’educazione di P. Annibale M. Di Francia, p. 253.

[85] Cfr. MORELLI, Le attività educative di Annibale Di Francia, pp. 72 - 73.

[86] La filosofia scolastica la riassume nelle quattro finalità del lavoro: procurare il vitto, rimuovere l’ozio dal quale nascono molti mali, frenare la concupiscenza, portare all’esercizio dell’elemosina. Cfr. anche P. CIFUNI,  Annibale Maria Di Francia educatore (Tesi di laurea), Università degli studi di Messina. Facoltà di Magistero, Messina 1974, pp. 111.

[87] Cfr. MORELLI, Le attività educative di Annibale Di Francia, pp. 65 – 66.

[88] Cfr. NAZZARENO, Il lavoro nell’educazione del P. Annibale Di Francia, p. 244; CIFUNI,  Annibale Maria Di Francia educatore, pp. 129, 133 – 137.

[89] Cfr. CIFUNI,  Annibale Maria Di Francia educatore, p. 89.

[90] NAZZARENO, Il lavoro nell’educazione del P. Annibale M. Di Francia, pp. 245 – 246.

[91] Lettera al sindaco e ai consiglieri di Taormina (2 gennaio 1909), in DI FRANCIA Scritti, vol. 41, p. 28.

[92] Cfr. SANTARELLA, Pedagogia rogazionista…, pp. 157 – 158; GERMINARIO, Provocatore della cultura, p. 13.

[93] Per un’analisi critico letteraria della poesia cfr. N. CLEMENTE, Io amo i miei bambini, Padova, Ed. Gregoriana, 1970, 64 p.; M. di pasquale, Il padre degli orfani, Roma, Ed. Curia Generalizia dei Rogazionisti, [2006], 48 p., (Collana «Padre Annibale, oggi», n. 21 n.s.); P. STELLA, Lo chiamavano “Padre”, Roma, Ed. Curia Generalizia dei Rogazionisti, 1989, 40 p., (Collana «Padre Annibale, oggi», n. 15); TUSINO, L’anima del Padre…, pp. 604 – 605.

 

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Ultimo aggiornamento: 27-05-17