2. La formazione culturale nell’opera educativa e sociale di Annibale Maria Di Francia

 

 

Per i suoi ragazzi Annibale Di Francia istituì scuole e attività parascolastiche in un momento in cui a Messina e in generale nel Mezzogiorno la scolarizzazione e la proposta culturale per le fasce medio basse della popolazione erano alquanto limitate.

Con la scuola era convinto di offrire un mezzo decisivo per la formazione e maturazione dei ragazzi: oltre all’istruzione essi avrebbero ottenuto una più facile opportunità di inserimento sociale.

In ogni sua istituzione Padre Annibale offrì un «ambiente di famiglia» dove c’è impegno per il dovere e insieme espansione e gioia nelle espressioni del gioco, del canto, della musica, delle escursioni, del teatro.

A livello pratico, l’azione educativa è orientata a tutto l'educando: dalla sfera fisica – con il gioco e le attività ricreative e artistiche –, alla sfera morale e religiosa, a quella intel­lettuale ed affettiva.

Il Di Francia, grazie ad una visione realistica ma ottimistica delle capacità umane, intuiva che l’azione educativa è un processo di crescita che fortunatamente si afferma anche quando è oppresso e devastato dall'ambiente o da esperienze ne­gative, come quelle alle spalle della maggior parte dei suoi ragazzi. Convinto della necessità che l'educando eviti ogni forma di oppressione delle sue energie interiori, promosse una educazione orientata verso il vero, il bene e il bello,  che in termini concreti vengono tra­dotti nello studio e ricerca della verità – il vero –; allegria, gioia, sport e ricerca della bellezza – il bello –, onestà e ricerca dei valori – il bene.

 

 

 

2.1 Istruzione e scolarizzazione nell’Italia meridionale di fine ‘800: dall’ordinamento scolastico borbonico alla “Legge Coppino”  

 

Abbiamo accennato pocanzi che la situazione culturale del periodo storico in cui è vissuto Annibale Di Francia è intimamente legata alle condizioni socio economiche del Sud Italia dal momento dell’unificazione in poi.

È importante ora tratteggiare, almeno sommariamente, le condi­zioni della scolarizzazione ed alfabetizzazione del Meridione di allora non solo per comprendere gli sfor­zi che Padre Annibale compì per elevare culturalmente ed intellet­tualmente i suoi ragazzi, ma anche per cogliere alcuni suoi giudizi sulla cultura scola­stica del tempo[1].

Nell'Europa del primo Ottocento si confrontavano due teorie circa l’incremento e la diffusione dell’istruzione: una vedeva nella propagazione dell'istruzione un mezzo per diminuire la distanza tra le classi sociali, favorendo nel contempo lo sviluppo economico; l'altra sosteneva il contrario, spingendo a tenere basso il livello di alfabetismo per non rompere il già instabile equilibrio sociale e mantenere lo status quo economico.

Negli Stati italiani preunitari era generalmente forte la seconda concezione politica e socio-pedagogica.

L’aumento demografico, l’industrializzazione e lo sviluppo economico sollevarono l'urgenza dell'alfabetizzazione di massa legata sia alla necessità di disporre di una manodopera qualificata rispetto all'introduzione delle macchine e all'aggiornamento delle tecniche produttive, agronomiche e industriali; sia all'embrionale emergenza di una questione sociale innescata dagli stessi fattori.

La storiografia mette abbastanza chiaramente in evidenza lo stato di arretratezza della pubblica istruzione nel territorio di tutta la penisola, al momento dell’unità d’Italia, soprattutto nelle province dell'ex-Regno delle due Sicilie, il cui indice di analfabetismo è il più alto del Paese[2]. Nel 1861, infatti, il tasso di analfabetismo in Italia era del 74,7% con punte superiori all’85% nel Mezzogiorno e del 90,5% in Sicilia.

Questo dato statistico è dunque il risultato eloquente della politica educativa e scolastica borbonica, inadeguata e oscillante tra oculata repressione e timide istanze innovative, tra oscurantismo e paternalistiche concessioni dall'alto, a sua volta conseguenza di più generali scelte politiche ed economiche. Eppure, dagli inizi dell’800 in poi, il sistema scolastico borbonico – almeno sulla carta – risultava valido e innovativo: predisponeva in ogni comune l'istituzione di scuole primarie per ambo i sessi, gratuite ed obbligatorie. Tuttavia essendo queste a carico delle amministrazioni locali, in pratica veniva offerta la possibilità di dotarsi di scuole elementari solo ai comuni maggiori, più ricchi e in cui una più vivace pressione dell'opinione pubblica e le elargizioni private contribuivano alle precarie finanze pubbliche. Nei centri minori e in quelli più poveri si mettevano invece in opera espedienti che rendevano praticamente impossibile la frequenza scolastica e la vita dei maestri. Le pessime condizioni logistiche delle scuole, l'assenza di un piano organico e l'inefficienza dell'apparato di controllo fecero il resto producendo risultati pressoché disastrosi: alla vigilia dell'unificazione, la precarietà istituzionale era notevole, così come basso continuava a essere il tasso di scolarità.

Il progresso della scuola pubblica era inoltre frenato da un lato, dalla riluttanza dell'aristocrazia a mandarvi i propri rampolli, lasciati nell'ignoranza o affidati a istitutori privati e collegi religiosi; dall'altro, dalla sostanziale insensibilità dei ceti subalterni, specialmente rurali, dovuta soprattutto alla persistente necessità del lavoro minorile. In definitiva, chi più usufruiva del servizio pubblico erano i figli della borghesia colta cittadina, quella delle professioni e dell'impiego pubblico, ma anche dei ceti più agiati delle campagne, che l'alternavano al ricorso agli studi privati.

Di fronte a questa situazione di diffuso degrado delle scuole primarie si tentò di correre ai ripari con un vero e proprio processo di clericalizzazione dell'insegnamento, che culminò nel 1843, quando venne ufficialmente delegata ai vescovi la discrezionalità pressoché assoluta su ogni provvedimento riguardante le scuole comunali e gli insegnanti, a partire dal loro reclutamento. D’altronde va tenuto in conto che in molte realtà l’insegnamento impartito tra le mura di parrocchie, conventi e seminari era l’unica alternativa che si presentava a chi voleva ricevere una sia pur elementare istruzione e, in certi casi, anche una più completa erudizione. Anche la scuola secondaria, al di là di rare eccezioni, era gestita per la quasi totalità dai religiosi e dal clero e veniva frequentata dalla gioventù appartenente ai ceti medio alti della società. A Messina, per esempio, ricordiamo il Collegio Carolino delle Scuole Pie del Calasanzio, dove fu iscritto, nel 1818, Felice Bisazza o il Collegio San Nicolò dei Gentiluomini, frequentato dal nostro Annibale Di Francia. L’insegnamento, spesso arretrato nei metodi come nell’indirizzo culturale, per gran parte si esauriva nello studio delle lingue classiche.

Se dunque nella Messina del 1851, anno di nascita del Di Francia, l’istruzione popolare si limitava alle lezioni impartite in parrocchia, le quali si riducevano quasi esclusivamente al catechismo e a qualche altra rudimentale nozione di lettura e di scrittura[3], subito dopo l’unificazione d’Italia, il passaggio graduale dell'istruzione nelle mani dello Stato tentò di porre rimedio a questa irrisoria offerta culturale.

L'atto di nascita del sistema scola­stico italiano fu la Legge Casati ovvero il regio decreto legislativo 13 novembre 1859, n. 3725 del Regno di Sardegna, entrato in vigore nel 1860 e successivamente esteso, con l'unificazione, a tutta l'Italia. Con questa legge, che prese il nome dal Ministro della Pubblica Istruzione Gabrio Casati (1798 – 1873), la clas­se dirigente del giovane Stato unitario si dava il proprio apparato ideologico e formativo e assumeva la gestione di tutte le istituzioni scolastiche e forma­tive, prima caratterizzate del partico­larismo e localismo regionale e comu­nale, diminuendo la prevalenza dell’intervento della Chiesa cattolica nel campo dell'istruzione e dell'edu­cazione. La legge sancì il ruolo normativo generale dello Stato e la gestione diretta delle scuole statali, così come la libertà dei privati di aprirne e gestirne di proprie, pur riservando alla scuola pubblica la possibilità di rilasciare diplomi e licenze. Ebbe il merito inoltre di aver su­perato definitivamente la distinzione fra i sessi considerandoli alla pari di fronte alla necessità dell'istruzione anche se per molti anni la carenza di scuole femmini­li nel Regno d’Italia rimarrà il punto più critico dell'istru­zione popolare.

L’educazione primaria è gratuita e obbligatoria fino al primo biennio per quanto non fossero previste sanzioni che ne garantissero il rispetto – introdotte solo con la Legge Coppino, nel 1877[4]. Nonostante la rigida centralizzazione, veniva lasciata la gestione dell’istruzione primaria ai Comuni, molto spesso incapaci di far fronte alle spese necessarie per garantire lo svolgimento delle lezioni. Dove il livello civile ed economico era più basso l'istruzione si rivelava più problematica e meno diffusa. Anche lo scarso interesse per la formazione dei maestri e l’esiguità dei loro stipendi testimoniano il sostanziale disinteresse che, al di là delle buone intenzioni, il nuovo Stato riservava l’educazione primaria.

Specialmente quando la legge fu estesa alle regioni dell'Italia centrale e meridionale, l'alfabetizzazione si presentava strettamente connes­sa con l'arretratezza dei mezzi di pro­duzione, del lavoro, dell'igiene, del co­stume. Nel 1871, – qualche anno prima che il diacono Di Francia metta piede nel Quartiere Avignone – nel Piemonte vi erano 6763 scuole elementari pubbliche, mentre la Basilicata ne aveva appena 324 e la Si­cilia 1711. In Prussia, nel 1857, ve n’erano 25.463[5]! Fermandoci ancora al Sud, le condizioni delle Puglie non erano più rosee del resto del Meridione, se, per esempio, a Trani, nel 1910, Padre Annibale trovò bambini e bambine in uno stato di quasi totale abbandono:

…erano povere creaturine immezzo ai vortici di un mondo cattivo e disordinato, in tempi in cui l’innocenza è esposta a tanti pericoli, figliuoline nate nella povera ed oscura condizione di disagiate famiglie del popolo, dove alla miseria e alle penurie va unita la ignoranza della religione e della stessa umana dignità, prive anzi tempo della paterna e materna assistenza[6].

 

Così anche in questo campo non si riuscì a raccorciare le distanze tra Nord e Sud: analfabetismo e arretratezza culturale crebbero a dismi­sura nelle province borboniche già aggravate dalla impo­sizione dei tributi, specie sui prodotti agrari. Per renderci conto del drammatico divario, basta considerare che la Liguria era do­tata di un'aula scolastica per ogni 1645 abitanti, mentre in Calabria vi era un'aula ogni 59.561 abitanti!

Di fronte ai centri agricoli e industriali del Nord, dove era possibile alimentare iniziative di una certa im­portanza, nelle provincie meridionali vi erano paesi isolati da ogni contatto civile, sen­za strade, senza fogne, senza acqua, senza medico, senza edifici scolastici decenti.

Si spie­gano quindi l'alto numero di analfabe­ti, la ridotta quantità di scolarizzazio­ne primaria, le assenze in massa per cui le classi si riducevano a metà o a meno della metà del numero degli iscritti. Per di più alla miseria delle regioni arretrate si aggiungeva il peso delle tas­se e della leva militare, non lasciando altra forma di reazione che il brigantaggio e l'emigrazione.

Il drammatico degrado culturale e la pessima situazione economica portarono ineluttabilmente, come un circolo vizioso, allo sfruttare il lavoro infan­tile e minorile: per i figli che si moltiplicavano per incrementa­re l'asse familiare e collaborare alla grama economia famigliare era praticamente annullata ogni possibilità di istruzione.

La triste e terribile condizione dei fanciulli lavoratori meridionali, sfrut­tati come schiavi nei lavori agricoli e in quelli ancor più pesanti e pericolo­si dell'industria e delle miniere – basta pen­sare alla condizione dei “carusi” affidati ai “picconieri” nelle solfatare si­ciliane –, è stata efficacemente descritta dalle opere dei narratori del verismo quali Luigi Capuana (1839 – 1915), Federico De Roberto (1866 – 1927), Giovanni Verga (1840 – 1922) o dalle “Novelle per un anno” di Luigi Pirandello (1867 – 1936).

Se dunque le scuole diurne rimanevano de­serte, occorreva creare un tipo di scuo­la diversa rivolta ad arginare quella situazione dispe­rata. Al contrario della inerzia dei pub­blici poteri, intervenne l'opportuna e disinteressata opera di molti maestri sostenuti dalla carità priva­ta: l'in­segnante doveva spesso provvedere ai locali e alle spese occorrenti per il loro arredamento[7]. I programmi, i metodi e gli orari venivano adattati caso per caso. Così la scuola divenne festiva o serale, itine­rante o stabile secondo le circostanze, con banchi smontabili, portati a spalla, alloca­ta in capannoni, vagoni ferroviari o stalle che accoglievano ragazzi e adulti. Questo tipo di scuola veniva sempre più frequentata, nonostante il disappunto o il sabo­taggio operato da grandi proprietari terrieri, che vedevano malvolentieri na­scere nuovi desideri, capacità critiche, abitudini nuove nei loro contadini, ad opera di giovani insegnanti, che par­tivano all'alba e tornavano a casa al tramonto dopo vari turni di lezioni.

Giovanni Giolitti fotografò efficacemente la situazione ricordando che in Sicilia, nel 1894,

…dopo lo scioglimento dei fasci siciliani, si raccolse a Caltagirone un congresso di grossi proprietari, il quale ebbe il coraggio di proporre, per tutta riforma, l'abolizione dell'istruzione elementare, perché i contadini e i minatori non potessero, leggendo, assor­bire idee nuove[8].

 

Anche l’anticlericalismo diffuso nell’ambiente culturale fece temere a ragione conseguenze deleterie nella formazione delle nuove generazioni. Un punto di gravi e accanite contro­versie tra la Chiesa e lo Stato nascen­te fu proprio l'insegnamento della religione catto­lica nelle scuole statali. I pareri divergevano tra chi vo­leva sottoporre allo Stato perfino la formazione dei sacerdoti nei semina­ri e chi premeva per conciliare le opposte li­bertà della Chiesa e dello Stato. Mol­te di queste difficoltà furono su­perate con la promulgazione della Legge Casati: l'insegnamento religioso nelle scuole elementari era obbligatorio ma poteva esser concessa l'esenzione agli alun­ni che ne facessero domanda. Era stato affi­dato agli insegnanti laici sotto il controllo dell'autorità ecclesiastica; nei convitti e nelle scuole secondarie era impartito dai direttori spi­rituali, che non facevano parte, però, del corpo docente; le facoltà di teologia furono soppresse, ma nei seminari veniva lasciata la più ampia libertà di pro­gramma e di metodo.

Tale insegnamento restò ob­bligatorio fino al 1877, quando fu varata la Legge Coppino, che – come abbiamo accennato – disciplinò meglio l’obbligatorietà scolastica, ma nel contempo spinse la pubblica istruzione verso una posizione aconfessionale. La legge fissava tra le materie di insegnamento le "nozioni dei doveri dell'uomo e del cittadino", al posto dell'insegnamento religioso, che poteva essere effettuato solo su richiesta e fuori dall'orario scolastico.

I cattolici criticarono ampiamente questa legge, dato il taglio laico dovuto all'influenza positivista.

In questo contesto il Di Francia denuncia “l'orrendo guasto dell'istruzione” nella sua Messina[9] e

…i grandi pericoli [ a cui si va ] incontro togliendo l’insegnamento religioso dalle scuole, affidando la gioventù ad insegnanti atei o immorali[10].

 

E scrive ancora a riguardo:

Le scuole del secolo mirano soltanto alla istruzione e poco curano l'educazione del cuore, [ non ] spinte da un sentimento religioso…[11]

 

Oggi la società va in rovina, perché è stata scossa la base della religione, sia nell’educazione del cuore che negli insegnamenti dell’intelletto! Le scuole, generalmente parlando, e specialmente nei grandi centri, sono divenute un campo di seduzione, d’inganno e di pervertimento.

La povera gioventù, affidata a maestri che insegnano l’ateismo, che spingono i teneri cuori all’odio e alla ribellione contro la Suprema Autorità ecclesiastica; e voi vedete da quelle scuole uscire giovani con l’animo avvelenato dai falsi insegnamenti, e dalle più spudorate menzogne storiche, i quali guardano in cagnesco i sacerdoti, deridono la religione e preparano a se stessi, alle famiglie e alla società infelicissimi giorni.

Se poi si tratta dell’educazione della plebe, non meno perniciose sono le conseguenze di una educazione senza Dio! Ve lo dicono i moderni sconvolgimenti sociali nelle classi operaie! Ve lo dicono i continui scioperi e i continui disordini, le ribellioni alle autorità civili, gli odi, gli omicidi, e tanti e tanti mali che minacciano da un momento all’altro di mandare in rovina tutto l’ordine sociale[12].

 

Tali maestri liberali e laicisti[13] non possono essere buoni educatori: non seguendo criteri illuminati, possono influenzare negativamente i fanciulli proprio nell’età dalla quale dipende tutto l'avvenire dell'uomo e della società:

…purtroppo avviene non di rado che le anime innocenti, da non retti educatori o educatrici vengono messe sopra una falsa via! Eppure, dai principii della primitiva educazione dipende tutto l’avvenire della fanciullezza, anzi tutto l’avvenire della società[14].

 

 

 

2.2 Formazione scolastica 

 

Se queste erano le condizioni della scolarizzazione e della cultura popo­lare del suo tempo, possiamo intuire con quale passione e responsabilità di prete e di educatore Annibale Di Francia profuse tutte le sue forze per correre ai ripari.

Persuaso della necessità della educa­zione intellettuale nell’azione pedagogica fin da giovane scriveva:  

L'uomo  [ quando fu creato da Dio ] riflettea nella sua mente un raggio dell'increata sapienza, ed avea nel suo cuore una scintilla dell'amore increato. Ma quando le tenebre si gettarono nello spirito, il primo che venne ad offuscarsi fu l'intelletto, e la volontà ri­mase come depositata nell'arbitrio del cuore. Allora bisognò che l'educazione prendesse di mira il cuore come punto di partenza della volontà; poiché una volta indirizzato l'amore al vero, l'intelligenza non poteva non riflettere in sé le aspirazioni del senti­mento e non correre dietro questo. Diceva Necker: «Quando il corso dello sviluppo morale è ben di­retto, il gusto dei piaceri intellettuali si accresce con gli anni»[15].

 

Con queste convinzioni, il Di Fran­cia fin dai primi anni della sua attività ha riservato la massima attenzione alla formazione culturale dei suoi ragazzi

…scegliendo per cattedra in quelle catapecchie un focolare[16] –  come riferisce il suo primo biografo, Padre Francesco Bonaventura Vitale, – e continuò ad andarvi quasi tutte le sere per istruire ed evan­gelizzare, e si accrescevano le turbe dei dintorni, bramose di ascoltarlo[17].

 

Nel Quar­tiere Avignone, dunque, dove tutto ci poteva stare tranne che una scuola, il giovane Annibale Di Francia – scrive Angelo Sardone – sta giocando la sua reputazione ed il suo blasone nobiliare facendo l’insegnante in mezzo ai poveri, diventando il difensore della loro dignità e dei loro diritti[18]. L’immagine di un Padre Annibale che insegna in questa scuola sui generis o che – come vedremo – ammaestra i fanciulli nei laboratori lavorando insieme con loro richiama sorprendentemente gli stessi atteggiamenti di Don Bosco oppure non può non essere accostata alla figura di Don Lorenzo Milani (1923 – 1967) nella sua opera e nella coscienza della funzione sociale della scuola.

L'8 settembre 1882, Padre Annibale, raccolte le prime orfanelle nel “Piccolo Rifugio del Cuore di Gesù”, cercò di dar loro una conveniente istruzione ancora rudimentale[19]; mentre quando, il 4 novembre 1883, raccolse i primi orfanelli in un asilo, poté offrire loro una più com­pleta educazione intellettuale[20].

 

Si è fondato da due anni in quel luogo un Rifugio per le giovinette che versano in grave pericolo di perdere l'onestà. In esse si raccolgono pure fanciulle disperse ed orfanelle. Quivi quelle poverette ricevono una conve­niente educazione e istruzione in varie specie di lavori e anche nelle classi elementari.

Si è aperta una scuola serotina per i fanciulli maschi, per i quali si pensa di aprire quanto prima un altro luogo di ricovero.

Si è aperto altresì un piccolo asi­lo per bambini da cinque a otto anni, nel quale si raccolgono quelle creatu­rine fino a sera, per ricevervi un po' d'istruzione nei lavori e nella prima let­tura, e in po' di vitto[21].

 

Tale istruzione si uniformò ed ampliò sempre più man mano che le condizioni dei due orfanotrofi divennero più adatte allo scopo: si organizzarono delle scuole interne per l'istruzione elementare e a chi ne aveva l’inclinazione e buona volontà veniva offerta la possibilità di apprendere la musica, il canto e le belle arti. Guardando al lavoro fatto ed ai risultati raggiunti, da lì a pochi anni, con una certa soddisfazione il Di Francia potrà dire che

 

…anche l'istruzione elementare è coltivata nei due Orfanotrofi, avendo ciascuna Casa la sua scuola abbastanza capace, con panche, lavagna, Crocifisso, ritratto del Re, tavolino, e tutto l'occorrente. I maestri vi sono regolarmente patentati[22].

 

 

 

2.2.1 Maestri e insegnanti  

 

Considerando quanto detto sopra a proposito degli insegnanti atei, il Padre Annibale preferisce che gli insegnanti delle scuole all’interno delle Case rogazioniste siano religiosi[23]. Egli era persuaso che in generale i docenti esterni, non sempre per propria colpa, non fossero disposti quanto i religiosi ad affrontare dei sacrifici per l’educazione dei ra­gazzi interni affidati alle loro cure[24].

 

Questo gravissimo compito della educazione ed istruzione  di tante orfanelle, mi mise in un'altra grave necessità: nella necessità o di procurarmi delle buone educatrici o di formarle. Dapprima cercai procurarle; e mi rivolsi a due Comunità di Suore in Italia, poiché in questo affare della educazione delle giovanette raccolte in un Istituto, non ci lusinghiamo in contrario, nessuna maestra privata uguaglierà mai la Suora, la quale è nata fatta tra le mani della Religione per far da madre, da maestra, da amica e da sorella, alle giovanette di qualsiasi condizione. La Suora educatrice e madre delle alunne è uno dei più belli spettacoli che il Cristianesimo ha offerto in ogni tempo, e specialmente da due secoli in qua.

Io ne intesi lo stretto bisogno fin da quando presi a raccogliere orfanelle. Ma le Comunità che io vagheggiava pel mio Orfanotrofio, cioè le Figlie della Carità e le Figlie di S. Anna, non poterono accettare il mio invito, non avendo io mezzi come retribuirle[25].

 

In connessione a quando detto sopra egli riteneva che diversi “enti morali” af­fidati a laici

…perdono col tempo l'impulso e il carat­tere e della vera carità e della beneficenza![26].

 

Forse i tempi non erano sufficientemente maturi come oggi per parlare di volontariato e di no-profit!

Occorreva dunque preparare maestre e maestri interni. Senza nascondersi le difficoltà, ma neppure disarmare dinanzi ad esse, il Di Francia si impegnò con tutti i mezzi a sua disposizione per raggiungere lo scopo:

 …se quelli che una volta mi criticavano, sapessero per quali fortunose vicende ho dovuto passare per la formazione di questa Congregazione di Suore; come ho dovuto gelare e sudare, nel tempo stesso che la povera anima mia abbracciava a stuoli a stuoli orfani e orfane della Città, della Provincia e del Comune! Dover formare la riuscita di tante ragazze, e dover nel contempo formare le loro educatrici e maestre! [27]

 

Dato il numero maggiore delle case e delle alunne il problema delle maestre era maggior­mente avvertito negli istituti femminili, tuttavia proprio costì si poteva trovare più facilmente la soluzione, grazie alla disponibilità delle suore e delle aspiranti alla vita religiosa. Francesco Vitale scrive:

Per avere maestre proprie, destinate all'insegnamento delle orfanelle, il Padre faceva impartire un'istruzione speciale alle giovinette probande che volevano prendere l'abito religioso e le più brave le indirizzava per le vie del Magistero, affinché conseguito il diploma di insegnante, potessero oc­cupare esse e non più le esterne quest'ufficio nello Orfanotrofio[28].

 

A tale scopo Padre Annibale diramò una circolare alle case femminili, affinché le ragazze che all'ingegno unissero la buona vo­lontà fossero incoraggiate a conseguire il diploma per l'insegnamento elementare[29].

 

Quest'anno – scrive ancora il Padre, nel 1908 – per la prima volta 10 giovani dell'istituto femminile si esposero agli esami di maturità con buoni risultati. Ed indi si im­piantò l'istruzione per il conseguimento della patente di maestra[30].

 

Annibale Di Francia considerò tale iniziativa una «vera risorsa civile della Opera»[31] e simili progetti furono avviati anche negli istituti maschi­li[32]. Tuttavia quando gli insegnanti religiosi non erano sufficientemente preparati ad assolvere tale compito non badò a spese per procurare docenti laici. Questi do­vevano essere all'altezza del loro compito per doti non soltanto professionali, ma soprattutto religiose e morali[33]; insegnanti capaci di essere comunicatori del sapere e nel contempo esempi e modelli di vita. Nel “Trattato dell'Orfanotrofio” leggiamo:

 

Si faccia sempre ricerca accuratissima per avere una maestra veramente pia, vestita modesta, che frequenti i sacramenti, che sia docile, e che possa e sappia dare l'istruzione scolastica che conviene (...). An­nualmente si facciano gli esami e la premiazione con qualche invito e trattenimento. Si procuri che lo studio delle classi arrivi fino alla quinta o anche alla sesta[34].

 

Tenendo conto di questa impostazione, non fa meraviglia apprendere che Padre Annibale fosse soddisfatto dell'anda­mento degli studi dei suoi istituti e che le stesse autorità civili ne riportassero delle buone impres­sioni in occasione delle ispezioni periodiche, come si evince da una relazione della superiora della Casa di Altamura a seguito della visita dell'ispettrice scolastica di Bari e dell'ispettore centrale[35].

Il 21 marzo 1922 il brigadiere che visitò l'Istituto di Oria espresse un giudizio più che positivo sul­la serietà con cui si impartiva l'insegnamento elementare alle piccole assistite:

 

…se ne va soddisfat­to dicendo: “Sono rimasto meravigliato, non sanno le ra­gazze esterne di quarta classe quanto queste di prima”[36].

 

Più convincente è la Relazione del sindaco di Oria al prefetto di Lecce sugli Istituti di Oria:

…mi costa che le orfane prendono lezioni delle classi 1a, 2a e 3a  elementare dalle maestre patentate signorina An­gelina Lilla e signorina Cavallo Grazia. L'una e l'altra vengono da Francavilla Fontana, man­date a prendere con carrozza dal Can. Di Francia, il quale non ha potuto ancora trovare una maestra elementare in Oria. Però le ragazze profittano ugualmente mediante la scuola accurata delle due insegnanti[37].

 

É verosimile che il Di Francia non avesse trovato in città delle maestre secondo i suoi desideri.

 

 

 

2.2.2 La scuola e lo studio 

 

La cultura e la scuola sono ritenute essenzialmente come mezzi di moralizzazione e strumenti di preparazio­ne alla vita.

 

Bisogna che l'educazione – afferma Padre Annibale – rigeneri e moralizzi la fanciulla strappata al vagabondag­gio; bisogna che l'istruzione la renda atta a guadagnarsi il pane della vita[38].

 

Innanzitutto il corredo scolastico:

Le scuole siano attrezzate e fornite al meglio dei sussidi scolatici. Non si facciano mancare i libri, i quaderni e tutto l’occorrente. È bene offrire agli alunni un sostegno culturale nello studio, formando la bibliotechina scolastica. Si dia ai ragazzi il tempo regolare per la scuola e per lo studio[39].

 

 I Regolamenti indicano le norme sulla impostazione del programma formativo scolastico. L'articolo sesto di uno Statuto riporta:

Gli orfanelli vengono avviati alle arti ed ai mestieri, e le orfanelle ad ogni sorta di lavoro don­nesco. Gli uni e le altre ricevono scuola fino alla quinta ele­mentare, da professori autorizzati. Vi è pure lezione di musica per alcuni che ne mostrino particolari disposi­zioni[40].

 

In ogni Casa che con il passar del tempo veniva aperta venne applicato tale programma di studi.

Le raccomandazioni vanno sia ai ra­gazzi, perché si impegnino a studiare con diligenza e senza perder tempo, sia ai sorveglianti perché procurino di agevolare i piccoli con la loro presenza vigile:

 

…il Prefetto starà atten­to perché i ragazzi facciano regolar­mente lo studio, sorve­gliandoli e procurando che abbiano tutto l'occorrente, carta, penna, inchio­stro, libri, ecc. Si prenderà cura pari­menti che intervenga il Maestro della scuola regolarmente nei giorni stabili­ti, e durante la scuola, egli sorveglierà ispezionando. Si farà dare dal Mae­stro il rapportino dei punti di merito o demerito, e lo presenterà ogni volta al Direttore[41].

 

Attenzione particolare viene data allo studio delle lingue straniere[42] e al contenuto dei libri scolastici adottati[43].

Tut­ti gli alunni venivano istruiti almeno fino al raggiungimento della licenza di quinta elementare: in un periodo in cui l'analfabetismo era la normalità, ta­le scolarizzazione può essere considerata alquanto elevata. Nondimeno

 

…a quelli poi che mostrano buona capacità e volontà, secondo le possibilità locali ed economiche dell’Istituto, si faccia frequentare anche la scola superiore, come fanno i genitori per i propri figli, a costo di gravi sacrifici[44].

 

Riguardo agli anni della formazione, Padre Annibale si dimostrava fermo nella convinzione che almeno fino al diciottesimo anno di età, me­glio ancora al ventunesimo, il ragazzo non avrebbe dovuto lasciare l'istituto; infatti egli espresse la sua opinione contraria alla proposta avanzata dal Consiglio degli Orfanotrofi e dal Pio Albergo Trivulzio di Milano che consisteva nel

 

…dimettere dagli anni 12 ai 15 gli alunni dell’Orfanotrofio maschile, per consegnarli o alla madre o al tutore, con la prospettiva di una borsa di studio ai dimessi da dodicenni a quattordicenni, che dovrebbero frequentare le scuole professionali, e una borsa di lavoro ai quindicenni.

 

A riguardo riferiva:

Il mio debole parere è assolutamente e radicalmente contrario, purché l’educazione che ricevono i ragazzi in cotesti Orfanotrofi non lasci nulla a desiderare dal punto di vista civile e religioso. Io suppongo che vi siano scuole di arti e mestieri. In tal caso il giovane uscito a 18 anni (sebbene dovrebbero starci fino a 21 anni) conosce l’arte e può fare una buona riuscita cittadina. Invece consegnarli alle madri a 12 anni, o ai tutori, è lo stesso che perderli, generalmente parlando. Io tengo istituti maschili e femminili per orfani, che, secondo le nostre regole, escono all’età maggiore, ma così bene corredati d’istruzione e di educazione, che tutti si guadagnano onestamente il pane della vita. L’importante è l’educarli bene, a base di retti principi religiosi e civili, col rispetto prima a Dio e alla sua legge santissima, ed indi a tutte le Autorità costituite, civili ed ecclesiastiche.

É pure sommamente importante che i ragazzi siano così accuratamente sorvegliati, da non potersi guastare l’un con l’altro, specialmente nei costumi, perché se entra il malcostume l’Orfanotrofio non può più reggersi; tutto va sossopra, i ragazzi diventano svogliati ad apprendere, non suscettibili ad educarsi, cosicché sarebbe quasi pericolo minore quello che potrebbero trovare fuori dell’Istituto, affidandoli ai tutori che ne avessero una certa cura. Dipende il tutto dalla qualità degli educatori, i quali non siano di quelli che danno il bando a qualsiasi metodo di educazione, che non sia totalmente laico[45].

 

Gli alunni devono dunque applicarsi allo studio con intensità e diligenza, senza sciupare il tempo prezioso a disposizione.

 

Oltre i lavori manuali, gli orfanelli avranno lo studio, che faranno in si­lenzio, con attenzione e profitto. Ogni orfanello starà alla scuola con molta attenzione e mostrerà stima e rispetto al proprio Maestro. Gli orfanelli faran­no con diligenza i compiti scolastici, e si riguarderanno attentamente dallo sciupare tempo, carta e libri, ma use­ranno con diligenza per fare tutto con ordine e pulitezza. Ogni mese sarà pre­sentata la media al Direttore. Ogni 2 mesi vi sarà un esame privato, con un premio ai più diligenti. Dopo l'esame d'ogni anno si farà la premiazione pubblica, anche con l'esposizione dei lavori[46]. 

 

Oltre ad essere un dovere del loro stato è la premessa per la realizzazione del proprio avvenire[47].

“Godo in sentire che non dimenticate lo studio”, scriveva il Padre alle prime novizie, probande e aspiranti[48]; ed una simile insistenza è stata il leit-motiv della sua vita.

Le scuole delle Case rogazioniste vengono infine aperte anche ad alunni esterni, come per esempio, le Case femminili di Messina, Oria e Trani. Alcune altre Case, quali San Pierniceto (Messina), Giardini Naxos (Messina) e Santa Eufemia d’Aspromonte (Reggio Calabria), vengono fondate da principio unicamente come “esternato”, cioè con scuole e – come vedremo in seguito – scuole professionali aperte a ragazze “esterne”, frequentanti al massimo il semi – convitto.

 

É questa finora la bella missione delle Figlie del Divino Zelo (…) raccogliere le figliuoline sia civili che popolane per istruirle  nei  lavori, e molto più per educarle ed edificarle religiosamente ed istruirle nei doveri della Religione Cristiana[49].

 

In un “Avviso” il Di Francia scrive che le ragazze di Messina insieme alla possibilità della formazione culturale possono trovare un ambiente moralmente sano e capace di promuove­re il loro completo sviluppo:  

Questa scuola, giusta le regole pedagogiche, mirerà allo svolgimento delle triplici facoltà umane: intel­lettuali, morali e fisiche. Si svolgeranno le facoltà dell'intelligenza con l'inse­gnamento armonico delle varie discipline. Infatti le bam­bine svolgeranno regolarmente i programmi delle classi elementari e dopo d'aver ottenuta qui la licenza della quinta potranno certamente, qualora volessero continuare gli studi, far gli esami di ammissione al primo corso preparatorio[50].

 

 

 

2.3 Catechesi e formazione religiosa

 

La catechesi e la formazione religiosa del fanciullo vengono posti da Padre Annibale alla base - e non poteva essere diversamente! - della gerarchia degli apprendimenti:

Da trent’anni che mi affatico a raccogliere orfanelli ed educarli, per provvedere al loro avvenire, ho stimato ed ho sperimentato che base inconcussa di ogni educazione civile si è l’educazione religiosa! Ho toccato con mano questa verità insegnata dalla esperienza, dalla ragione, dalla fede, dai dotti e dal buon senso di tutta l’umanità, che per formare l’uomo civile, educato, buon cittadino, bisogna formarlo cristiano!

Se s’istruisce la mente dei giovani nella grande palestra dello scibile, bisogna altresì istruirla nei supremi principi della fede cattolica. Se si esercitano le braccia dei figli del popolo alle arti ed ai mestieri, bisogna altresì esercitare le loro labbra alla preghiera, ed innalzare la loro mente a quella purissima regione di luce, in cui non vi sarà distinzione secondo i ranghi e le condizioni sociali, ma secondo la virtù e i meriti della vita cristiana[51].

 

Ed ancora:

 …ritengano le suore che l'insegnare bene la dottrina agli orfani ricoverati è cosa di alto interesse, cui si debbono applicare seriamente, perché da qui proviene il vero profitto delle ragazze[52].

 

Il Di Francia confessa di aver avuto il desideri di scrivere egli stesso un catechismo per i fanciulli da adottarsi nelle Case rogazioniste, ma l'età avanzata e le costanti preoccupazioni non glielo permisero. E ce n’è da rammaricarsi – scrive Vincenzo Santarella – perché

…la grande un­zione del Padre, la sua spigliata fantasia, il suo linguaggio poetico, nonché la lunga esperienza pe­dagogica, gli avevano acquisito una vera compe­tenza in fatto di insegnamento della Dottrina Cri­stiana[53].

 

Tuttavia, se non possediamo tale sospirato testo, abbiamo in com­penso un suo “resoconto” delle ispezioni alle varie parrocchie di Messina circa l'insegnamento del catechi­smo, inviato nel 1882 all'Arcivescovo Giuseppe Guarino (1827 – 1897), che glielo aveva richiesto. Tale rapporto è accompagnato da una serie di suggerimenti da prescrivere e  industrie spirituali da adottare affinché l'insegnamento del catechismo possa procedere con maggiori frutti[54].

Tra gli inconvenienti da evitare nell'insegnamento del catechismo – annota Padre Annibale – è da tener presente che non va studiato a memoria, quanto piuttosto impresso nei cuori dei fanciulli.

Il testo sul quale studiano i fanciulli deve essere adatto ad essi: né troppo prolisso e neppure eccessivamente intercalato da domande e risposte; che dia cognizioni, ma che sia nello stesso tempo, misurato e proporzionato.

Inoltre con accortezza ed abi­lità i bambini siamo premiati per l’impegno e i risultati conseguiti.

L'istruzione della mente circa i misteri della fede, deve essere supportata da immagini simboliche e figure illustrate ed accompagnata dall'edu­cazione del cuore dei fanciulli alla pietà,

…essendo il cuore degli innocenti il più fertile terreno per ri­cevere i preziosi germi della religione. L'insegnamento della mente senza l'educazione del cuore – conclude questo primo punto  –  è cosa vana, che non può dare buoni risultati[55].

 

Circa le modalità con cui impartire le lezioni di catechesi, Padre Annibale afferma che occorrono le istruzioni, ossia l’insegnamento sulle verità di fede, i racconti attinti dalla Bibbia e dalle vite dei santi, ecc.; le industrie spirituali atte a svegliare la pietà nei cuori dei fanciulli come le devozioni, le festicciole, le canzoncine, gli incontri dei fanciulli, ecc.; gli esami periodici e finali.

Tale metodologia, che ha del geniale ed anticipa sorprendentemente le attuali acquisizioni sulla catechesi e iniziazione cristiana dei fanciulli, fu tradotta in pratica dal Di Francia già nella cappella del “Quartiere Avignone”[56] e successivamente negli orfanotrofi ed esternati, e infine fissata, nelle linee essenziali, nei “regolamenti”[57].

 

 

 

2.4 Sport, ricreazione, norme igieniche XE "2.4 Sport, ricreazione, norme igieniche"  

 

Sulla scia delle acquisizione scientifiche e pedagogiche del tempo, Padre Annibale dà rilievo e importanza allo sport, al gioco ed al momento della ricreazione:

 Conferirà [ vigore ] alla salute dei ragazzi la ricreazione vivace, movimentata e all'aria aperta. In casi di intemperie, la ricreazione si farà negli ambienti dell'Istituto, purché l'apertura delle finestre sia ben regolata[58].

 

Gli Orfanotrofi devono possedere un campo o almeno un atrio e delle logge ariose  per la ricreazione dei ragazzi[59].

Durante la ricreazione poi i ragazzi devono avere piena libertà

 …di giocare, saltare e far chiasso, perché hanno bisogno di sfogo, che tanto conferisce alla salute e allo sviluppo di essi[60].

 

Nel suo libro di memorie Padre Carmelo Drago annota che

 …il Padre amava vedere la ricreazione dei ragazzi animata e allegra. La riteneva importante per il sano sviluppo fisico, per il riposo della mente ed anche come elemento di prevenzione morale. Diceva che, specialmente per i ragazzi di collegio, la ricreazione è l’ora più bella, un’esigenza naturale che merita di essere rispettata.

Godeva poi tanto quando vedeva i ragazzi che giocavano allegramente, saltavano, si rincorrevano, gridavano... Delle volte si fermava con piacere a guardarli, come se assistesse ad uno spettacolo.

I giochi di allora erano negli Istituti quelli tradizionali: alla civetta, alla mosca cieca, a nascondino, alla guerra francese, alla palla avvelenata[61].

 

Al contrario, venendo a sapere che in una Casa, le ragazze erano state temporaneamente private della ricreazione, Padre Annibale non mancò di manifestare il suo disappunto alla Superiora generale[62].

Insieme alle ore di ricreazione giornaliera, nei regolamenti veniva prescritta la passeggiata settimanale:

Si è sempre sperimentato che un giorno di sortita nel bel tempo e di buon mattino, per ritornare a tarda ora, ma non più tardi dell’Avemarìa, conferisce efficacemente alla salute delle ragazze. Si faccia loro ascoltare la Santa Messa con il presto, e poi, o si vada a piedi se il luogo di delizie è vicino, o con il tranvai o con carrozze, ecc. se il posto è lontano. In queste gite le suore, almeno due o tre, secondo il numero delle alunne, le sorveglino bene. Le facciano poi divertire tutta la giornata e ben nutrire[63].

 

Lo sport e il gioco diventano altri due elementi fondamentali della pedagogia rogazionista che avvicinano molto la figura di Annibale Di Francia a quella di Giovanni Bosco facendoci cogliere anche in questo contesto lo spirito pionieristico e la modernità di entrambi[64].

Il Di Francia si preoccupa delle norme igieniche e della idoneità e adeguatezza degli ambienti delle sue Case per l’accoglienza dei piccoli ospiti. Egli si informa, applica concezioni e misure aggiornate e a volte  straordinariamente innovative per il tempo: le strutture nuove o rinnovate, siano situate in località amene, arieggiate e soleggiate; i responsabili delle comunità curino che negli ambienti ci sia una ventilazione adeguata[65], né insufficiente né eccessiva da provocare malanni e raffreddori[66], e che nei dormitori le finestre siano sempre aperte durante il giorno e, durante l'estate, anche di notte; anzi meglio che vi siano sfiatatoi per un ricambio costante dell'aria[67].

Padre Annibale desidera che i ragazzi si abituino a stare all'aria aperta a capo scoperto, che vestano abiti leggeri d'estate e non portino vesti troppo pesanti d'inverno, anzi era con­vinto per esperienza che sopportare discreta­mente il freddo poteva irrobustire la loro salute[68].

Egli non manca infine di dare norme adeguate sull'uso dei bagni e dell'igiene dei bambini[69], sull’utilizzo del “Metodo Kneipp”[70] e delle indicazioni di  del fisiologo Paolo Mantegazza (1831 – 1910), nonostante la sua estrazione ideologica positivista e anticlericale!

 

In quanto a igiene, io mi picco. Sono «kneippista», ho anche letto il trattato del Mantegazza e all'igiene ci tengo scrupolosamente. Nei nostri refettori (...) vi è un piccolo regola­mento di precetti morali, igienici e di buona creanza, riguardanti il modo di prendere il vitto[71].

 

 

 

2.5 Galateo e buone maniere

 

L'innata nobiltà del suo animo e la gentilezza del tratto portavano Annibale Di Francia ad insistere spesso nella sua corrispondenza e nei suoi regolamenti su quella che allora si chiamava l’“educazione civile”, le  buone ma­niere, la buona creanza, l’os­servanza delle norme del galateo.

In una lettera a Padre Francesco Vitale esprime il desiderio che gli educandi tra loro, nonché gli educatori verso gli educandi, usassero sempre le buone maniere[72] così come scrivendo ad un canonico dice che nel suo istitu­to si bada molto all'educazione e alla buona crean­za[73]. Desidera che la Superiora, la Vicaria e le Suore Maestre siano bene istruite negli elementi dell'igiene e della buona creanza, per poter trasmetterli alle ragazze del loro istituto[74].

Agli alunni settimanalmente dovevano essere proposte delle lezioni di galateo, adattando i singoli argomenti alle situazioni particolari:

 …è contro la ci­viltà e la buona creanza non eseguire le disposizioni dei Superiori (…) prendere delle posizioni sconvenienti, specialmente quando si sta seduti (…) il mettersi le mani addosso da parte degli educandi.

 

e voleva che si stesse

 …con molta educazione nel refettorio, e i ragazzi non devono appoggiarsi alla mensa né col petto, né con i gomiti. Essi - inoltre - devono mangiare educatamente – e – il linguaggio da usarsi nella comunità non deve essere affatto quello del se­colo; esso inoltre non deve essere carico di risentimento, ma soffuso di dol­cezza e soavità.

 

Tali norme non dovevano però ostentare una educazione formale, bensì

 …i riguardi della civiltà devono essere usati senza affettazione, ma con semplicità[75].

 

 

  

2.6 Educazione estetica  

 

Abbiamo più volte accennato alla preparazio­ne artistica, soprattutto letteraria e poetica del Di Francia. La categoria della bellezza che egli si sforzava di far propria e comunicare attraverso la sua azione pedagogica e formativa è così definita da Paolo Miccoli:

 Il bello, inteso come irraggiamento della verità religiosa che colpisce anche la fantasia e l'emotività psicofìsica dell'uomo, è anzitutto un capitolo che pertiene alla vita interiore e alla crescita spirituale (…). Egli mirava essenzial­mente alla verità e non disdegnava di usare come mezzo utile e dilettevole il bello, quale mezzo rivelativo dell'ordine e della perfezione (...). Essendosi dedicato totalmente al sollievo dei poveri e all'educazione degli orfani, egli doveva anzitutto mettersi in sintonia col genere di persone che lo sollecitavano al gesto amorevole della loro formazione cristiana e civile. Sicché, guardando immagini sacre o sacre rappresentazioni, nonché sollecitati a entrare come attori di scene simboliche corali, i suoi educandi dovevano quasi istintivamente sentirsi portati a vituperare il male dei vizi[76].

 

Un episodio dei primordi al Quartiere Avignone dal sapore di “fioretto francescano” ci racconta il disagio di un Padre Annibale di fronte alla povertà non solo materiale e morale ma anche culturale dei piccoli.

In una delle casette adattata a cappella

…una sera, durante la novena del S. Natale, mentre insegnava la dottrina alle bambine, pensava tra sè: quanto desidererei che venissero due giovanette che sanno cantare la bella canzoncina di S. Alfonso: Tu scendi dalle stelle!, per apprenderla a queste animucce. Ed ecco che dopo cinque minuti, si affacciano alla cappella due fanciulle, che non erano mai venute, e dicono al Padre: «Vuole che insegniamo il Tu scendi dalle stelle?». S’immagini la sorpresa del Padre, e insieme la gioia. E così tutta la novena fu ce­lebrata con il canto giulivo di cuori innocenti, che at­tiravano le benedizioni di Dio.[77]

 

Lasciamo le due maestrine di canto per giungere alla Festa del 1° luglio del  1886, quando il quartiere si trasformò quasi d'incanto in una grande accademia con re­cite di poesie e discorsetti, intercalati da canti e tanta allegria[78].

Amante delle belle arti e poeta egli stesso Annibale Di Francia promosse dunque nei suoi istituti l’arte, la creatività e tutte quelle attività formative e culturali che oggi definiremmo parascolastiche. 

In un suo scritto leggiamo:

 La Preposta Generale avrà pure zelo di far fiorire lo studio delle belle arti, ritenendo che queste formano in certo modo il lustro indispensabile del­le virtù, lo splendore dell'abito religio­so, come quelle che provocano una felice ammirazione da parte del mondo, e attraggono molti al bene (...). Il mondo cattivo si serve delle belle arti, sna­turandole e rendendole conformi alle umane passioni, per trascinare le ani­me al vizio e alla perdizione. Noi dob­biamo servircene, al contrario, per al­lettare santamente le anime (…).

In fatto di belle arti non vi si possono mettere quelle che non ne hanno le disposizio­ni naturali. E' certo però che in molte persone, uomini e donne, esistano cer­ti germi naturali o disposizioni interne e non conosciute spesso nemmeno da chi le ha, circa le belle arti, ovvero al­cuna o alcune belle arti. Cosicché, sviluppando quelle disposizioni, ne svi­luppano, col tempo e con le relative istruzioni, delle buone artiste. Quindi la Superiora, volendo impegnarsi per la fioritura delle belle arti, per quan­to sarà possibile, scandaglierà le di­sposizioni particolari, proporrà alle stesse giovani di dire ognuna se si sente richiamata alle arti belle e a qua­le; per esempio alla musica, alla scultura o pittura, ecc. (…). Gli studi letterari e l'impegno più aperto per mezzo di es­si, influiscono immensamente alla buona riuscita in un'arte bella. Con poco impegno e con poca istruzione, nono­stante ogni disposizione naturale, a poco o a nulla si riesce (…)[79].

 

Le arti belle nelle suore sono lo splendore dell’abito religioso. Tra queste dovrebbero essercene che conoscano bene la musica, il disegno, la pittura, la plastica, fino alla scultura in marmo, anche un po’ di poesia e di declamazione. Le suore istruite nelle arti possono istruire le alunne esterne.[80]

 

Ed ancora, nel libro “Il Padre, frammenti di vita quotidiana”, Carmelo Drago annota:

 Nell’orario festivo [ Padre Annibale ] aveva introdotto pure un’ora di studio delle belle arti, osservando: «Bisogna studiare anche la musica, il disegno, la pittura, la plastica, la calligrafia... Certo, per ora non abbiamo la possibilità di avere dei professori per queste belle arti... Per adesso quindi bisogna cominciare ad esercitarsi per affezionarsi a tali materie. Quando poi la Provvidenza ci darà i mezzi, piacendo al Signore, bisognerà formare, al riguardo, delle scuole bene organizzate (…). Bisogna coltivare il gusto estetico nei ragazzi fin dalla loro adolescenza. Il bello è sempre bello, ed ingentilisce l’animo. È un riflesso della bellezza di Dio, della bellezza della grazia! Nel nostro Istituto, quando sarà possibile, bisognerà coltivare le arti belle» [81].

 

 

  

2.6.1 Poesia e letteratura  

 

Il genio poetico e letterario del Di Francia oltre a consegnarci versi e saggi di oratoria sacra[82], ha lasciato tracce nella sua stessa opera pedagogica. Spesso incoraggiava i giovani e i ragazzi a coltivare e valorizzare il proprio talento nello scrivere e comporre versi. Nella introduzione al volume “Fede e poesia” infatti leggiamo:  

 Ho acconsentito [ alla stampa della raccolta dei miei componimenti poetici ] perché, se non altro, si ricordasse alla gioventù d’oggi, che la poesia non si può artefare, e che chi si sente un po’ d’estro, deve coltivarlo a base del sentimento religioso e di studio dei nostri poeti del Tre­cento, del Cinquecento, del Settecento e magari del Romanticismo Manzoniano[83].

 

Inoltre, in occasione dei trattenimenti e festeg­giamenti, egli stesso componeva appro­priati discorsetti di circostanza e graziose poesie da porre sulle labbra dei suoi bambini e delle sue bambine.

 

 

 

2.6.2 Teatro e rappresentazioni sacre 

 

Padre Annibale riconosceva la funzione educativa del teatro o dei teatrini – come si diceva allora – e perciò li promuoveva nei suoi istituti:

 Questi sono utili sia per istruire, educare le ragazze, sia per allettare il pubblico, edificarlo ed inclinarlo a favore delle ragazze e dell’Istituto[84].

 

In base alla sua formazione e sensibilità – a cui abbiamo accennato nel capitolo precedente –, non­ché all’esperienza acquisita in seno alle sue comunità, il Di Francia era in grado di dettare delle norme opportune circa l'allestimento delle rappresentazioni teatrali negli istituti: chiedeva ai registi grande impegno affinché la modulazione della voce dei giovani attori fosse corretta e naturale, ben regolati gli intermezzi, ben allestite le scene, i quadri plastici, ecc...[85].

Pretendeva inoltre che i libretti dei drammi e delle farse fossero preventivamente approvati dai superiori affinché fosse eliminata qualsiasi espressione che potesse minimamente turbare la serenità d’animo dei ragazzi o suscitare impressioni cattive o poco delicate nell'animo dei presenti.

Per esempio - egli scrive - s’incontra talvolta qualche esclamazione che nomina il diavolo, come cosa di poco conto: ciò non sta bene, perché si deve avere sempre un orrore di questo nome; oppure qualche volta si nomina il nome santissimo di Dio fuori proposito, con leggerezza o per cosa insussistente, insomma quando non è una invocazione di aiuto o di preghiera. Si modifichino nel libretto quei tratti in cui un personaggio mostra di dire menzogne, in modo che quella menzogna non fa impressione di riprovazione presso le ragazze della casa stessa, ma sembra cosa da scherzo. Si tolgano le frasi d’imprecazione, quando queste non facciano nel dramma la parte che prepari pentimenti o trionfi di virtù[86].

 

A volte era costretto a rivedere da solo tali li­bretti, il che comportava un impegno non indifferente per lui:

 Il dramma “Redenta” – scrive in una lettera – l'ho dovuto ripigliare sostanzialmente con notevole fatica, do­vendo togliere l'inverosimile e l'esagerato, e sostituirvi altre ragioni dell'azione drammatica[87].

 

Di tutto questo naturalmente Padre Annibale ne era l'anima con la sua vivacità di spirito e vena inventiva: egli stesso allestiva dei trattenimenti artistici dei quali era l'instancabile regista. Nei ritagli di tempo trovava modo di scrivere dei piccoli testi che faceva rappresentare dalle ragazze e quando gli era possibile assisteva di persona alle prove così come qualche volta ha fatto anche da suggeritore[88].

Il Di Francia auspicava che in ogni Casa rogazionista dove possibile fosse dedicata una sala per il teatro. Egli stesso, dopo che il 7 giugno 1895 le orfanelle furono trasferite dal Palazzo Brunaccini all'ex-monastero dello Spirito Santo, l’attuale Casa Madre delle Figlie del Divino Zelo, volle l’adattamento dei locali allo scopo[89] e non si fecero attendere recite brillanti che eccitarono l'entusiasmo della cittadinanza[90]. Restò celebre l'interpretazione che le ragazze seppero dare del dramma “Fabiola”[91], durante il Carnevale del 1905, come riscontrabile dagli elogi lusinghieri dei giornali dell’epoca[92].

Conserviamo del Di Francia anche dei componimenti in versi di vario metro per sacre rappresentazioni: la maggior parte dei quali è contenuta nel volume «Fede e Poesia». Un componimento di grande impegno – forse il più importante, certamente il più noto –, dove alla fluidità del verso è associata una elevata spiritualità è "La Sposa dei sacri cantici"[93] composto per celebrare il 25mo anniversario della festa eucaristica del Primo Luglio[94]. Ispirandosi al libro biblico del Cantico dei Cantici, Padre Annibale personifica l’“Opera” nella sposa che si esprime con "i gemiti dell'anima che cerca il Signore e i fremiti di gioia per averlo trovato".

 

Nel 1911 si celebrò con molta solennità il 25.mo di questa fervorosa festa, e il Padre compose un poemetto rappresentativo, che messo in musica si recitò nei teatrini delle Case femminili, in cui a grandi pennellate tratteggiò le principali vicende dell’Opera e i celesti favori accordati in ogni tempo dallo Sposo Celeste delle Anime elette, come lo nominò quell’anno[95].

 

Da allora, quasi ogni anno, in tutte le Case femminili fu messa in scena tale rappresentazione a cui si aggiungevano la declamazione di sermoncini e  inni sacri[96].

 

 

  

2.6.3 Musica e canto

 

Padre Annibale voleva che in tutti i suoi istituti fosse promossa la didattica e la pratica della musica e del canto, e che gli alunni capaci si applicassero allo studio degli strumenti musicali.

 

Le arti belle che la Generale procurerà di far fiorire nelle Case saranno le seguenti: Musica. Si terranno dei pianoforti e degli armòni e altro adatto strumento come per esempio l’arpa. Si procureranno dei Maestri o Maestre con le cautele anzidette. Qui però la Superiora badi che lo studio della musica per le postulanti a suore non deve essere affatto studio di musica profana teatrale e simili. Nessun libro di spartiti o musiche profane, e con parole profane, deve ammettersi. Non deve esservi altro studio che di musica sacra (…).

[ Si possono eseguire ] le suonatine che non contengano parole profane, o siano di parole aliene, lecite e modeste. In quanto a musiche teatrali di rappresentazioni di drammi o spartiti, come li chiamano, si asterranno d’insegnarne, salvo dei tratti speciali piuttosto religiosi, come per esempio Dal tuo stellato soglio, Signor, ti volgi a noi..., del Mosè di Rossini, le Ave Maria del Mercadante, del Gounod, e di altri Autori, ammettiamo pure la Casta Diva del Bellini e altri tratti dello stesso Autore presi isolatamente e che non contengano nulla di erotico o di appassionato. Si farà bene pure, e conferirà al buon apprendimento delle alunne in musica, insegnar loro musiche sacre, o del Perosi o di altri, anche belle musiche di strofe sacre, o Litanie, o Tantum ergo... (…).

Canto. Può la Superiora ammetterlo? Sì, ma moderatamente, scegliendo soggetti morali e anche religiosi, ed evitando assolutamente quei gorgheggi di voce che imitano le cantanti dei teatri[97].

 

La foto in bianco e nero di una suora educatrice, nell’intento di suonare l’arpa, è di una sorprendente modernità: traduce in pratica tali direttive che anticipano di decenni gli insegnamenti sulla vita religiosa del Concilio Vaticano II[98].

I doni naturali non dovevano essere disprezzati, ma coltivati e valutati, purché servano a glorificare il Signore[99]. A una suora particolarmente dotata di una voce eccezionale per dolcezza di timbro, Padre Annibale scrisse:

 

Parla Gesù:

– Io ti donai la voce armoniosa

– se a me la renderai è giusta cosa.

L'anima disse:

– Il nulla io son, ma quel che desti a me,

– o Gesù mio, tutto vo' darlo a Te![100]

 

Negli istituti maschili Padre Annibale volle la costituzione di un vero corpo bandistico. Riuscì nell'intento a partire da una piccola orchestrina che suonava per i vicoli del “Quartiere Avignone” alla Banda Antoniana dotata di strumenti musicali acquistati a Milano e diretta dal 1908 dal maestro napoletano Luigi De Marco. I ragazzi fecero grandi progressi mietendo successi e lusinghieri apprezzamenti nei concerti eseguiti a Messina e dintorni. Gli stessi orfanelli trasferitisi a Oria, dopo il terremoto di Messina, ricostruirono la piccola orchestrina anche ebbe ancora notevole successo[101]:

 

Ma noi usi come siamo a portarci avanti con lavori e industrie, – scrive Padre Annibale su “Dio e il prossimo” nel 1910 – non lasciamo in ozio i nostri orfanelli. Oltre la sartoria, e la calzoleria (…) li abbiamo posto eziandio all’insegnamento degli strumenti musicali per formare una piccola banda antoniana (…). I piccoli bandisti fecero il loro primo debutto in Ceglie Messapica (…) invitati per la festa di S. Antonio di Padova (...).

Altre Città delle Puglie vogliono gli orfanelli Antoniani, con la loro banda musicale, e tutti, chi più chi meno, trattarono i ragazzetti con grande affetto, sia nell’alloggiarli, che nel compensarli. Ricordiamo con gusto le Città di Montalbano Jonico, di Mesagne, Martina Franca, Sava, Ostuni, Carovigno, Taranto, Montemesola, ed altre ancora[102].

 

La banda contava una quarantina di elementi. Si ricorreva ad essa in occasione delle feste, specie patronali: solo nel 1909, da giugno a novembre, i piccoli bandisti si esibirono in ben 16 paesi[103].

  

 

 

2.6.4 Belle arti e creatività   

 

Padre Annibale desiderava e si adoperava molto perché nelle sue due Congregazioni fossero coltivate le belle arti. Esse, infatti,

 …formano, in certo modo, dopo il lustro indispen­sabile delle virtù, lo splendore dell'abito religioso, perché  legano dolcemente i cuori alla virtù e al bene[104].

 

Naturalmente per la via delle belle arti vanno istradati quei soggetti che posseg­gono le necessarie doti naturali e la necessaria cultura adatta allo scopo[105].

Le principali belle arti che si colti­vavano negli istituti rogazionisti sono:

 

A. Pittura, scenografia e scultura

Padre Annibale desidera che sa le suore che le educande si dedichino allo studio della pittura e della scenografia.

 

Pittura. Questa presuppone il disegno, sia ornato che lineare, che gioverà anche molto per i lavori gentili donneschi. Bisogna scegliere buoni Maestri o buone Maestre. Da ciò la necessità che si aprano delle Case anche in qualche città che abbonda di Maestri d’ogni specie. Sarebbe anche desiderabile che qualcuna o alcune studenti di pittura, dopo compìto il corso, passassero allo studio della scenografia. Badi bene la Superiora di non permettere che le alunne di pittura studino il nudo[106].

 

Non era escluso dai suoi ideali, che si coltivasse nei suoi istituti la scultura, che egli chiama “arte di gran pregio”:

 

Un’arte bella di gran pregio è la scultura. Se anche questo studio fiorisse, se ne avrebbero belli risultati. Vale anche qui l’avvertenza circa ai Maestri, e la proibizione di studi relativi poco modesti. Anche i lavori d’intaglio farebbero la loro bella figura, e si renderebbero utili alle Case[107].

 

Come vedremo nel prossimo capitolo, anche i ragazzi impegnati nei laboratori di falegnameria ed ebanisteria avranno modo di coniugare le esigenze dell’apprendimento e della produzione di manufatti in legno con la possibilità di esprimere il proprio talento artistico.

 

B. Ricamo

Quest'arte, squisitamente muliebre, fu eserci­tata in tutta la vasta gamma delle sue sfumature nelle Case femminili: ricami in bianco, in lana, in seta, in oro, al tom­bolo, al filet, all'uncinetto, ecc… [108].

Le cronache ci parlano di lavori di notevole bellezza e fattura messi in mostra dalle ragazze dell’Istituto Spi­rito Santo, il 20 agosto 1906, ed am­mirati molto dalla nobiltà messinese[109]; e dei bellissimi ricami delle ragazze dell’istituto di Taormina ammirati dalla imperatrice tedesca, Augusta Vittoria di Schleswig – Holstein (1858 – 1921), in villeggiatura in città[110].

 

C. Creatività. Un'altra attività produttiva artistica promossa da Padre Annibale presso le Suore della Casa “Spirito Santo” di Messina, fu quella della confezione di «fiorellini arti­ficiali fatti a tagli finissimi e capillari», che do­vevano servire «per abbellimento nelle casse di agrumi», su richiesta di una azienda esportatrice messinese. Tali fiorellini erano confezionati a forma di stella o in metallo con un fiocco e una corona d'oro. É interessante notare che lo stesso Padre Annibale inventò gli strumenti adatti con i quali veniva effettuato un tale delicato lavoro. Nell’istituto si allestì inoltre un laboratorio di arte floreale che utilizzava fiori di carta o fiori coltivati nel giardino interno. Queste creazioni furono una importante fonte di introiti per la Casa.

Le creazioni artistiche, l’esperienza e la perizia acquisite nel campo della musica, del canto o della recitazione, infine, contribuivano a sollevare il prestigio dell'istituto, rendendolo noto al pubblico, specialmente con le esposizione dei lavori o con la realizzazione di saggi artistici e rappresentazioni:

 La Superiora, quando ci sarà stato un progresso nello studio delle belle arti presso le suore, cioè quando queste ne saranno bene istruite, e avranno prodotto dei bei lavori, curerà di tempo in tempo di organizzare una esposizione pubblica, come per esempio quadri in pittura, lavori di scultura, di intaglio ecc., e terminare in ultimo con concerti musicali, con pianoforte, con armonio, con arpa, e simili.

Inviterà all’esposizione Signori e Signore e Autorità ecclesiastiche e civili, facendo durare, se occorre, vari giorni, anche con intervalli, l’esposizione, che può essere seguita volta per volta, o alle volte, o in ultima da qualche rappresentazioncella, annunziandola prima negl’inviti. Alla esposizione delle belle arti potrà essere unita una esposizione di lavori gentili, cioè ricami in oro (anche di oggetti sacri), in seta, in bianco, in uncinetto, lavori del Cinquecento, del Quattrocento, di quelli a fuoco e simili[111].

 

 

 

2.6.5 Massmedia  

 

Se escludiamo tutto ciò che si riferisce alla stampa, il Di Francia non ebbe a utilizzare i mezzi di comunicazione di massa così come li conosciamo oggi: ai suoi tempi si conoscevano appena il fonografo, il grammofono e il cinematografo. La radio muoveva i suoi primi passi e certamente non era diffusa in maniera rilevante.

Eppure è significativa una sua intuizione sull’uso didattico delle “proiezioni”[112]:

 

Insegnare meccanicamente – scrive – la dottrina alle bam­bine e alle fanciulle è quasi nulla. Per meglio imprimere nelle tenere menti delle bambine i misteri della fede espressi nelle formule del catechismo giova­no anche molto, dove si possono avere, le proiezioni, le quali danno occasione di discorrere e di illustrare le verità della fede[113].

  

 

 

2.6.7 Gite e visite culturali 

 

I ragazzi di Padre Annibale potevano compiere nell’arco dell’anno gite e visite culturali presso luoghi turistici e città d’arte.

Così leggiamo in un Regolamento:

 

Per perfezionare una giovane che dà speranza di ottima riuscita per es.: nella pittura, o nella scultura, sarà cosa buona condurla anche per semplici visioni nelle città dove la pittura presenta capolavori, specialmente in Roma e in Firenze, affinché si formi il buon gusto[114].

 

 


 

[1] Per un approfondimento rimandiamo agli studi di P. TANGORRA, Il P. Di Francia e la situazione scolastica del suo tempo, in «Studi rogazionisti», IV 1983, n. 7, pp. 12 – 31; R. ROMEO, Mezzogiorno e Sicilia nel Risorgimento, Napoli, Ed. Scientifiche Italiane, 1963, 196 p.; G. CERRITO, La Sicilia dal 1860 al 1870, Messina, Ed. Sessa, 1955, pp. 13 – 14; LOVIGLIO, Annibale Di Francia educatore, pp. 21 - 22;  BORRACCINO, Azione religiosa e sociale…, pp. 8 – 13.

[2] Cfr per tutto l’argomento G. RAFFAELE, Istruzione ed educazione nell'ultimo cinquantennio borbonico, in AA.VV., «Contributi per un bilancio del Regno Borbonico», Palermo, Ed. Fondazione culturale Lauro Chiazzese, 1990, pp. 137 – 179; e I. FAZIO, Istruzione e educazione delle donne nella Sicilia Borbonica, in AA.VV., «Contributi per un bilancio del Regno Borbonico», Palermo, Ed. Fondazione culturale Lauro Chiazzese, 1990, pp. 115 – 135.

[3] Cfr. C. D. GALLO - OLIVA, Annali della città di Mes­sina, Messina, Ed. Tipografia D'Amico, 1954, vol. 8, p. 14; LOVIGLIO, Annibale Di Francia educatore, p. 22.

[4] La stessa legge quale innalzò nel contempo l’obbligo a 9 anni che fu prolungato ulteriormente a 12 anni, nel 1904, dalla Legge Orlando.

[5] TANGORRA, Il P. Di Francia e la situazione scolastica…, p. 18.

[6] Discorso per le Nozze d'oro Sacerdotali di Mons. Carrano, Arcivescovo di Trani, in DI FRANCIA, Scritti, vol. 27, p. 62.

[7] Più tardi si volle provvedere con l'isti­tuzione dei Patronati Scolastici, facol­tativi prima del 1888 e obbligatori poi dal 1911, per favorire la frequenza sco­lastica dei fanciulli più poveri con aiu­ti in vesti e oggetti scolastici, forniti dal Comune, dalle congregazioni di ca­rità e dalla cittadinanza.

[8] G. GIOLITTI, Memorie della mia vita, Milano, Ed. F.lli Treves, 1922, vol. 1, p. 90.

[9] Discorso (23 febbraio 1881), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 10, p. 116.

[10] Articolo apparso su “Dio e il Prossimo” (Dicembre 1920), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 52, p. 162; cfr anche Discorso (15 novembre 1905), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 55, p. 12.

[11] Avviso ai padri e alle madri di famiglia (16 luglio 1895), in DI FRANCIA, vol. 43, pp. 11 – 12; cfr. anche A. M. DI FRANCIA, Discorsi, panegirici, elogi funebri, discorsi d’occasione,  Messina, Ed. Scuola Tipografica Antoniana “Cristo Re”, [s.d.], p. 420.

[12] Discorso tenuto a Francavilla Fontana (31 gennaio 1909), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 45, p. 31. Detto per inciso, questa lettura socio - politica compiuta con intuito ed acume dal Di Francia nel 1909, anticipa i grandi sconvolgimenti storici che da lì a qualche anno si sarebbero puntualmente verificati, in primis la Rivoluzione di ottobre del 1917.

[13] Discorso tenuto a Francavilla Fontana (31 gennaio 1909), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 45, p. 31.

[14] Discorso tenuto a Trani (3 aprile 1910), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 25, p. 40; cfr. anche  Lettera al Direttore del “Pio Albergo Trivulzio", in DI FRANCIA, Scritti, vol. 56, p. 130.

[15] Discorso in occasione della solenne distribuzione dei premi nell’Istituto Saccano (8 gennaio 1871), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 56, p. 44.

[16] VITALE, Il Canonico…, p. 71.

[17] VITALE, Il Canonico…, p. 77.

[18] SARDONE, Un comunicatore originale, p. 7.

[19] Cfr. VITALE, Il Canonico…, p. 103.

[20] Cfr. VITALE, Il Canonico…, p. 146.

[21] Appello (18 luglio 1883), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 56, p. 2.

[22] Discorso per la visita di un comitato all’Orfanotrofio Antoniano Femminile (20 agosto 1906), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 45, p. 13.

[23] Cfr. DRAGO, Il Padre…, p. 115.

[24] Cfr. Note del Servo di Dio ai margini di un pro­cesso…, in DI FRANCIA, Scritti, vol. 61, p. 113.

[25] Discorso per una visita di un comitato all’Orfanotrofio Antoniano Femminile, in Discorsi, in DI FRANCIA, Scritti, vol. 45, p. 3.

[26] Cfr. Lettera ai Consiglieri Municipali di Messina (30 luglio 1907), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 56, p. 118.

[27] Cfr. Per una visita di un comitato all’Orfanotrofio Antoniano Femminile, in DI FRANCIA, Scritti, vol. 45, p. 4.

[28] VITALE, Il Canonico…, p. 381.

[29] Cfr. Lettera circolare (gennaio 1925), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 56, p. 62; Lettera a M. Maria Nazarena Majone (28 luglio 1919), nella quale, mentre domanda che una certa ragazza di nome Ferrara venga messa allo stu­dio, chiede anche notizie circa le ragazze che hanno fatto già l'esame, in DI FRANCIA, Scritti, vol. 35, p. 153.

[30] DI FRANCIA, Scritti, vol. 61, p. 190.

[31] Letttera a P. Francesco Bonaventura Vitale (4 agosto 1917), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 32, p. 27; cfr. Letttera a P. Francesco Bonaventura Vitale, in DI FRANCIA, Scritti, vol. 32, p. 28; Discorso tenuto a Francavilla Fontana (31 gennaio 1909), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 45, p. 32.

[32] Cfr. DI FRANCIA, Le quaranta dichiarazioni, p. 65; «In quest'anno – nota il Padre nel Memoriale dei Divini Benefici del 1903 – si è cominciata l'istruzione letteraria nel probandato», in DI FRANCIA, Scritti, vol. 61, p. 186.

[33] Cfr. DI FRANCIA, Trattato degli Orfanotrofi (1926), DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 509.

[34] Trattato degli Orfanotrofi (1926), DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 664.

[35] Cfr. Lettera alla superiora della Casa di Alta­mura (23 aprile 1919), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 34, p. 91; VITALE, Il Canonico…, p. 381.

[36] LOVIGLIO, Annibale Di Francia educatore, p. 108.

[37] LOVIGLIO, Annibale Di Francia educatore, pp. 108 - 109; cfr. DI FRANCIA, Scritti, vol. 61, p. 111.

[38] Discorso per la visita di un comitato all’Orfanotrofio Antoniano Femminile (20 agosto 1906), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 45, p. 2.

[39] DRAGO, Il Padre…, p. 115.

[40] Disposizioni per l'Istituto Antoniano maschile di Messina (1890), in DI FRANCIA, Scritti (2005 - 2011), vol. 5, p. 145.

[41] Disposizioni per il Prefetto di disciplina (1906) , in DI FRANCIA, Scritti (2005 - 2011), vol. 5, p. 402.

[42] DRAGO, Il Padre…, p. 115.

[43] DRAGO, Il Padre…, p. 231; cfr. anche pp. 150 – 155.

[44] DRAGO, Il Padre…, pp. 114 – 115.

[45] Lettera al Direttore del “Pio Albergo Trivulzio” – Milano (15 Agosto 1921), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 56, pp. 100 – 101.

[46] Norme regolamentari per l'Istituto Antoniano maschile (1893), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 56, p. 211.

[47] Cfr. Regolamento del Piccolo Asilo degli Orfanelli e Artigianelli…(1890), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011),  vol. 5, p. 147. Sul dovere dello studio assiduo e diligente il Pa­dre ritorna in alcune lettere dirette al Padre Francesco Vitale: per esempio, cfr. DI FRANCIA, Scritti, vol. 31, p. 40.

[48] Lettera (9 settembre 1888), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 34, p. 2.

[49] Punti di Regola per le nuove Figlie spirituali dell’Istituto del Divino Zelo del Cuore di Gesù (1911), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011),  vol. 5, p. 751; cfr. anche DI FRANCIA, Scritti, vol. 41, p. 53 e vol. 55, p. 62. Secondo il linguaggio del tempo, Padre Annibale nei regolamenti spesso parla di ragazze civili e popolane. Tale distinzione non era offensiva, classista o discriminatoria, ma indicava unicamente la differenza economica delle due categorie di persone.

[50] Avviso ai padri e alle madri di famiglia (16 luglio 1895), in DI FRANCIA, vol. 43, p. 14.

[51] Discorso per l’ingresso degli Orfanelli Antoniani in Francavilla Fontana (1909), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 45, p. 30.

[52] Trattato degli Orfanotrofi (1926), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 667.

[53] SANTARELLA, Principi generali di pedagogia…, p. 382.

[54] VITALE, Il Canonico…, p. 125; il “Resoconto delle ispezioni alle varie chiese aperte all'insegnamento della dottrina Cristiana ai fanciulli d'am­bo i sessi nella città di Messina, 20 agosto 1882” si trova in DI FRANCIA, Scritti, vol. 58, p. 206.

[55] DI FRANCIA, Scritti, vol. 58, p. 206.

[56] VITALE, Il Canonico…, p. 125.

[57] SANTARELLA, Principi generali di pedagogia..., p. 385. Essendo estremamente vasto sviluppare il tema della formazione religiosa e morale nel pensiero e nell’azione pedagogica del Di Francia, rimandiamo per l’argomento a SANTARELLA, Principi generali di pedagogia..., pp. 341 – 411; V. SANTARELLA, Il Padre Annibale catechista, in «Studi rogazionisti», XVI 1995, n. 48, pp. 22 – 38, T. SALEMI, La catechesi nell’opera educativa di A.M. Di Francia, in «Studi rogazionisti», XIX 1998, n. 59, pp. 50 – 67.

[58] Cfr. Trattato degli Orfanotrofi (1926), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 653.

[59] Cfr. Trattato degli Orfanotrofi (1926), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 648.

[60] Cfr. Trattato degli Orfanotrofi (1926), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 661.

[61] DRAGO, Il Padre…, p. 205.

[62] Cfr. Lettera a M. Maria Nazarena Majone (27 luglio 1910), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 35, pp. 31 – 32.

[63] Trattato degli Orfanotrofi (1926), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 655; cfr. Avviso ai padri e alle madri di famiglia (16 luglio 1895), in DI FRANCIA, vol. 43, p. 12; Cfr. LOVIGIO, Padre Annibale educatore, pp. 214 - 215.

[64] Cfr. per l’argomento l’articolo di S. PIVATO, Annibale di Francia e la «cultura del corpo», in AA.VV., «Annibale Di Francia. La Chiesa e la povertà», Roma, Ed. Studium, [1992], pp. 187 – 201.

[65] Cfr. Norme particolari per l'igiene degli ambienti (1923), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6 p. 614.

[66] Nel Trattato degli Orfanotrofi (1926), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 654, leggiamo: « [ …l’aria è ] il primo farmaco per la salute dei ragazzi e fintantocché i polmoni respirano aria sana, non si ammalano giammai». «I Francesi – scrive ancora Padre Annibale –dicono che la pleurite è, ordinariamente, la precursora della tisi»: Lettera a M. Maria Nazarena Majone (26 agosto 1926), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 36, p. 96.

[67] Cfr. Trattato degli Orfanotrofi (1926), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 653.

[68] Cfr. Trattato degli Orfanotrofi (1926), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 655; Lettera a Don Bartolomeo Palumbo (14 febbraio 1919), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 37, p. 49.

[69] Cfr. Regolamento dei Probandi della Comunità religiosa (1898), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, p. 244; Trattato degli Orfanotrofi (1926), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 653. Cfr. VITALE, Il Canonico…, p. 667.

[70] Sebastian Kneipp (1821 – 1897), prete tedesco a cui si deve la riscoperta dell'idroterapia. Il suo libro, un classico sull’argomento, viene ancor oggi tradotto e ristampato. Nel 1893 Padre Annibale dovette far fronte a un grave crollo psicofisico. Una suora Figlia della Carità gli parlò dell’abate Sebastian Kneipp e gli fece leggere un suo libro in francese. Dopo aver sperimentato l’efficacia del celebre metodo di cura idroterapica, ne divenne un convinto divulgatore tanto da professarsi pubblicamente kneippista. Padre Annibale era abbonato al periodico mensile “La Cura Kneipp” ed ebbe una corrispondenza personale con Sebastian Kneipp per curare gli ammalati dei suoi Istituti.

[71] Discorso per la visita di un comitato all’Orfanotrofio Antoniano Femminile (20 agosto 1906), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 45, p. 12.

[72] Cfr. Lettera a P. Francesco Vitale (12 ottobre 1915), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 46, p. 46.

[73] Cfr. Lettera a un Canonico di Acireale (28 settembre 1902), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 37, p. 40.

[74] Cfr. Regolamento dell’Orfanotrofio delle profughe messinesi… (1910), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, p. 573.

[75] Regole della Pia Congregazione dei Rogazionisti del Cuore di Gesù (1914), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 79; cfr. SANTARELLA, Principi generali di pedago­gia…, p. 298.

[76] P. MICCOLI, Educatore sapiente, Roma, Ed. Curia Generalizia dei Rogazionisti, 1990,  (Collana «Padre Annibale, oggi», n. 20) pp. 8 – 9.

[77] Cfr. VITALE, Il Canonico…, p. 77 – 78.

[78] Cfr. VITALE, Il Canonico…, p. 162. La “Festa del primo luglio” è una commemorazione liturgica appartenente alla spiritualità rogazionista. Essa celebra la ricorrenza del 1 luglio del 1886, quando, dopo due anni di preparazione e fervorosa attesa, Padre Annibale rese "sacramentale" la cappella del Quartiere Avignone. Nella sua visione di fede questa fu la vera data della fondazione dell'Opera e Gesù Sacramentato il vero fondatore.

[79] Regolamenti per le Figlie del Divino Zelo (1920), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, pp. 510 – 512.

[80] Regolamenti per le Figlie del Divino Zelo (1920), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 555; cfr. P. P. GEMELLI, La pedagogia rogazionista, Messina, Ed. Rogate, [1950], p. 13.

[81] DRAGO, Il Padre…, p. 151 e p. 169.

[82] Cfr. VITALE, Il Canonico…, pp. 21 - 22; TUSINO, Non disse mai no, pp. 140 - 141.

[83] DI FRANCIA, Fede e poesia. Versi, p. VIII; Cfr. anche TUSINO, L’anima del Padre…, p. 566.

[84] DI FRANCIA, Scritti, vol. 1, p. 164; cfr. VITALE, Il Canonico…, p. 30 e p. 343; DRAGO, Il Padre…, pp. 23 – 25 e p. 158.

[85] Cfr. Regolamenti per le Figlie del Divino Zelo (1920), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, pp. 515 – 524.

[86] DI FRANCIA, Scritti, vol. 1, p. 159. Nella sua biografia Francesco Vitale annota che il piccolo Annibale Maria fu condotto ad assistere ad uno spettacolo teatrale fatto di orribili visioni, maghi, streghe e morti, restandone alquanto scosso: «…quando poi diverrà il grande educatore dei fanciulli e delle fanciulle, condannerà i genitori che cercano d’incutere spavento nei figliuoli col parlare di draghi e megere, col raccontare fatti paurosi inverosimili e proibirà rigorosamente che nei nostri teatrini si rappresentino fatti atroci di sangue, che scuotono le fibre senza uno scopo salutare e morale». Cfr. VITALE, Il Canonico…,  p. 10.

[87] Lettera a M. Maria Nazarena Majone (3 gennaio 1920), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 35 p. 165.

[88] Cfr. TUSINO, L’Anima del Padre…, p. 688.

[89] Cfr. VITALE, Il Canonico…, p. 255. Simili sale furono create anche nelle Case femminili di Giardini Naxos e Taormina: per i lavori, nel 1925, si spese la considerevole somma di 25.000 lire! Cfr. VITALE, Il Canonico…, p. 342 e p. 356.

[90] Cfr.  VITALE, Il Canonico…, p. 210.

[91] Il dramma è ispirato al celebre romanzo Fabiola o la Chiesa delle catacombe, scritto nel 1854 dal cardinale inglese Nicholas Wiseman.

[92] Cfr. VITALE, Il Canonico…, p. 358; SANTARELLA, Principi generali di pedagogia…, pp. 310; 312 – 313. Padre Annibale, dopo alcuni mesi, con nostalgia e commozione ricordò l’evento anche in una Lettera a Giuseppina Lembo (4 novembre 1905), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 42, p. 60.

[93] Cfr. DI FRANCIA, Fede e Poesia, pp. 39 - 83.

[94] Per il significato della “Festa del primo Luglio” cfr. nota 78.

[95] VITALE, Il Canonico…, p. 599 – 600.

[96] Cfr. T. TUSINO, Memorie biografiche, vol. 4, pp. 244 – 246; cfr. Regolamenti per le Figlie del Divino Zelo (1920), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 521.

[97] Regolamenti per le Figlie del Divino Zelo (1920), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, pp. 510 – 511; 513 – 514.

[98] La foto di Suor Maria Filomena Nocera è pubblicata nel volume di M. D. GUERRERA, Io l’amo i miei bambini. 125 anni per ricordare, per ringraziare il Signore e per rilanciare la missione a favore dei minori in difficoltà, Roma, Ed. Curia generalizia delle Figlie del Divino Zelo, 2007, p. 25.

[99] Cfr. Regolamenti per le Figlie del Divino Zelo (1920), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 511.

[100] TUSINO, Anima del Padre…, p. 566.

[101] Ciò è abbondantemente documentato nella corrispondenza del Di Francia: per esempio, cfr. Lettera a Andreina Battizzocco (27 dicembre 1908), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 42, p. 84 Lettera al Prefetto di Lecce (21 ottobre 1910), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 41, p. 58; Cfr. anche VITALE, Il Canonico…, p. 423. Compen­diose informazioni sulla banda musicale degli orfanelli di Oria si possono trovare anche in DRAGO, Il Padre…, pp. 19; 30; 144; 178.

[102] DI FRANCIA, Scritti, vol. 52, p. 91.

[103] Cfr. C. POMARICO, Due secoli di musica bandistica a Oria (dal XIX secolo ai nostri giorni), (Tesi di laurea in Storia della Scuola e delle Istituzioni educative), Università degli studi di Lecce, Facoltà di Lettere e Filosofia. Corso di  Laurea in Lettere Moderne, Lecce 2005. L’autrice parla della banda musicale dell’Istituto Antoniano Maschile dei Padri Rogazionisti alle pp. 163 – 179.

[104] Regolamenti per le Figlie del Divino Zelo (1920), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 511.

[105] Regolamenti per le Figlie del Divino Zelo (1920), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 511.

[106] Regolamenti per le Figlie del Divino Zelo (1920), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 511. La rigida morale di fine Ottocento e dei primi del Novecento non poteva non far dettare al Di Francia che queste “castigatissime” indicazioni. Anche per quanto riguarda le rappresentazioni teatrali egli non voleva – ad esempio – che le suore vi partecipassero come attrici, che si interpretassero, tranne rare e indispensabili eccezioni, ruoli maschili, che i vestiti non siano succinti e i capelli sciolti.

[107] Regolamenti per le Figlie del Divino Zelo (1920), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 511.

[108] Cfr. Avviso ai padri e alle madri di famiglia (16 luglio 1895), in DI FRANCIA, vol. 43, pp. 11 – 12; Lettera al Sindaco, Assessori e Consiglieri del Municipio di Taormina (marzo 1914), DI FRANCIA, Scritti, vol. 56, p. 121.

[109] Cfr. VITALE, Il Canonico…, p. 361.

[110] Cfr. VITALE, Il Canonico…, p. 356.

[111] Regolamenti per le Figlie del Divino Zelo (1920), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, pp. 512 – 513.

[112] Probabilmente si tratta di diapositive o filmine proiettate antesignane dei nostri video documentari catechetici o didattici.

[113] DI FRANCIA, Scritti, vol. 2, p. 169.

[114] Regolamenti per le Figlie del Divino Zelo (1920), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 512.

 

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Ultimo aggiornamento: 27-05-17