La formazione culturale e
professionale
nell’azione pedagogica e sociale di Annibale Maria Di
Francia *
1. Annibale Maria Di
Francia: uomo, prete, fondatore, educatore, impegnato nel sociale,
promotore di cultura
1.1 Annibale Di
Francia
1.2 “Rogate
ergo…”: l’idea risorsa
1.3 Annibale Di
Francia educatore
1.4 Annibale Di
Francia e la sua opera di promozione sociale
1.5 Annibale Di
Francia uomo colto e “provocatore” di cultura
2. La formazione culturale
nell’azione sociale e pedagogica di Annibale Maria Di Francia
2.1 Istruzione e scolarizzazione
nell’Italia meridionale di fine ‘800
2.2 Formazione scolastica
2.3 Catechesi e formazione
religiosa
2.4 Sport, ricreazione, norme
igieniche
2.5 Galateo e buone
maniere
2.6 Educazione estetica
3. La formazione professionale
nell’azione sociale e pedagogica di Annibale Maria Di Francia
3.1.1 La rivoluzione industriale
in Italia
3.1.2 La «questione sociale» e
il prezzo umano del benessere
3.1.3 Le prime scuole pubbliche
di formazione professionale dell’era moderna
3.1.4 Annibale Maria Di Francia
pioniere solitario
3.2.1 I bisogni economici delle
istituzioni
3.2.2 Il lavoro come fonte di
sostentamento degli istituti
3.3 Dalla piccola «azienda
domestica» ai laboratori della «scuola di arti e mestieri»
3.4 Il lavoro, primo passo verso
la dignità: fattore di educazione e motivo di riscatto umano e
sociale
3.5 L’eredità di Sant’Annibale
Di Francia, oggi
Conclusione
*) il presente testo è coperto da
copyright
L’azione educativa e
di promozione umana e sociale di Padre Annibale si svolse nel cuore
di quello che fu definito «il secolo della pedagogia». Il secolo XIX
infatti è il secolo di Johann Friedrich Herbart, Johann Heinrich
Pestalozzi, Friedrich Froebel, Albertine Necker de Saussure,
Gregorio Girard, Ferrante Aporti. Il clima di rinnovamento creato
dall’Illuminismo, da Rousseau e dal fenomeno del
Risorgimento, sollecitò anche e soprattutto gli Stati nazionali
ad interessarsi della scuola, dell’educazione popolare, della
politica scolastica. Sant’Annibale Maria Di Francia non rimase
estraneo a questo mondo in fermento, portando il suo contributo
originale e innovativo alle istanze più profonde del momento
storico.
Al nome di Annibale
Maria Di Francia viene spesso affiancata una particolare
definizione: «Padre degli orfani e dei poveri». Questo
predicato riassume in poche parole, ma in maniera efficace l’essenza
di una vita e di un’opera rivolta a favore dei derelitti e dei
piccoli.
Oggi definiremmo
Padre Annibale un «prete impegnato nel sociale». Tuttavia
questa definizione potrebbe risultare riduttiva se non
considerassimo il fatto che egli è un prete che si è fatto
«educatore» per attuare con piena coerenza la sua missione
sacerdotale. Lo stile con cui ha vissuto il suo apostolato educativo
in mezzo ai bambini e ai giovani poveri e disagiati si ispira ai
valori della pedagogia cristiana, ma risponde anche alle suggestioni
che provengono dall’ambiente in cui è vissuto; affonda le sue radici
nelle doti del suo cuore e della sua mente, ma si alimenta anche ad
una profonda esperienza interiore. Per questo la sua spiritualità –
la scoperta della necessità della preghiera e dell’azione per le
vocazioni e l’esperienza dell’amore personale e misericordioso di
Dio – informa anche il suo stile educativo, illumina gli obiettivi e
chiarifica i metodi della sua attività a favore della gioventù. In
lui spiritualità e pedagogia interagiscono e si arricchiscono
reciprocamente.
L’obiettivo che si
propone questa ricerca è quello di focalizzare ed esplicare i tre
fattori determinanti che emergono dall’ottica pedagogica di Annibale
Di Francia: l’istruzione, la cultura, il lavoro intesi come i
cardini su cui poggia la crescita integrale del giovane. Padre
Annibale ha combattuto la povertà e l’indigenza in tutte le sue
forme e manifestazioni cercando di debellarne soprattutto le cause.
In tale contesto egli aveva compreso che la vera povertà è
l’ignoranza: per questo motivo volle far sì che ai «suoi poveri»,
ma soprattutto ai ragazzi e alle ragazze da lui accolti fosse
offerta una reale possibilità di riscatto umano e civile, un diverso
e migliore avvenire. Tutto ciò grazie all’esercizio di una
professione e dopo esser venuti in possesso dell’istruzione
necessaria e di quegli elementi culturali indispensabili per una
convivenza civile più degna.
Non essendo questo
uno studio filologico o prettamente storiografico e tanto meno una
rassegna antologica, ho attinto dalle «fonti rogazioniste»,
gli scritti di Sant’Annibale Maria (nell’edizione completa in 62
volumi e della recente edizione critica in 7 volumi curata dalla
editrice Rogate) e le sue maggiori biografie e documenti storici,
solo le citazioni più importanti e significative essenziali alla
esposizione degli argomenti trattati. L’approccio a tali testi mi ha
consentito di tracciare, nel primo capitolo di questa ricerca, un
profilo biografico essenziale del santo educatore messinese, ma nel
contempo – a riscontro dell’adagio latino: agere sequitur esse
– anche gli aspetti della sua personalità e del suo pensiero e
spiritualità alla base della sua opera di educatore, del suo impegno
sociale e di promozione umana e culturale. Nei capitoli successivi
ho illustrato i tratti fondamentali della formazione culturale e
professionale che il Di Francia ha voluto offrire ai suoi ragazzi e
giovani.
Per motivi intuibili
ho sintetizzato di molto alcuni argomenti che, seppur interessanti e
pertinenti, meriterebbero una trattazione più approfondita, quali ad
esempio, la descrizione dell’ambiente storico culturale in cui è
vissuto Padre Annibale, gli aspetti della formazione catechetica e
morale, le norme igieniche e la dimensione della fisica, sportiva e
ludica della sua proposta educativa. Non ho mancato tuttavia di
indicare di volta in volta le pubblicazioni e gli studi relativi a
tali temi.
Ho trovato opportuno
invece soffermarmi sulla situazione scolastica del nostro Paese nel
periodo pre e post unitario poichè solo sullo sfondo
di un tale particolare contesto emergono e sono meglio comprensibili
le scelte pedagogiche di Padre Annibale Di Francia tutto ciò che ha
operato a favore della formazione culturale e professionale della
gioventù.
1. Annibale Maria Di Francia: uomo,
prete, fondatore, educatore, impegnato nel sociale, promotore di
cultura
1.1 Annibale Maria Di Francia
Annibale Maria
nacque a Messina il 5 Luglio del 1851 dal cavaliere Francesco,
marchese di Santa Caterina dello Jonio, Vice Console
Pontificio e Capitano onorario della Marina Reale Borbonica,
e dalla nobildonna Anna Toscano.
Fu educato ed attese
agli studi presso il Collegio dei Gentiluomini dei monaci
Cistercensi del convento di San Nicolò di Messina. Unificata
l’Italia ed a seguito delle leggi eversive del neonato governo
nazionale del 1866, a 15 anni Annibale Di Francia fu costretto a
lasciare il collegio. Dal quel momento fu suo precettore privato
Felice Bisazza (1809 - 1867), docente di “Belle Lettere” presso
l’Università di Messina. Il raffinato maestro avvicinò il marchesino
alla poesia e all’oratoria. Appena diciottenne sentì chiara la
vocazione al sacerdozio, che egli stesso definì “improvvisa,
irresistibile, sicurissima”. Tale chiamata si sviluppò e crebbe
comprendendo l’importanza della preghiera per le vocazioni prima
ancora di poterla scoprire nell’invito di Gesù: “La messe è
molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il Padrone della
messe perché mandi operai nella sua messe” (Mt 9, 37-38;
Lc 10, 2). Queste parole del Vangelo costituirono
l'intuizione fondamentale alla quale egli dedicò tutta la sua
esistenza.
L’8 dicembre 1869,
insieme al fratello Francesco, vestì l’abito talare come
seminarista. Nel 1870 Annibale Di Francia conseguì il Diploma di
Maestro elementare. Il 16 marzo 1878 venne ordinato sacerdote.
Tuttavia la
vocazione e la vita sacerdotale di Padre Annibale furono segnate da
un incontro avvenuto qualche mese prima della sua ordinazione con un
giovane mendicante quasi cieco. Questo evento lo mise in contatto
con la miseria materiale e spirituale del bassifondi di Messina: il
cosiddetto “Quartiere Avignone”. Per una sommaria ma efficace
descrizione di questo ghetto, tenuto nascosto alla “Messina – bene”
del tempo, basta leggere alcuni brani tratti dall’opuscolo “Il
canonico Annibale M. Di Francia e la sua Opera di beneficenza”
scritto per presentare il lavoro di promozione umana del Di Francia
dal filosofo e patriota francavillese Don Vincenzo Lilla (1837 –
1905) allora docente di “Filosofia del diritto” presso l’università
di Messina:
In uno dei luoghi estremi della città
di Messina, vi era un mucchio di case distrutte, quasi topaie. Oh di
quanto inferiori al giaciglio delle bestie e sembra che il luogo
dove dimorano le bestie potrebbe essere invidiato da coloro che vi
abitavano, cioè, da quelle luride donne che facevano mercato della
loro coscienza e del loro corpo (…).
In quel pezzo di terra, direi quasi,
maledetta, da cui era bandito ogni principio di morale e di
religione, vi erano connubi inverecondi, non erano rispettate le
leggi del pudore, e questi infami accoppiamenti fra parenti stessi,
violavano i diritti del sangue. La lussuria, l’oscenità, si
presentavano, nella più turpe, nella più mostruosa ed infame forma.
Era uno stato di vera barbarie; non cultura, non coscienza
dell’umana dignità, ed anche il fioco lume del buon senso, si era
spento in quelle coscienze deturpate.
Era insomma quel luogo, abitato da un
branco di bestie; perché l’uomo non dominato dalla retta ragione, e
dal lume della fede, è da meno d’una bestia; poiché la bestia ha
l’istinto che tiene luogo di alta ragione.
Fa eco al realismo
di queste parole la descrizione che lo stesso Di Francia compie
questo luogo “di tanto abominio”:
Nella città di Messina esisteva da
molti anni un ampio assembramento di catapecchie fabbricato allo
scopo di albergarvi poveri. Quivi si formò tale un amalgama dei più
miseri, mendicanti ed abbietti della Città, nel massimo scompiglio,
disordine, abbandono e sudiciume, che quel luogo divenne oggetto di
orrore a tutto il paese; e richiamò più volte 1’attenzione della
pubblica Autorità, specialmente nei pericoli d’epidemia; ma nessun
rimedio venne mai apportato. Vi era in ogni catapecchia, ridotta per
lo più peggio che una stalla, una famiglia di poveri, se famiglia
potesse chiamarsi, dacché non esistevano vincoli né religiosi né
civili, né doverosi rapporti di parentela, ma si giaceva a mo’ di
bruti. Parecchie malattie agli occhi affliggevano gran parte di
quelle povera gente, vi si contagiavano i poveri bambini, scalzi,
luridi, cenciosi; vi si soffriva la fame con tutti i disagi
dell’estrema povertà, giacigli con paglia sporca per terra e gran
quantità di molesti insetti di varie specie, fino a morirne taluni
lentamente divorati!
Maggiori erano i mali morali. Le
fanciulle vi perivano una dopo 1’altra inevitabilmente. Nessuno
osava mettere piede in quel luogo di tanto abominio.
Da allora la mente e
il cuore di quel giovane prete sono ormai indissolubilmente legati
ai poveri abitanti del malfamato agglomerato di baracche e case
diroccate. Padre Annibale portò a quei derelitti aiuti materiali e
spirituali, catechismo e richieste di conversione: sa che
evangelizzare i poveri senza soccorrerli è un lavoro incompleto. Si
rimboccò le maniche per ripulire, vestire, sfamare.
Quando voi avrete raccolto un
povero, – fu il consiglio del Beato Ludovico da Casoria - e
l’avrete pulito e vestito e rivestito, dalla testa ai piedi, e
l’avrete soccorso almeno per un mese, allora potrète cominciare a
parlargli di confessione…
I bambini erano in
cima ai suoi pensieri: volle affrancarli da quella condizione di
miseria materiale e morale: nel 1882 creò il primo “Rifugio”
per raccogliere ragazze orfane e abbandonate. Un anno dopo, quello
per i bambini. Approntò inoltre una scuola serale per gli adulti.
Per realizzare i
suoi ideali apostolici, il 18 marzo 1887, Annibale Di Francia impose
l’abito religioso a quattro giovani che avevano cominciato a
coadiuvarlo all’orfanotrofio: nasce la congregazione delle suore
Figlie del Divino Zelo. Nel 1895 si affiancò all’operato di
Padre Annibale il primo sacerdote, Francesco Bonarrigo. Due anni
dopo nascerà la congregazione dei Padri Rogazionisti del Cuore di
Gesù.
Gli anni passarono
fra difficoltà d’ogni genere e tutto ciò, insieme ad un crescendo di
critiche all’operato del Di Francia, portò, nel 1897, al concreto
rischio di soppressione delle sue istituzioni. In quel frangente
Padre Annibale chiese ed ottenne la collaborazione di Mélanie Calvat
(1831 - 1904), la veggente de La Salette, che diresse le
Figlie del Divino Zelo fino all’ottobre del 1898. Al superamento
di questa crisi seguì la fondazione di altri due orfanotrofi a
Taormina, nel 1902, e a Giardini, nel 1903.
Il 28 Dicembre 1908
un devastante terremoto rase al suolo le città dello Stretto,
Messina e Reggio Calabria. Tra le vittime 13 suore, ma i bambini
rimasero tutti miracolosamente illesi. Padre Annibale fu costretto a
trasferire altrove gli orfani: tempestivamente il vescovo di Oria,
Mons. Antonio Di Tommaso (1860 - 1956), suo amico ed estimatore, gli
mise a disposizione alcune strutture nella sua diocesi. L’esilio in
Puglia per i piccoli profughi durò solo un anno, ma questo bastò a
far conoscere spirito caritatevole del canonico messinese:
ritornando a Messina, Padre Annibale lasciò in Puglia le case
rogazioniste di Oria, Francavilla Fontana, nel 1909, e Trani, nel
1910.
Seguirà l’apertura
di altri istituti a San Pier Niceto, nel 1909, a Sant’Eufemia
d’Aspromonte, nel 1915, ad Altamura, nel 1916, a Roma, nel 1924, a
Torregrotta, nel 1925 e a Novara di Sicilia, nel 1927.
Il 1 Giugno 1927 si
concluse la giornata terrena di Annibale Maria Di Francia. Ai sui
funerali tutta Messina scese in strada per tributargli l’ultimo
saluto acclamandolo già “santo”.
Giovanni Paolo II,
il 16 Maggio 2004, ha proclamato solennemente la santità di Annibale
Maria Di Francia proponendo alla Chiesa e al mondo il suo esempio ed
il suo messaggio.
1.2 “Rogate ergo…” l’idea
risorsa
Per Annibale Di
Francia, il “Quartiere Avignone” di Messina diventa il topos
e il luogo simbolico della povertà materiale e spirituale
dell’umanità e nel contempo della esiguità ed inadeguatezza dei
mezzi umani per risolverla e debellarla. I diseredati abitanti di
quel quadrilatero di miseria e povertà sono solo una piccola parte
della immensa miseria del mondo:
Che cosa sono – scriveva Padre
Annibale – questi pochi orfani che si salvano e questi pochi
poveri che si evangelizzano dinanzi a milioni che si perdono e sono
abbandonati come gregge senza pastore? ... Cercavo una via d'uscita
e la trovavo ampia, immensa in quelle adorabili parole di nostro
Signore Gesù Cristo: “Pregate il Padrone della messe perché mandi
gli operai nella sua messe…”. Allora mi pareva di aver trovato
il segreto di tutte le opere buone e della salvezza di tutte le
anime.
«La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il
signore della messe, perché mandi operai nella sua messe»
(in latino: «Messis
quidem multa, operarii autem pauci. Rogate ergo dominum messis ut
mittat operarios in messem suam»). I sacerdoti, i
consacrati e tutti i cristiani sono gli “operai del vangelo”,
chiamati a continuare nel tempo l’opera di Cristo, e questi
sono dunque frutto della preghiera.
In questo
invito di Gesù riportato nei vangeli di Matteo e Luca,
Annibale Di Francia riconobbe un preciso programma di vita e di
azione, la sua “idea risorsa”, o ciò che in teologia viene indicato
come “carisma”, dono dello Spirito per la chiesa e il mondo,
e volle che divenisse la missione dei membri delle sue due
congregazioni, la suore “Figlie del Divino Zelo”, fondate nel
1887, ed i “Rogazionisti del Cuore di Gesù”, fondati nel
1897. Essi dovranno impegnarsi a vivere il “Rogate…” con un
quarto voto, oltre i voti di castità, povertà ed obbedienza:
pregare, cioè, per le vocazioni, diffondere questa preghiera ed
essere essi stessi dei “buoni operai”, attraverso
l'evangelizzazione e la promozione umana dei derelitti e più
bisognosi.
Così scriveva il Di Francia nel 1909
in una lettera al papa Pio X:
Mi sono dedicato fin dalla mia
giovinezza a quella santa Parola del Vangelo: Rogate ergo
Dominum messis ut mittat Operarios in messem suam. Nei miei
minimi Istituti di beneficenza si leva una preghiera incessante,
quotidiana, dagli orfani, dai poveri, dai Sacerdoti, dalle sacrate
vergini, con cui si supplicano i cuori Santissimi di Gesù e di
Maria, il Patriarca San Giuseppe e i Santi Apostoli perché vogliano
provvedere abbondantemente la Santa Chiesa di Sacerdoti eletti e
santi, di evangelici Operai della mistica messe delle anime.
Per diffondere la
preghiera per le vocazioni Annibale Di Francia ebbe contatti
epistolari e personali con i Pontefici del suo tempo: la sua
infaticabile tenacia nel perseguire questo intento fu sostenuta da
papa Leone XIII che lo esortò a proseguire nella sua impresa; San
Pio X lo benedisse riconoscendo che egli aveva fatto “eco al
comando di Cristo”; Benedetto XV si proclamò “il primo
Rogazionista” e Pio XI, approvando la Pia Unione di Preghiera
per le Vocazioni, la definì “l’opera delle opere”. Promosse
inoltre numerose iniziative: istituì due associazioni di fedeli, la
“Sacra Alleanza” (1897) e la “Pia Unione della Rogazione
Evangelica”
(1900) per diffondere tra il clero e i laici la preghiera per le
vocazioni raccomandata da Gesù.
È tutta la Chiesa
che ufficialmente deve pregare a questo scopo, poiché la missione
della preghiera per ottenere i buoni operai
…è tale da dovere interessare
vivamente ogni fedele, ogni cristiano, cui sta a cuore il bene di
tutte le anime, ma in modo particolare i vescovi, i pastori del
mistico gregge, ai quali sono affidate le anime e che sono gli
apostoli viventi di Gesù Cristo.
Verso il 1880 Padre
Annibale scrive di suo pugno la prima vera e propria preghiera per
le vocazioni – perchè confessa di non averne trovata alcuna nei
libri di devozione – e sarà una preghiera per le vocazioni il primo
testo che nel 1885 verrà dato alle stampe dalla tipografia
dell’orfanotrofio di Messina.
Conscio che il
Signore ascolta la voce dei piccoli e degli umili, egli fa
pregare per le vocazioni i poveri di Messina e i bambini dei suoi
istituti ma desidera anche che l’istanza di Gesù venga quanto più
conosciuta a propagata. Nelle “Quaranta dichiarazioni”, il
suo testamento spirituale, Padre Annibale afferma:
Dedicherò a questa preghiera
incessante, ovvero a questa “Rogazione Evangelica del Cuore di
Gesù”, tutti i miei giorni e tutte le mie intenzioni, e avrò
immensa premura e zelo, perché questo divino comando di Gesù Cristo
Signor Nostro poco apprezzato finora, sia dovunque conosciuto ed
eseguito; che in tutto il mondo tutti i sacerdoti dei due cleri,
tutti i Prelati di S. Chiesa fino al Sommo Pontefice, tutte le
vergini a Gesù consacrate, e tutte le anime pie e tutti i chierici
nei seminari, e tutti i poveri e i bambini tutti, tutti preghino il
Sommo Dio, perché mandi operai innumeri e perfetti, e senza più
tardare, e dell’uno e dell’altro sesso, e nel sacerdozio e nel
laicato, per la santificazione e la salvezza delle anime tutte,
neppure una eccettuata.
Sarò pronto, con l’aiuto del Signore,
a qualunque sacrificio, anche a dare il sangue e la vita, perché
questa “Rogazione” diventi universale.
Probabilmente il Di
Francia è il primo religioso a credere concretamente nell’efficacia
dei mezzi di comunicazione di massa: la stampa periodica e
dell’editoria, unici quanto innovativi per quel periodo. Pertanto il
giornale la lui fondato “Dio e il Prossimo”, costituiva un
eccezionale veicolo per la divulgazione su larga scala di tale
particolare preghiera.
Finalmente il 4
Aprile 1926 Padre Annibale potrà partecipare all’inaugurazione a
Messina del Tempio della Rogazione evangelica, la prima
chiesa nella storia del cristianesimo dedicata alla preghiera per le
vocazioni: sulla facciata v’è riportata la scritta: “Rogate ergo
Dominum messis ut mittat operarios in messem suam”.
Il carisma, l’“idea-risorsa”
della preghiera e l’azione per le vocazioni fanno dunque di Annibale
Di Francia l’apostolo della preghiera per le vocazioni ed un
anticipatore della moderna pastorale vocazionale. La Giornata
mondiale di preghiera per le vocazioni, istituita da Paolo VI
nel 1964, può considerarsi il riconoscimento e la risposta della
Chiesa a questa sua intuizione.
1.2.1 Genitori, educatori e insegnanti, “operai del Vangelo”
Dato il tema
pedagogico di questa mia ricerca, vorrei concludere la presente
sezione con un riferimento agli educatori ed agli insegnanti.
Leggendo il passo
del Vangelo nei testi di Matteo e Luca, il Di Francia si chiede chi
siano gli “operai” di cui parla Cristo. In verità ancora oggi
l’argomento è dibattuto. Egli giunge alla conclusione che anche la
vocazione dei laici è inclusa nella preghiera sollecitata da Cristo.
Quel divino Rogate ergo Dominum
messis ut mittat Operarios in messem suam, non solo è da
considerarsi in rapporto ai sacerdoti suscitati dalle supreme
vocazioni, e queste ottenute dall’obbedienza a quel Divino Comando,
ma è da considerarsi a quanto l’Altissimo spinge con la sua divina
Grazia ad adoperare un bene più o meno efficace nella sua Chiesa,
nella gran messe delle anime (…). Nella formazione della salute
eterna delle anime ci sono diversi agenti in diversi ceti e classi
sociali.
Certamente, data
la loro missione, al primo posto mette i sacerdoti e i religiosi.
Tuttavia include anche i laici quali i governanti e tutti quelli
che formano gli alti ufficii governativi e amministrativi ma
anche gli insegnanti, gli educatori e soprattutto i genitori:
Altri buoni operai della mistica
messe sono i buoni educatori e le buone educatrici! (…)
Educatori cattivi - dei quali miseramente abbonda la terra - sono
flagello, rovina, della mistica messe delle anime, sono uragano,
tempesta, ciclone che l’abbatte, la sconvolge, l’inghiotte! Tali
sono specialmente gli insegnanti o atei, o miscredenti, o immorali
di alcune scuole, e guai per la gioventù che vi capita! Ubbidire a
quel divino “Rogate”, vale pure domandare alla Divina Bontà
maestri ed educatori e direttori d’istituti credenti, praticanti,
timorati di Dio, che mentre istruiscono la mente con sana
istruzione, santamente ne educhino il cuore.
Vale pure questa Preghiera perchè il
buon Dio dia lumi e grazia speciale a tutti i genitori che hanno
nelle loro mani la gran messe delle future generazioni perché
sappiano edificare col buon esempio i loro figli, sappiano tenerli
lontani dai pericoli dell’anima, li crescano con santa educazione e
li presentino a bene riusciti, o avviati a buona riuscita, a quel
Dio che loro, a questo fine li ha dati. Ma ahimè, quanti rari sono
questi genitori, e come spesso la casa e la famiglia formano proprio
quel mondo che è uno dei tre formidabili nemici dell’uomo!
Fu da un tale definita la
educazione: l’arte la più delicata tra le mani le più inesperte!
Questa intuizione
è una singolare novità per i suoi tempi e fa di Annibale Di Francia
un precursore dell’odierno l’insegnamento della Chiesa sulla
missione e vocazione dei laici. “Tutti nella chiesa hanno
ricevuto una vocazione” ha dichiarato infatti papa Paolo VI
nella Evangelii Nuntiandi
e Giovanni Paolo II nella Christifideles Laici parla
chiaramente della varietà della presenza dei laici nella Chiesa
“secondo la diversità di vocazioni e situazioni, carismi e
ministeri”.
1.3 Annibale Di Francia educatore
Padre Annibale non
ha modellato le sue teorie pedagogiche per la creazione di un
sistema personale ed esaustivo su di uno schema determinato ed
esauriente. Tuttavia oltre che dal suo esempio e dalla sua prassi, è
possibile ricavare i principi fondamentali della pedagogia
difranciana dall’esteso e variegato complesso degli scritti spesso
in forma di indicazioni e suggerimenti pratici ed occasionali. In
particolare ai suoi religiosi e alle suore affidò dei “Regolamenti”:
norme, insegnamenti e consigli per la conduzione degli istituti.
Sarebbe ora prolisso produrre qui tali disposizioni il cui contenuto
tuttavia ben si potrebbe riassumere nell’espressione: il segreto
dell’educazione è l’amore.
Bisogna amare di puro e santo amore i
fanciulli, in Dio, con intima intelligenza di carità, con carità
tenera, paterna, che questo è il segreto dei segreti per guadagnarli
a Dio e salvarli. Bisogna trattarli con molto affetto e dolcezza
quantunque con contegno, che esclude l'abuso della familiarità e
confidenza e induce il riverenziale timore. Mai e poi mai si debbono
ingiuriare i ragazzi. Se occorre castigarli, si faccia pure, ma con
garbo e in maniera che il fanciullo comprenda che si faccia per suo
bene. Mai e poi mai si debbono riprendere innanzi agli altri ragazzi
i mancamenti di uno, che possono recare scandalo, specialmente ai
piccolini, mancamenti che non sono conosciuti: in tali casi si
ammonisce o si punisce il ragazzo in segreto. Mai e poi mai bisogna
indispettirsi coi ragazzi e aver loro rancore e diffidenza: ciò è lo
stesso che disanimarli e farli rilasciare. Molte mancanze che vale
meglio dissimulare, si dissimulino. Si evitino castighi e correzioni
forti in quel momento, in cui provocherebbero reazioni nel ragazzo;
che ciò sarebbe un rovinare l'edificio. Il sorvegliante, educatore
immediato o no, ha bisogno molto di lumi di Dio e deve dimandarli
giornalmente al Signore e alla Madre del Buon Consiglio, anche con
lacrime; e anche interiormente nelle occasioni giornaliere (…).
Facciamo dunque quanto più possiamo con ogni sforzo e con ogni
supplica a Gesù e a Maria, perchè ci diano lumi circa l'educazione
dei bambini.
Per Padre Annibale educare è una “santa
e sublime missione”, un'arte difficile e delicata, anzi ars artium, scientia scientiarum, pochi la sanno
possedere …l’educazione dei fanciulli è l’arte
delle arti, e nessun’arte umana, sia pure di scultori o di
pittori esimi, può assurgere al merito di quelli che sanno
adolescentium fingere mores! Formare, cioè, al bene i costumi
degli adolescenti.
E aggiunge giustamente che
l’educatore dev’essere:
…filosofo, teologo, grande
conoscitore del cuore umano, e santo, per essere perfetto educatore
di un piccolo bambino!
Educare e salvare la
gioventù per strapparla alla perdizione dell’anima e del corpo,
sottrarla nella più tenera età dall’abbandono è una “speciale
missione”:
…essendo stata questa la mia speciale
missione: educare i ragazzi delle strade al lavoro di arti e
mestieri, per farne buoni e non scioperanti operai, e le povere
ragazze ai lavori donneschi e domestici, per potere un giorno
collocarsi in oneste famiglie, o buscarsi col proprio lavoro il pane
della vita.
L’azione di redimere
ed educare i fanciulli e i giovani ha, infine, una ricaduta virtuosa
su tutta la società e per le future generazioni:
Si consideri che togliere un
orfanello o un’orfanella da un fatale avvenire e dargli le
prosperità della vita spirituale e temporale, è un bene di vera
redenzione che non si restringe a quell’anima solamente, ma porta
con sé incalcolabili conseguenze di altri beni che si perpetuano di
generazione in generazione! Un orfano ben riuscito, un’orfana bene
istruita e moralizzata, perpetueranno la loro buona educazione e
moralizzazione o con i buoni esempi che daranno in mezzo alla
società o col diventare padre e madre dei figli, ai quali
parteciperanno fin dalle fasce gli insegnamenti della fede e della
buona civiltà, e le pie pratiche della religione e il buon
avviamento al lavoro; tutti i beni insomma di cui essi furono
nutriti nel pio Istituto che li raccolse e li crebbe per Dio e per
il loro felice avvenire.
Annibale Di Francia
legge e invita a studiare testi di pedagogia.
Conosce e cita Jean-Jacques Rousseau (1712 –1778), Albertine Necker
de Saussure (1766 – 1841), Raffaello Lambruschini (1788 –1873) e i
“romantici”, Johann Heinrich Pestalozzi (1746 – 1827)
e Friedrich Fröbel (1782 – 1852). A proposito delle acquisizioni di
quest’ultimo, presentando ai benefattori il nuovo Orfanotrofio
infantile di Roma, così scrive:
Né i bambini che noi prendiamo
saranno lasciati a baloccarsi, ma, a forma di asilo infantile,
saranno avviati a lavoretti "froebeliani", al sillabario ed ai
primissimi elementi del sapere.
Fra gli autori che
in un certo senso hanno influenzato il pensiero e la metodologia
pedagogica del Di Francia una particolare menzione spetta ad Antonio
Rosmini (1797 – 1855). La formazione iniziale del giovane Annibale
durante gli anni del collegio fu curata infatti dallo zio paterno,
Padre Raffaele Di Francia (1826 - 1885), rosminiano entusiasta, e in
uno discorso letto in occasione della solenne distribuzione dei
premi nell’Istituto Saccano di Messina, l’8 gennaio 1871,
dal ventenne Don Annibale, maestro appena “patentato”, è possibile
cogliere abbondanti motivi e citazioni rosminiane.
Il Di Francia inoltre resterà legato al Rosmini anche dopo la sua
morte: nel 1904 scrisse al generale dell’Istituto della Carità, il P.
Bernardino Balsari, dicendogli che nelle comunità
…si leggono
con grande piacere e
ammirazione le Opere Morali e le Lettere Familiari
dell’immortale Antonio Rosmini. Questi libri furono portati al mio
Istituto da un giovane Sacerdote della Provincia di Lecce, il quale
si è aggregato a questa minima Congregazione della Rogazione
Evangelica; egli è amantissimo delle Opere del Rosmini. Io ebbi uno
zio dotto in Filosofia, il quale si formò sulle Opere del loro santo
Fondatore. Ora io prego la S. V. Rev. ma, se volesse donare ai miei
Istituti il libro delle Massime di Perfezione Cristiana del
Rosmini, e il libro sugli Angeli nella Sacra Scrittura, di
cui è autore l’illustre Predecessore della S. V. Rev. ma.
Inoltre, nel 1906,
al Rosmini, allora proclamato dalla Chiesa “Servo di Dio”,
scrive una preghiera invocandolo come “Celeste rogazionista”.
Interessanti punti
in comune tra il pensiero del Di Francia e quello del fondatore
della pedagogia spiritualista è possibile coglierli nell’idea
che l'elemento religioso debba
dominare, anche se non esaurire, l'insegnamento (Sull'unità
dell'educazione, 1826) e nella rivendicazione del diritto della
Chiesa di insegnare contro ogni monopolio statale nell'ambito
scolastico (Della libertà di insegnamento, 1854).
1.3.1 Il “sistema
preventivo” di Don Bosco
Capisaldi
dell’azione pedagogica di Annibale Di Francia sono tuttavia i
principi del cosiddetto sistema preventivo di San Giovanni
Bosco (1815 – 1888). Il Di Francia ebbe una relazione epistolare con
Don Bosco e volle conoscerne il suo metodo educativo attraverso
alcune visite negli istituti salesiani allora appena aperti in
Sicilia.
Caratteristica di fondo dello stile e del metodo educativo di
Don Bosco è il collocarsi nella scia della tradizione della
autentica pedagogia cristiana, che dalle pagine del Vangelo percorre
secoli di storia passando per San Filippo Neri (1515 – 1595), il
santo della gioia inventore dell’“oratorio”, San Carlo Borromeo
(1538 – 1584), organizzatore di nuove e geniali opere educative, San
Francesco di Sales (1567
–
1622),
l’umanista della “divozione” intesa come santità possibile a
tutti, San Giovanni Battista de La Salle (1651
–
1719,
instauratore di un nuovo stile educativo cristiano, Ferrante Aporti
(1791 – 1858) e Gino Capponi (1792 – 1876), insigni esponenti della
pedagogia del cattolicesimo liberale, per giungere fino a noi
con la pedagogia personalistica cristiana di Jaques Maritain
(1882
–
1973),
Emmanuel Mounier (1905
–
1950)
e Gabriel Marcel (1889
–
1973)
– solo
per citarne alcuni autori di una lunga serie che annovera tra i
maggiori anche
Karol Wojtyła
(1920
–
2005)
e Joseph Ratzinger (1927
- vivente).
“Questo
sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione, e
sopra l'amorevolezza” scrive nel 1877 Don Bosco nella prima edizione del suo
“trattatello” – così come chiamava il testo in cui illustra il
“sistema preventivo”.
É questa la sintesi di un messaggio pedagogico perenne:
la centralità della ragione, come ragionevolezza delle richieste e
delle norme, flessibilità e persuasione nelle proposte; l’importanza
della religione, intesa come crescita nella fede, del senso
religioso e sforzo di evangelizzazione cristiana; il valore della
amorevolezza, intesa come amore educativo che fa crescere e crea
corrispondenza.
Il
concetto base del metodo educativo di Don Bosco sta nel
“preventivo” che va inteso nel suo significato positivo. Include
sia il bisogno di tener lontane le occasioni pericolose e le
esperienze sicuramente e gravemente negative, sia il bisogno di
indicare la strada da seguire. È un metodo preventivo e
indicativo insieme, attuato mediante la presenza attiva,
costruttiva e amicale dell’educatore che mentre preferisce tener
lontano il male piuttosto che correggerlo quando è già avvenuto,
positivamente gli contrappone il bene, il rafforzamento continuo,
paziente, razionale e volitivo dell’educando stesso, favorendone la
piena corresponsabilità.
Inteso in questa
accezione, più di una volta nei suoi scritti il Di Francia
raccomanda dunque ai suoi religiosi di attuare il “sistema
preventivo” nella educazione dei ragazzi.
Ad esempio, a proposito delle punizioni, scrive:
Quando le ragazze sono bene educate
e sorvegliate, non tanto facilmente commettono delle mancanze che
siano degne di punizione. Basterà una avvertenza, una riprensione.
E qui si fa notare che bisogna
seguire il sistema o metodo del Ven. Don Bosco, cioè il
“sistema preventivo”.
Consiste questo sistema nel
prevenire che le ragazze da educarsi, o grandette o piccole, siano
sorvegliate in modo che non abbiano largo o libertà di rilasciarsi e
commettere mancanze, e nell’educarle così cristianamente e
devotamente, che esse stesse abbiano interiormente il santo timor di
Dio che le fa stare attente e circospette a non commettere delle
mancanze rilevanti.
…e della
sorveglianza:
La sorveglianza fatta accuratamente,
continua, e con animo sempre teso sulle ragazze, è il grande
preservativo per impedire ogni difetto. É l’uso del così detto
metodo preventivo. Da questa tensione dell’animo delle Suore
Educatrici, verso le orfane, queste apprendono l’importanza e il
fine di questa continua sorveglianza su di loro. Apprendono a
guardarsi da ogni difetto, e a prendere l’abito della disciplina e
della osservanza dei propri doveri. Guai se questa sorveglianza si
rilascia nelle Suore che vi sono addette. Immediatamente, ed
inevitabilmente si rilasciano le educande orfanelle.
Padre Annibale fa
suoi e nel contempo arricchisce della propria sensibilità gli
elementi caratteristici del “sistema” di Don Bosco quali l’esigenza
di un’educazione “individualizzata” che pone il fanciullo al centro
del processo educativo; il rapporto personale tra educatore ed
educando fatto di spontanea e aperta confidenza, di collaborazione
sincera e leale.
La vigilanza e sorveglianza sopra i
ragazzi sia per noi un precetto e un obbligo dei più stretti. Il
direttore e gl’immediati, ciascuno per la sua parte, non perdano mai
d’occhio alcun ragazzo, in chiesa, nei laboratori, nella scuola, e
specialmente nella ricreazione e nei dormitori. Si tenga presente
che i ragazzi hanno molto sottile intelligenza e fine istinto di
sapersi sottrarre alla sorveglianza senza fare accorgere l’educatore-o
sorvegliante. Questo sia dei ragazzi più sottile ed avveduto per non
farli sottrarre. Il demonio cerca assiduamente il pervertimento dei
fanciulli: il sorvegliatore deve eludere, con grande attenzione,
tutte le insidie di Satana e custodire come angelo i fanciulli a lui
affidati per renderli immacolati al Signore60.
In questo dinamismo educativo la presenza dell’educatore si
configura come causa esemplare.
Nei vari “regolamenti” per i Rogazionisti e per le
suore il Di Francia insiste spesso su
questo tema:
Più che le parole, le loro azioni
penetrino edificantissime nel tenero animo dei soggetti.
Gl’insegnamenti a parola, siano i più savi che si voglia, svaniscono
come fumo al vento dinanzi alle azioni non buone.
Prima di tutto le suore daranno in
tutto e per tutto buon esempio alle educande, sia nel parlare
misurando le parole, sia nell’amore al lavoro, sia nelle -pratiche
religiose, sia nell’ubbidienza alla preposta, sia nello stare in
pace e rispettarsi tra loro e in ogni altra cosa(…). Si raccomandano
pur alle suore gli atti di urbanità e il diportamento civile,
secondo i principi della sana educazione, essendo la vera educazione
sorella della vera devozione.
Ed ancora:
L’educatore è lo specchio su cui si
modellano i ragazzi. Dal suo diportamento e dal suo contegno dipende
il diportamento degli allievi. Il prefetto dei ragazzi anzitutto
terrà specchiata condotta morale e religiosa, che deve trasparire
negli atti, nei gesti, nelle parole e in tutto il modo d’agire, di
parlare e di pensare.
Il
“prefetto” deve agire nei confronti dei ragazzi
…in modo che predomini
il vivo interesse del loro bene; così che i ragazzi l’intravedano,
lo comprendano e ne restino presi. Questo è il vero segreto
dell’educazione! Quando l’educatore sente il vivo interesse del bene
degli allievi e li ama religiosamente compassionando il loro futuro
avvenire qualora non facciano buona riuscita, egli può anche essere
forte, può anche punirli se mancano e gli alunni non se ne
sdegneranno mai e lo ameranno e lo temeranno.
Come Don
Bosco, Padre Annibale pone grande attenzione al clima generale e
all’ambiente educativo: solo in un’atmosfera idonea nascono
l’affetto e la confidenza. Per i ragazzi che hanno abbandonato la
loro famiglia naturale e soprattutto per quelli realmente e
pedagogicamente “poveri e abbandonati” perché non hanno gustato le
dolcezze di un nido familiare normale e sano questo ambiente deve
esse prima di tutto “familiare”:
…i locali dell’Orfanotrofio, il
sistema disciplinare, il trattamento e le stesse preghiere, quanto
più è possibile, occorre adattarle a quelle della famiglia.
A
distanza di decenni le acquisizioni odierne confermano tale
fondamentale intuizione: la famiglia, l’atteggiamento dei genitori e
l’ambiente familiare, sono la base naturale e culturale che
accompagna e sostiene l’evoluzione della persona e, a livello
inconscio, influiscono fortemente sul processo di socializzazione,
di crescita affettiva e maturazione intellettuale.
…quando noi
ricoveriamo orfani nei nostri Istituti, in certo modo veniamo a
sostituire i genitori. Dovremmo perciò amare questi ragazzi come i
genitori amano i propri figli, ed assumere verso di loro tutti quei
doveri che hanno gli stessi genitori. È una parola però dire che
sostituiamo i genitori. Questi infatti, propriamente parlando, sono
insostituibili. Noi siamo sempre un surrogato dei genitori. Ora un
surrogato è tanto più buono, quanto più si avvicina e si rassomiglia
all’originale.
Anche a fare di più di
quello che fanno i genitori, noi per gli orfani rimaniamo sempre
degli estranei, siamo sempre un surrogato. Quanto vale infatti uno
sguardo, un bacio materno, non valgono tutte le premure e attenzioni
degli altri.
L’accettazione degli
orfani nei nostri Istituti è per noi come un atto di adozione che
dura, propriamente, fino a quando l’orfano rimane con noi, ma che
sarebbe bene durasse ancora di più. L’adottante assume tutti gli
obblighi che i genitori hanno per i propri figli. Come i genitori,
l’adottante deve premurarsi per la buona riuscita dell’adottato,
cioè per la conservazione della salute, non guardando a spese e
sacrifici a questo riguardo. Deve inoltre formarlo moralmente,
spiritualmente, religiosamente e, secondo le possibilità, istruirlo
e insegnargli un mestiere, un’arte, una professione perché domani
possa vivere nella società onoratamente con il frutto della propria
attività. Altrettanto dobbiamo fare noi per gli orfani che teniamo
nei nostri Istituti. Anzi dico che dobbiamo fare di più degli
adottanti; di più dei genitori. Gli adottanti infatti sono legati ai
loro ragazzi da un vincolo di tipo legale, i genitori da un vincolo
naturale. Noi invece ci vincoliamo con un legame soprannaturale:
quello della carità che è necessariamente superiore, perché ha
diretta relazione con Dio, il quale ritiene fatto a se stesso quello
che si fa agli orfani.
Infine,
per entrambi i nostri “santi educatori” la ricezione in istituto del
fanciullo deve essere l’ultima ed estrema soluzione:
…se il ricovero d’un
orfano si rende necessario solo per la mancanza di mezzi materiali
indispensabili al suo sostentamento e alla sua buona formazione, in
questo caso è preferibile farlo rimanere fuori dell’Istituto, tra i
suoi di famiglia e aiutarlo là finanziariamente. L’affetto familiare
infatti è insostituibile, ed è il più indicato per l’educazione.
L’Istituto, per quanto possa essere ottimo e attrezzato sotto tutti
i punti di vista, avrà sempre, più o meno, i suoi lati negativi, sia
riguardo al numero degli alunni, sia per la diversità dei caratteri,
sia per la separazione pratica dalla vita sociale, come pure per la
mancanza di iniziative.
Nel campo educativo,
l’Orfanotrofio è sempre un surrogato della famiglia. È quindi più o
meno buono a seconda che ci si sforzi di uniformare la vita
dell’Orfanotrofio alla vita della famiglia.
1.3.2 Non esistono ragazzi cattivi
Ritroveremo altre
affinità tra l’azione educativa di Giovanni Bosco e Annibale Di
Francia quando parleremo, all’interno del capitolo sulla formazione
culturale, del gioco, della ricreazione e delle attività
parascolastiche artistiche e culturali.
Concludiamo questo
virtuale parallelo accennando alla comune posizione dei due
educatori di fronte ad alcuni postulati della pedagogia e
dell’antropologia criminale positivista.
Essi, come in
particolare Bartolo Longo (1841 – 1926)
ed altri, furono fieri oppositori delle teorie di Cesare Lombroso
(1835 - 1909) ed Enrico Ferri (1856 - 1929) secondo cui alcuni
fanciulli, ed in particolare i figli dei criminali, per nascita sono
istintivamente destinati a delinquere: per essi non vi può essere
redimibilità né sociale né religiosa.
Come per Don Bosco
anche per Padre Annibale non ci sono soggetti naturalmente
predisposti da ritenersi incorreggibili.
Con la sua opera di promozione umana a favore dei ragazzi orfani e
disagiati egli smentì con i fatti il discusso psichiatra e
criminologo ed il suo discepolo che in quel periodo storico godevano
di grande autorità malgrado le opposizioni e le critiche ai loro
metodi e conclusioni.
1.3.3 Originalità
e caratteristiche dell’azione educativa difranciana
All’interno
dell’ordinamento degli orfanotrofi, oltre alla preghiera, la
catechesi, la sorveglianza continua ed accurata e le regole da
osservare per la buona disciplina durante le attività della
giornata, vi sono dei principi che fanno della educazione
difranciana una pedagogia quanto mai lungimirante ed attuale.
In primis il
criterio di accoglienza dei bambini e ragazzi: negli orfanotrofi
antoniani venivano accettati
…gli
orfani e i piccoli che si trovano veramente in stato di povertà e
abbandono, senza badare a nazionalità, o al colore della pelle, o
alla religione. Bisogna essere come il buon samaritano.
Requisiti per la preferenza sono i
gradi di povertà e di abbandono, senza umani riguardi.
Il celebre Trattato degli Orfanotrofi
scritto nel 1926 per disciplinare l’assistenza degli orfani è
considerato un documento fondamentale che traduce in pratica del
pensiero educativo ed organizzativo del Di Francia circa i suoi
istituti.
Se volessimo fare
una sintesi delle note caratteristiche della pedagogia del Di
Francia rilevata dal complesso dei Regolamenti da lui
scritti, potremmo affermare che l’azione educativa, intesa a guidare
l’educando nella crescita integrale e armonica in tutte le
dimensioni della persona, deve avere le seguenti connotazioni:
Religiosa: deve
condurre il ragazzo a comprendere, interiorizzare e vivere i
principi di fede per percorrere la traiettoria storica e raggiungere
il fine per cui è stato creato.
Essenziale ed esistenziale: deve aiutare l’educando a costruire la sua esistenza
attraverso elementi essenziali ed irrinunciabili: amore,
solidarietà, lavoro, dignità, autonomia.
Individuale: è
chiamata a comprendere che ciascun ragazzo, insieme agli eventuali
condizionamenti ambientali, psichici e caratteriali, possiede
proprie potenzialità e doti naturali.
Finalizzata:
che guidi il ragazzo a capire l’importanza fondamentale del fine
ultimo della propria esistenza, cui orientare i fini intermedi che
gli verranno offerti la realtà concreta e la situazione storica in
cui vive.
Amorevole:
espressa con amore sincero e imparziale in modo che l’educando
percepisca di essere veramente nel cuore dell’educatore.
Intelligente e attenta: capace cioè di penetrare negli strati interiori del ragazzo,
per discernere e adottare gli interventi più opportuni al momento
presente.
Rispettosa e
soprattutto esemplare: l’educatore deve essere il modello
perfetto e nel contempo imitabile, amabile, ma fermo nelle sue
decisioni.
Vi sono due
affermazioni pregiudiziali del Di Francia che, all’interno della sua
pedagogia, dimostrano i tratti della sua sensibilità ricca di
equilibrio e di saggezza. Nel suggerire comportamenti, modi
relazionali e interventi da adottare dell’azione educativa, afferma
che:
L’ufficio più importante e più grave
in una Comunità di ragazze è quello di maestra sorvegliante giacché
si può dire a lei principalmente viene affidata la custodia della
loro innocenza.
Bisogna insomma, ricevuta che sia
un’orfanella, riguardarla come una creaturina affidata da Dio a
loro, e custodirla, e conservarla quanto più si può.
Per questa ragione –
come si dirà oltre -, Padre Annibale preferiva educatori religiosi;
raccomandava alle superiore di promuovere e incrementare anche la
formazione religiosa e teologica delle suore, sia per l’insegnamento
della religione nelle scuole interne, come anche per l’educazione e
formazione delle orfane.
Il Di Francia
definisce il profilo dell’educatore con una straordinaria
completezza di doti e caratteristiche.
L’educatore, per il
ruolo ricoperto e per essere efficace nei suoi interventi, deve
…armarsi di santa pazienza,
dolcezza, mansuetudine, e carità, deve possedere pietà, zelo,
carità. Se laico, deve frequentare i sacramenti, partecipare alla
santa Messa e tenere specchiata condotta morale che deve trasparire
negli atti, nei gesti, nelle parole e in tutto il modo di agire, di
parlare e di pensare.
Le suore preposte
alla direzione dell’orfanotrofio devono essere animate di spirito di
sacrificio, fino al punto da sacrificare anche le proprie
abitudini spirituali con tutta la quiete e le delizie della Pietà,
quando ciò è richiesto dallo specifico dovere, che totalizza la loro
giornata.
Il Di Francia
desidera che gli educatori siano diligenti, attivi,
intelligenti, di una intelligenza intuitiva,
possibilmente sempre in crescita.
L’intelligenza
è una delle caratteristiche fondamentali dell’educatore, il cui
primo dovere è quello di conoscere l’educando nella sua concretezza
storica, come persona umana composta di facoltà sensibili,
psichiche, spirituali, soprannaturali, intellettuali, affettive,
volitive. L’educatore deve avere la capacità di comprendere il
ragazzo sotto tutti questi aspetti; si renderà conto di eventuali
traumi e condizionamenti psichici; delle esigenze e delle
potenzialità dei singoli; allo scopo di personalizzare l’azione
educativa, rispettando la singolarità della persona. Una
intelligenza pratica e responsabile che, nell’ambito dell’obbedienza
e della normativa, abilita le educatrici a inventare iniziative e a
prendere decisioni, a volte anche urgenti, per il miglior
andamento della comunità.
Intelligenti, ma
anche diligenti, per attuare con immediatezza e precisione
interventi e attività inerenti ad un ufficio che impegnava
l’educatrice nell’arco dell’intera giornata. Infine, l’addetta alle
ragazze sarà attiva, non solo per la dinamicità richiesta
dall’azione educativa, ma anche per venire incontro alle esigenze
economiche della comunità.
L’attenzione
continua, intelligente e responsabile non ha soltanto lo scopo di
prevenire errori, marachelle e cadute morali, ma anche quello di far
…prendere l’abito della disciplina e della osservanza dei propri
doveri; di osservare il difetto ed intervenire nel tempo e nei
modi opportuni per la correzione; e, infine, per approfondire la
conoscenza personale degli educandi.
Conoscere “l’indole
e le tendenze” degli orfani era particolarmente necessario in
considerazione del fatto che il Di Francia raccomandava con
insistenza di occuparsi …del fango della strada, cioè dei più
abbandonati; questi chiedeva in una preghiera ai Sacri Cuori.
Egli mette in guardia gli educatori sul fatto che
…molti ragazzi entrano negli
Istituti dopo che sono stati a sufficienza scandalizzati nel mondo e
nelle famiglie”
sia per richiamare
ancora una volta la loro attenzione per evitare che il male si
diffonda “per mancanza di sorveglianza”; sia perché
l’educatore si impegni con sapienza e amore a rimuovere il “fango”,
eventualmente depositato nell’animo dei ragazzi e restituirli alla
loro originale bellezza.
Il Di Francia, nei
Regolamenti relativi all’educazione, prescrive norme severe
anche circa il rispetto che si deve portare alle bambine. Lui stesso
per accarezzarle si limitava a poggiare la mano sui capelli. Il
rispetto si fonda su una ragione di ordine superiore: perché
“anime carissime al Signore”, e come tali le educatrici dovevano
custodirle “come pupille degli occhi loro”.
Gli educatori devono
saper coniugare amore sincero e rigore paterno, dolcezza e severità.
Due caratteristiche dinamiche che nel processo formativo procedono
in intima coordinazione, senza trascendere in espressioni offensive
della dignità della persona. In questo modo l’educando può
comprendere che in ogni gesto di lode, di ammonizione e perfino di
castigo è per il suo bene. L’amore, il rispetto, l’interesse per il
bene dei ragazzi sono segni positivi, necessari perché questi
accettino volentieri l’educatore e si lascino guidare. Al contrario,
le preferenze e le simpatie particolari, esautorano l’educatore e
fanno sì che venga decisamente rifiutato dagli educandi. I due
aspetti sono profondamente antitetici e così come le conseguenze
prodotte.
Infine, per educare
non basta che conoscere le scienze dell’educazione, i valori da
prospettare, e quanto altro: è necessario che l’educatore sia uomo
di preghiera. Senza la preghiera mancherebbe quella energia
interiore che occorre per dare senso ed efficacia alla sua difficile
missione, che non può portare avanti senza l’aiuto che viene
dall’Alto. Padre Annibale spesso raccomanda agli educatori
l’importanza fondamentale della preghiera e l’abituale disposizione
della fiducia in Dio.
Alle maestre il Fondatore suggerisce di affidare le bambine ai Cuori
Santissimi di Gesù e di Maria.
1.3.4 Una pedagogia “vocazionale”
Annibale Di Francia
ha costruito la sua azione pedagogia nell’alveo secolare della
genuina antropologia cristiana. Questa costatazione rende possibile
trarre dalla sua prassi e dai suoi insegnamento elementi sufficienti
per ricavare una pedagogia specifica e originale. E questo a partire
dalla fondamentale intuizione circa l’origine, le finalità e
l’essere costituzionale dell’uomo. Nel pensiero del Di Francia
troviamo infatti implicita ma marcata la premessa che l’uomo, ogni
singola persona, non può considerarsi un essere insignificante
“proiettato” nell’esistenza, venuto al mondo inconsideratamente,
senza intelligibilità, solo per sostenere la serie numerica della
specie. Ogni persona umana, lungi dall’essere “fatale proiezione”,
è un “progetto intenzionale”, una “vocazione”
conferita alla singolarità perché sia realizzata nella esistenza.
Alla base di questa antropologia c’è evidentemente la categoria
biblica dell’uomo “vocato”, “chiamato” all’esistenza
da Dio, che riconosce il progetto di Dio per e sulla
sua via e – liberamente e responsabilmente – lo realizza. Il
pensiero del Di Francia possiede, anche se informale, tale premessa
antropologica biblica e nel contempo filosofica: l’uomo, appunto
perché “vocazione – progetto” da realizzare, trova al termine
della realizzazione educativa la sua personale identità. Questa è
data dal progetto di Dio sull’uomo.
Per citare un testo
tra i tanti potremmo attingere da un discorso del giovane maestro
Annibale Di Francia tenuto l’8 gennaio 1871 in occasione della
premiazione degli alunni dell’“Istituto Saccano” di Messina:
L’educazione decide la sorte d’un
uomo, la società, pel cui mezzo l’educazione si comunica, ha nelle
sue mani la sorte dell’uomo. (…) Nel cuore del fanciullo per chi ben
rifletta sta chiuso l’uomo grande come nel picciol seme l’albero
gigantesco (…); [ forse ] dorme, come nel suo piccolo germe,
il genio d’un’arte, il genio d’una scienza (…).
L’educazione è l’atto della
Provvidenza che si piega sull’individuo per coltivare quel seme
prezioso di verità, pria che si soffochi sotto le spine delle
passioni, o che il vento lo estirpi, o che il cuore si adduri nella
inerzia, e la semente isterilisca per l’impotenza dello sviluppo
(…). [ A sua volta ] un educatore ove ben si osservi è
l’Angelo della Provvidenza che veglia sull’arca santa delle
generazioni (…).
La società assume l’obbligo più
grande, la missione più bella, qual si è di esercitare il suo
intervento educatore (…) nel fanciullo (…). L’educazione decide la
sorte d’un uomo, la società, pel cui mezzo l’educazione si comunica,
ha nelle sue mani la sorte dell’uomo.
Sebbene il discorso
riecheggi un linguaggio ancora aulico e accademico è un testo
programmatico e indicativo. Programmatico perché il Di Francia da lì
a poco inizierà la sua avventura umana e spirituale a favore dei
piccoli e dei poveri. Indicativo per il fatto che apre la strada
alla fondazione di una pedagogia “vocazionale” o se vogliamo
“rogazionista”: l’uomo si educa e va educato “nel senso”
della propria vocazione: l’uomo si realizza realizzando il pensiero
progettuale di Dio su di lui.
1.4 Annibale Di Francia e la sua
opera di promozione sociale
Se a questo punto è
opportuno tratteggiare, almeno per sommi capi, l’ambito storico
politico e soprattutto sociale in cui si è svolta l’esperienza del
Padre Annibale è altrettanto necessario tener presente che tale
sintesi, per essere troppo estrema, forse rischia di non descrivere
sufficientemente lo scenario in cui si andavano a collocare la sua
opera e la missione delle sue istituzioni.
Annibale Di Francia
si trovò ad operare in un tempo, fine ‘800 e primi del ‘900 del
secolo scorso, ed in’area geografica, il Mezzogiorno d’Italia, in
cui fra le classi sociali esistevano profonde lacerazioni e gravi
turbamenti; l'aristocrazia era irrigidita nelle formule di
prevalente nobiltà terriera; la borghesia tradizionale era
costituita in prevalenza da funzionari del nuovo Stato unitario;
mentre le classi popolari erano purtroppo relegate nella miseria. La
Chiesa non sembrava sufficientemente conscia e preparata ad
affrontare i gravi problemi sociali che andavano ad agitarsi. Se
consideriamo che nella Sicilia del tempo il patrimonio ecclesiastico
era pari a un decimo dei beni di tutta l'isola e le forme di
assistenza con cui gli enti religiosi provvedevano ai poveri non
sempre risultavano adeguate, con l'alienazione di questi beni da
parte dello Stato – il cui intervento d’altra parte stagnava o era
del tutto assente – venne meno anche questa forma di assistenza. I
beni rimasero improduttivi e i ricavi delle vendite furono dirottati
fuori dalla Sicilia.
In questa cornice socio politica Annibale Di Francia diede inizio
alla sua opera di redenzione sociale e morale del “Quartiere
Avignone” di Messina con l’acquisto di qualche casetta trasformata
in scuola e successivamente, l’8 settembre 1882, in un piccolo
orfanotrofio femminile per le bambine, le più esposte al pericolo di
finire sfruttate e traviate.
In un «Manifesto
alla città di Messina» Annibale Di Francia descrive ai suoi
concittadini i primi passi di questa sua attività:
Si è fondato da due anni
un Rifugio per le giovinette che versano in gran pericolo di
perdere l’onestà. In esso si raccolgono pure fanciulle disperse ed
orfanelle. Quivi quelle poverette ricevono una conveniente
educazione e istruzione in varie specie di lavori e anche nelle
classi elementari. Si è aperta una scuola serotina per i fanciulli
maschi, per i quali si pensa di aprire quanto prima un altro luogo
di ricovero. Si è aperto altresì un piccolo asilo per bambine da
cinque a otto anni nel quale si raccolgono quelle creaturine fino a
sera, per ricevervi un po’ di istruzione nei lavori e nella prima
lettura, e un po’ di vitto.
Perché l’orfanotrofio avesse una certa autonomia economica e non si
basasse esclusivamente sulla beneficenza e nel contempo vi fosse
anche la possibilità di costituire un piccolo patrimonio per le
assistite il Di Francia si adoperò per impiantare dei piccoli
laboratori di taglio, di cucito, di ricamo e di creazioni floreali.
Lo stesso spirito lo indusse ad aprire dei
laboratori di arti e mestieri con calzoleria, sartoria e tipografia
nel piccolo orfanotrofio maschile avviato l’anno successivo.
Padre Annibale potrà vedere espandersi dell’opera grazie al
sostegno di amici e benefattori – in verità non molti! – e
soprattutto all’avvento dei primi collaboratori, i religiosi delle
sue due congregazioni, con l’apertura di altre case e la
realizzazione di scuole - laboratori di tipografia, sartoria,
calzoleria, falegnameria, officina, panificio, ecc… . Quel giovane
prete messinese, prima ancora che lo Stato istituisse le scuole di
formazione professionale, con la “fantasia della carità” che
nasce dall’esperienza legata ai bisogni reali trovò le soluzioni per
inserire nella società civile e nel mondo del lavoro quelle giovani
generazioni meno fortunate.
In tutta la sua vita
è evidente infatti una sorprendente larghezza di vedute ed apertura
ai molteplici problemi sociali del suo tempo. Padre Annibale apre
scuole serali per gli adulti, cerca e aiuta con discrezione e
delicatezza nobili e benestanti decaduti, si occupa di problemi
istituzionali e soprattutto economici di altri istituti religiosi e
monasteri di clausura, accoglie ragazzi da altri orfanotrofi
destinati alla chiusura come, per esempio, nel 1889, il gruppo delle
bambine dell’“Ospizio per le orfanelle disperse” del
camilliano messinese, Padre Giuseppe Sòllima. Nel 1916, tenendo
presenti l’urgenza del momento, apre ad Altamura una nuova Casa per
le orfane dei soldati caduti in guerra, oppure avendo conosciuto,
nel 1921, un appello lanciato dalle madri russe perché fossero
accolti i loro figli dalle madri d'Europa, prima che perissero a
causa della carestia, scrisse al Papa dichiarandosi pronto ad
accoglierne una ventina nelle sue Case.
Nonostante la grande
mole delle attività intraprese, le difficoltà e le ostilità
incontrate, la porta del cuore di Annibale Di Francia fu sempre
aperta per chiunque tanto che Teodoro Tusino potrà trarre il titolo
della sua biografia sul Di Francia con un’espressione colta durante
i suoi funerali: «Si è chiusa la bocca che non disse mai no!».
Ebbe una compassione per i poveri, - scrive le suo “auto elogio
funebre - non si può negare, e più volte li compatì e si sforzò
di soccorrerli sebbene non sappiamo quali limiti abbia
oltrepassato, trattandosi che delle elemosine aveva obblighi diretti
verso gli orfanelli raccolti.
E nel testo delle
“Quaranta dichiarazioni” - scritto il 15 agosto 1910 a San Pier
Niceto (Messina) con l’intento di affidarlo a ogni Rogazionista
perché “in esse si contiene lo spirito dell’Istituto e delle
nostre Regole e Costituzioni” – dichiara:
Amerò e rispetterò i poveri di Gesù
Cristo con spirito di fede e di Carità, considerandoli come membri
sofferenti del Corpo mistico di Gesù Cristo Signor Nostro e tenendo
sempre presente quanto Gesù Cristo Signor Nostro esaltò i poveri,
dichiarando come fatto a se stesso quello che si farà a loro.
Deplorerò che il mondo ignorante e perduto li rigetta e disprezza.
Il che fanno spesso anche molti e molti cristiani. Ed io, finché
camminano nel retto sentiero della salute eterna, li terrò come
grandi, nobili e principi presso Dio (…). Farò consistere
quest’amore nel compatirli quand’anche siano molesti, nel
soccorrerli e farli soccorrere, nel servirli occorrendo,
nell’aiutarli dove posso, e ancor più nello evangelizzarli e
nell’avvicinarli a Dio.
Ovunque e per tutta
la vita Annibale Di Francia venne incontro alle necessità più gravi
ed urgenti dei bambini e ragazzi che altrimenti avrebbero avuto come
unica prospettiva la devianza, di donne costrette ad un destino
umiliante, di vecchi destinati a vivere e morire nell’abbandono e
nella disperazione. Sono soprattutto poveri tutte le specie ad
attirare l’attenzione e le cure premurose del Di Francia: per
rispetto e con il delicato humor dei santi desiderava
fossero chiamati “signori”, “baroni” e principi” e come tali
venissero assistiti ed aiutati.
Uno dei suoi scritti
più significativi è la lettera “Ai miei cari signori poveri”
che esordisce con:
Debbono persuadersi che non è
possibile contentarsi con larghi sussidii per quanto hanno di
bisogno, e ciò per la ragione che i Signori Poveri non finiscono
mai, ce ne sono migliaia, e per dare ad ognuno ciò che desidera, ci
vorrebbe una fontana che corresse monete d’oro.
…per continuare in
una apologia appassionata dei poveri che a loro volta saranno
benedetti da Dio a patto che conducano una vita onesta.
Per essi Padre
Annibale non esita a compromettersi fino ad alzare la voce contro le
autorità che dimenticano il dovere di assistenza. Convinto che
…è nobile compito della stampa:
combattere il male, promuovere il bene, zelare i diritti
dell’umanità anche negli esseri più miseri e abbietti,
egli scrisse una
lettera aperta a tutti i giornali cittadini, con il titolo “La
caccia ai poveri”, per stigmatizzare il rude sistema di volere
sradicare l’accattonaggio sbattendo i mendicanti in carcere
dichiarando con forza:
Da un anno assistiamo ad una specie di caccia ai poveri. Inesorabili
questurini spiano i passi di questi miseri, siano pure vecchi e
storpi, cadenti, infermi, inabili al lavoro e appena uno ne vedono
che svolta un cantone o traversa una strada, lo acchiappano e lo
traducono in Pretura: il giudice lo trova reo di lesa pace
cittadina, e lo condanna alla carcerazione da uno a sei mesi.
Quell’infelice, reo di essere povero, si vede chiuso in carcere
come un malfattore (…). Quest’infelice è un uomo come noi: egli
sente come noi i bisogni della vita (…). Se la povertà fosse un
delitto, se il povero fosse lo stesso che un malfattore, perché
Colui che venne al mondo per insegnarci ad amarci gli uni cogli
altri come fratelli, volle abbracciare la povertà, e protesse i
poveri, e dichiarò come fatto a Se stesso ciò che si fa ai poverelli
abbandonati? (…). Il povero è privo di tante e tante cose, ma almeno
lasciategli godere il libero sole, la libera aria, il libero
orizzonte della natura, oggi che vi è tanta libertà per tutti. Più
si considera questa grave ingiustizia sociale, più apparisce
raccapricciante (…). Se pel povero è delitto chiedere l’elemosina,
allora del pari è un complice chi la fa a cominciare da me, dal
questore e dai giudici, i quali tutti, essendo uomini, abbiamo
dovuto sentire più volte nella nostra vita la compassione per i
poverelli, e abbiamo dovuto soccorrerli con qualche obolo.
E conclude affermando che i poveri
…sono degni di compassione e di aiuto
piuttosto che di inquisizione poliziesca e di carceri.
L’articolo fu
pubblicato da parecchi giornali e fece tanta impressione da indurre
il questore a ritrattare il provvedimento.
L’azione di promozione sociale di Annibale Di Francia si estende
anche ai grandi temi di giustizia sociale come la situazione delle
classi operaie e contadine del tempo, giungendo ad avere addirittura
parole di comprensione per le loro agitazioni.
Sul periodico Dio e il Prossimo, nel 1920, scrive:
Non vi è chi non deplora lo
stato convulsivo in cui si trova ai nostri giorni quella classe di
operai e di contadini, cui fu dato a considerare la loro disagiata
condizione nelle attuali universali miserie, e a cui una falsa
scuola ha insegnato che debbono insorgere contro i possidenti e
contro i Governanti, per afferrare il vello d’oro, ed essere
felici (…). Tutti deploriamo un sì arruffato stato di cose. Ma
pochi riflettono che una causa e un’origine di questo sollevamento
degli operai e dei contadini è da ricercarsi nel fatto che le classi
agiate non tutte hanno saputo diportarsi verso le classi operaie.
Bisogna pur dirlo, e bisogna che ognuno passi la mano sulla propria
coscienza. Molti possidenti pel passato trattavano gli operai e i
poveri contadini in modo non troppo umano, e talvolta disumano!
Quante volte il povero operaio dopo aver eseguito il lavoro
comandatogli dal ricco, dovette aspettare lungo tempo per essere
soddisfatto, mentre la sua famigliuola languiva! Quante volte il
sarto, il calzolaio, il murifabbro, il falegname, e via dicendo,
furono stringati sul prezzo che loro spettava, e dovettero
contentarsi di metà di quanto era di giusto! Che diciamo poi dei
contadini? Molti padroni poco umani davano per es. a gabella un
fondo, stabilendo un prezzo abbastanza forte. L’annata non
favoriva il povero gabellotto, questi non traeva nemmeno come dare
pane ai suoi figli, pregava il padrone di accontentarsi di meno per
quell’anno; ma tutto inutile: paghi, o ti caccio via! I contadini
presi a giornata dovevano accontentarsi di una meschinissima paga,
di qualche lira e pochi soldi (…).
È venuta l’ora della reazione operaia! Dio permette che molti
possidenti (tolte sempre le debite eccezioni) raccolgano ciò che
hanno seminato.
Padre Annibale è convinto che occorre sradicare il male dalla
radice, eliminare lo stato di abiezione partendo dall’elevare il
livello di vita delle classi emarginate.
Quasi contemporanea alla sua, si leverà da Caltagirone un altra voce
profetica a difesa della giustizia sociale, quella dell’amico e
conterraneo don Luigi Sturzo (1871 – 1959).
Troviamo qui i tratti essenziali della proposta liberatrice di
Annibale Di Francia, ma se da un lato queste parole possiamo anche
farci ravvisare idee politiche alquanto progressiste e toni da
sindacalista
– a dispetto del suo lignaggio nobiliare! –, dall’altro ci mostrano
la radice ultima e la motivazione di fondo di questa proposta:
Da più tempo la giustizia e la carità
pare siano state bandite dal mondo. I sublimi insegnamenti del
Vangelo, in cui si racchiude il vero Socialismo e che comandano di
amarci tutti come veri fratelli, di fare agli altri quello che
vorremmo fosse fatto a noi, sono stati dimenticati e calpestati…
Annibale Di Francia
pensa ed agisce da cristiano e da prete. È un “prete impegnato
nel sociale” come lo definiremmo oggi, ma sempre un “uomo di
Dio” che vive e mette in pratica il messaggio rivoluzionario,
anche dal punto di vista politico e sociale, del Vangelo. Il punto
di partenza della sua azione caritativa e sociale è il brano del
vangelo di Matteo nel quale Gesù dice: “…ogni volta che avete
fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l'avete fatto a me”, la “magna
charta” della charitas evangelica, dell’impegno del
cristiano nel mondo. A tal proposito è quanto mai eloquente un
episodio della vita di Padre Annibale che egli stesso confida a uno
dei suoi giovani chierici:
Io un giorno andavo verso
casa, nei primi tempi, anzi nei primi giorni che cominciavo
l’Opera. Quando incontro un gruppo di persone, che facevano circolo
intorno a qualche cosa: era un ragazzo scemo, tutto lurido, colle
labbra piene di bava e le vesti a brandelli e sudicio; e quella
gente ne faceva uno spettacolo. Io ne ebbi pietà, presi quel
ragazzo per mano, lo condussi con me a casa, così quella gente si
sbandò. Giunto a casa io ero solo con lui, perché nessuno dei miei
c’era dentro. Lo presi, lo ripulii, gli detti da mangiare e lo misi
a letto. Poi, considerando in quel poveretto Nostro Signore secondo
la sua parola divina, mi accostai per baciarlo, intendendo baciare
Gesù. In quel momento sparì dai miei occhi quel ragazzo scemo: io
vidi coricato N.S. Gesù Cristo, vidi il volto di N.S.G.C. con
sguardo reale, penetrante, che mi colpì, m’intenerì, baciai e
ribaciai il volto di N.S. Gesù. Era forse una visione di
intelligenza. Poi tutto ritornò allo stato di prima. Lo provvidi di
tutto e lo rimandai. Da quel momento io ebbi un trasporto maggiore
per i poveri.
In altri termini è quanto Padre Carmelo Drago, uno dei primi
collaboratori del Di Francia, ebbe modo di testimoniare:
Sono veramente convinto di questo perché si vedeva che [ Padre
Annibale ] era veramente compreso delle parole di Nostro
Signore: “Qualunque cosa farete al prossimo per amor mio, la
riterrò fatta a me stesso”, e realmente la faceva come se la
facesse a Gesù Cristo stesso.
Si tratta di una provocazione sorprendente e inquietante; di una
esigenza radicale: il giudizio sulla fede e quindi sulla qualità
umana della vita è dato dall’impegno e dalla disponibilità concreta,
quotidiana nei confronti di chi vive una condizione di necessità, di
dolore, di marginalità. Più volte nella storia del cristianesimo si
è discusso sul rapporto tra fede e opere; fra possibili e facili
fughe spiritualiste e una incarnazione nella storia considerata
eccessiva, giudicata impegno sociale e politico, in cui non
trasparirebbe la dimensione spirituale. La risposta di Padre
Annibale la troviamo nel brano di una lettera scritta
a Tommaso Cannizzaro (1838 – 1921), poeta e letterato
messinese, che si dichiarava ateo:
L’amore che io porto al Signor mio
Gesù quale vero Dio, mi spinge ad ubbidire a tutte le sue parole,
oltre che produce in me un’altra fiamma d’amore, cioè l’amore per il
prossimo. Gesù ha detto: - Amate il vostro prossimo come voi
stessi; - ed io mi sforzo di amare il prossimo come me stesso;
ed è per questo che ho dedicata la mia misera vita a bene del
prossimo, per quanto meschinamente posso (…).
Ritenga, professore carissimo, che se
io non amassi Gesù Cristo Dio, mi annoierei ben presto a stare
insieme ai poveri più abietti, e spogliarmi del mio, e perdere il
sonno e la propria quiete pei poveri e pei bambini.
Vengono a cadere qui tutte le prevenzioni, le riserve ideologiche e
religiose; trovano ridimensionamento i dibattiti pur importanti sul
credere o non credere. Monsignor
Antonio Di Tommaso, vescovo di Oria, che in 20 anni aveva avuto modo
di conoscere bene il prete messinese amante e difensore dei poveri e
dei piccoli, nel 1946, aperta la “causa di beatificazione”,
durante il “processo rogatoriale” sulla fama di santità,
virtù e miracoli di Annibale Maria Di Francia, volle rendere questa
esaustiva dichiarazione:
Io ritengo che il can. Di Francia
stia alla presenza di Dio e che tutto quello che fa, lo fa per Dio e
con Dio. Dal modo con cui agisce si vede che per lui stare a pregare
dinanzi al tabernacolo o predicare, o confessare, o spidocchiare un
povero ributtante, o dare da mangiare o vestire un fanciullo
derelitto è la stessa cosa.
1.5 Annibale Di Francia uomo colto e “provocatore”
di cultura
Nell’“auto elogio funebre” Annibale
Di Francia valuta con semplicità, sincerità ed una sottile vena di
autoironia la propria formazione culturale:
Fu d’ingegno. Fece studi abbreviati e
piuttosto superficiali al Seminario, e mostrando una specie di
premura ed ansietà, persuase l’Arcivescovo Mons. Guarino, poi
Cardinale, a conferirgli, prematuramente, il Sacerdozio. Fatto
Sacerdote si diede alla predicazione, e quasi subito a questa Pia
Opera (…). Debolissimo negli studi teologici; a rigor di giustizia
non lo si avrebbe potuto ordinare Sacerdote. Di filosofia non sapeva
un’acca.
Negatissimo per le rubriche e per le
liturgie, era una pietà vederlo come si diportava nelle sacre
funzioni, sempre con la testa in aria, tanto che una volta Mons.
Arcivescovo Guarino ebbe a dirgli : “Canonico Di Francia,
scindemu un pocu ntra stu mundu!”
Il suo predicare era un alto e basso.
Alle volte prediche vibranti e, alle volte, misere! Egli dice che
alle sue prediche succedevano due fenomeni: alcuni sbadigliavano,
alcuni piangevano. In quanto al verseggiare, benino, ma non era poi
uno dei geni letterari.
Prendiamo “con le molle” ciò che la sua profonda
umiltà ha voluto sminuire e, al contrario, percorrendo le fasi della
formazione del Di Francia, considerando la sua attitudine allo
studio e all’aggiornamento e valutando le sue doti intellettuali ed
artistiche, possiamo senza meno dire che Annibale Di Francia
possedeva una eccellente preparazione teologica ed umanistica,
specie letteraria.
Egli fu poeta, oltre che valente espositore, oratore, amante
del teatro classico, critico letterario, editore, giornalista e
pubblicista.
Come accennato nella
biografia, egli frequentò fin dall’età di 7 anni il collegio S.
Nicolò dei Gentiluomini, retto dai Cistercensi. Fu questo
l’ambiente idoneo per la sua formazione religiosa e culturale di
stampo umanistico. Qui insegnavano oltre al poeta e letterato Felice
Bisazza e lo zio materno Padre Raffaele Toscano – già citati –,
anche il filosofo Antonio Catara Lettieri (1809 – 1884),
“giobertiano” e “galluppiano”.
Proprio a cominciare da quest’epoca, si dilettò nella composizione
poetica. Dopo la una “pausa forzata”
nella città di Napoli in occasione all’entrata a Messina di Giuseppe
Garibaldi, a 15 anni, il giovane Annibale completò gli studi
privatamente ancora sotto la guida del Bisazza e, dopo la sua
scomparsa, di Riccardo Mitchell (1815 - 1883), poeta, scrittore e
patriota messinese, professore di estetica e di letteratura italiana
all’università di Messina.
Sappiamo inoltre che
egli apprese ben presto l'arte della declamazione e primeggiò, fra
i compagni del collegio di S. Nicolò, nelle rappresentazioni
sceniche.
Fin da giovane il Di
Francia frequentò circoli letterari e conobbe uomini di cultura,
per ciò che la Messina del tempo poteva offrire. Questo clima
culturale e letterario lo avvicinò entusiasta al teatro classico in
prosa. Scrive il primo biografo, Francesco Bonaventura Vitale:
L’amore alle lettere, alla poesia,
alla declamazione, e la lettura dei grandi poeti lo spinsero anche
in quella età a sentire qualche trasporto per il teatro classico di
prosa, e assistè alle rappresentazioni di Achille Majeroni,
che si era in quei tempi reso celebre per l’interpretazione del
«Saul» dell’Alfieri. Mai però ebbe vaghezza di sentire produzioni
teatrali, che non servivano ad istruire e ad educare.
Il Di
Francia continuò i suoi studi in forma privata anche durante il suo
chiericato. Il 26 gennaio 1876 conseguì il “diploma” di maestro
elementare mentre per la preparazione al sacerdozio – a causa della
protratta chiusura del seminario di Messina – attese da “esterno”
agli studi ecclesiastici seguito ancora dal Catara – Lettieri per la
filosofia e da alcuni sacerdoti della
diocesi per la teologia e la formazione seminaristica.
Una volta prete, le
parrocchie lo ricercano come versatile e fecondo predicatore per
tutte le occasioni.
A Messina e dintorni scuole e collegi, nonostante sia appena
ventenne, se lo contendono come insegnante.
Per un certo periodo insegna lettere o più sicuramente religione
presso il prestigioso “Istituto Saccano” di Messina.
Per 5 anni circa, mette a frutto i principi pedagogici e la sua
competenza culturale facendo da istitutore ad un fanciullo della
nobile famiglia Cumbo.
Tra gli scritti
giovanili del Di Francia si conserva un lavoro scolastico
incompleto, poche paginette, intitolate dallo stesso autore:
“Metodo per erudirsi e scrivere in versi”. Non si sa se l’abbia
redatto per propria utilità o per i giovani di un collegio
scolastico messinese nel quale insegnava. Abbiamo già accennato al
suo talento poetico. Fin da piccolo ha respirato la poesia in
famiglia: dall’età di 9 anni, come egli stesso scrisse, cominciò a
scribacchiare versi. Sotto la guida di Felice Bisazza incrementò e
affinò questo suo talento naturale e del poeta messinese ebbe lo
stesso concetto di poesia pur non intendendo paragonarsi a lui:
Ho scritto parecchi componimenti in
poesia da giovinetto, perché ne sentivo l’estro, e ancor di più
quell’intimo e indefinito sentimento del bello, del puro e dolce
amore di tutto ciò che è buono e santo. Avviene che ciò che si sente
con un po’ di poesia, si ama di estrinsecarlo in quelle forme
poetiche che rispecchino l’interno sentimento. Ma sono stato così
lontano dal credermi veramente un poeta, un letterato, che quasi
tutti i miei componimenti furono da me abbandonati e dispersi.
Se dunque il Di Francia non intende credersi un poeta o un letterato
è certo egli scrisse perché ne sente l’estro e
quell’intimo e indefinito sentimento del bello, del puro e dolce
amore di tutto ciò che è buono e santo che amò estrinsecare
in forme poetiche. E fu un poeta versatile e di facile vena che
ci ha lasciato circa 16.000 versi, la maggior parte dei quali di
argomento religioso, destinati ad essere musicati e cantati per le
varie festività, processioni e funzioni religiose. Tra questi
menzione particolare meritano i componimenti per l’annuale
celebrazione memoriale della collocazione permanente del Santissimo
Sacramento nella cappella del “Quartiere Avignone”: questi furono
raccolti nel volume «Gli Inni del 1° Luglio», pubblicato
postumo.
Ma non è solo nella poesia –
scrive Mario Germinario – che il Di Francia esercitò la sua vena
letteraria (…): quando scrive, qualunque sia il tema di cui si
interessa, si esprime in una purezza di stile ed in un andamento del
periodare tale che mai si riesce a scollare il rigore
dell’argomentare dal sapore e dalla godibilità letteraria. È
«letterato» finanche quando scrive missive di ordinaria
comunicazione. Laddove non manca il pepe dell’ironia, che è sempre
allusiva di perspicace intelligenza e distinta personalità.
Annibale di Francia
fu dunque un uomo di vasta cultura umanistica ma possedeva anche un
notevole patrimonio di conoscenze bibliche.
Sapeva a memoria moltissime sentenze
scritturali e le citava a proposito nelle varie circostanze della
vita, da esse attingendo il lume a ben operare.
Sappiamo che egli si sforzava di tenersi aggiornato
soprattutto mediante la lettura di libri e riviste. In particolare
leggeva libri di spiritualità e ne raccomandava la lettura nelle sue
comunità come gran mezzo di santificazione:
…perché essa, ben condotta è una pioggia benefica e soave, che
penetra dolcemente nella terra del cuore e la irrora e vi si infonde
con grande gusto e profitto dell’anima.
Preferiva le opere dei santi, in particolare
Francesco di Sales, Alfonso De’ Liguori e Alonso Rodriguez, e
suggeriva autori quali Antonio Rosmini – (allora ancora non era
stato proclamato beato)
e Pietro Paolo Parzanése.
Insieme a questa
produzione poetica, l’attività di “comunicatore” del Di Francia è
stata varia e per molti versi innovativa: oggi tutta la sua opera
come editore, giornalista e scrittore è stata dattiloscritta in
14.000 pagine raccolte in 62 volumi. Questa la constatazione in
proposito del secondo teologo censore per la Revisio super
scriptis della sua causa di beatificazione:
L’imponente mole degli scritti (...)
può essere sufficiente a farci conoscere il Servo di Dio Annibale Di
Francia nella sua qualità di scrittore: qualità questa che, a
confronto delle altre più note dell’uomo di azione e dell’apostolo
della carità, è rimasta piuttosto nell’ombra, anche perché di questi
scritti soltanto una piccola parte è stata data alle stampe.
A diciassette anni,
il 2 giugno 1868, Annibale Di Francia inizia a collaborare al
bisettimanale La Parola Cattolica, diretto dallo zio materno,
Don Giuseppe Toscano, e su cui continuò a scrivere per anni,
divenendone a sua volta anche direttore nel 1881.
Altri contributi apparvero anche sulla Gazzetta di Messina,
La Scintilla, Il Faro, Il Progresso italo-americano,
oltre che su L’Osservatore Romano e sul Corriere delle
Puglie ed altre riviste cattoliche siciliane nonché sul
periodico Dio e il prossimo, da lui stesso fondato nel 1907.
Nei suoi articoli
sono ricorrenti i temi della fede religiosa, della morale, della
Chiesa, della giustizia, dei diritti dei poveri. Un giornalismo,
quindi, di tipo apologetico. Egli, però, intuì e tenne fede al
principio secondo il quale nulla può cambiare in meglio, senza
creare una coscienza dei problemi da risolvere, senza creare cioè
opinione pubblica.
È stato già
accennato,
quando, grazie a un suo intervento sulla stampa messinese,
intitolato La caccia ai poveri, fece ritirare la disposizione
che prevedeva l’arresto dei poveri sorpresi nell’atto di mendicare.
A suo avviso la stampa aveva il
compito di
...combattere il male, promuovere il
bene, zelare i dritti dell' umanità anche negli esseri più miseri ed
abietti.
Ed in effetti
Annibale Di Francia, da quando si era inserito nel “Quartiere
Avignone”, aveva messo a disposizione dei poveri anche la sua penna
per informare, sensibilizzare l’opinione pubblica e sollecitare
tempestivi interventi da parte dei benefattori e delle autorità.
La penna, la stampa e l’editoria
– scrive Angelo Sardone – furono nelle sue mani validi strumenti
di evangelizzazione e di efficace apostolato. I diritti dei piccoli,
dei poveri, la difesa delle verità della fede e della Chiesa
cattolica, attraverso la sua voce acquistavano un apologeta, un
avvocato, un intercessore, un grande comunicatore.
Emblematico e
significativo fra i tanti suoi interventi è il contenuto di una
lettera inviata il 21 febbraio 1918 al Corriere delle Puglie
di Bari riguardo a dei casi di vessazione e di “bullismo” ante
litteram di cui erano stati fatti oggetto in Città alcuni
anziani ed accattoni da parte di sfrenati vagaboncelli:
…s’interessino i cospicui Signori
– conclude il Di Francia – che tanto possono, o per le loro alte
relazioni o per gli eminenti posti che occupano, affinché quei pochi
girovaghi scimuniti o vecchi derelitti che elemosinano per la città,
non siano lasciati in balia dei cattivi istinti vessatori
d’inconsiderati ragazzi, ma siano piuttosto condotti in qualche
ricovero, o come che sia provveduti e tutelati.
Oltre alle vittime è
importante anche intervenire sugli autori di questi atti
inqualificabili:
Mentre compiangiamo queste povere
vittime dell’incosciente barbarie di sfrenati vagaboncelli, pensiamo
pure a questi, anch’essi infelici, piccoli carnefici. L’ozio in cui
vivono, l’abbandono, il vagabondaggio, li rendono così crudeli e
inumani.
Proponendo come
rimedio ciò che in sintesi potremmo definire il programma di azione
di tutta la sua vita: vincere e prevenire il male con il bene.
…se una mano pietosa li
rimorchiasse, se una provvida ingerenza civile si occupasse di
reclutarli, al lavoro, alla moralizzazione, molti di loro, che pure
in fondo portano i naturali germi di qualche buona tendenza,
diverrebbero anch’essi buoni ed onesti cittadini ed operai.
Ed ora, se la mia domanda non è
importuna, io oserei pregare la S. V. di aprire, per qualche tempo,
nel suo Corriere delle Puglie, una sottoscrizione per dare un po’ di
soccorso ai più sventurati tra tali deficienti e girovaghi, almeno
da ora fino alla non lontana festività della S. Pasqua. A tale
oggetto, da parte mia m’impegno per lire venticinque, ove la
sottoscrizione abbia luogo.
Quanto detto sopra ci offre una ulteriore interessante acquisizione:
Padre Annibale come vero uomo di cultura fu “provocato” dalla
cultura e, a suo modo, ne fu anche “provocatore”, perché “provocò
cultura”, in quanto la promosse e la favorì, ma anche perché
“provocò la cultura”:
L’uomo colto
– scrive Mario Germinario – non può mancare di essere un
“provocatore”, che provoca e infastidisce, che indigna e turba, che
ammonisce ed apostrofa, che accusa e condanna.
Annibale Di
Francia è un cristiano straordinario, un prete
…che merita di essere ricordato,
notificato, avvertito come un santo che edifica, ma che anche
inquieta con la sua provocazione la coscienza assopita della cultura
contemporanea.
Abbiamo accennato al
fatto che, dopo soli tre anni dall’inizio dell’apostolato di
rigenerazione sociale e cristiana del “Quartiere Avignone”, il Di
Francia abbia impiantato la prima tipografia dalla quale sarebbe
fiorito il suo vastissimo apostolato per mezzo della stampa. Forse
per questo motivo più che parlare del Di Francia come giornalista è
più pertinente parlare di lui come uomo della comunicazione.
Resta forse
fondamentale nella sua scelta a favore della valorizzazione della stampa il consiglio
di San Giovanni Bosco, trasmesso a Padre Annibale nel 1884 da Don
Michele Rua:
Egli [ Don Bosco ] crede che
potrebbe tornare utilissimo il concorso della stampa; s’Ella facesse
parlare qualche giornale locale, molti prenderebbero conoscenza
della situazione sua e qualche anima caritatevole sarebbe tocca nel
cuore.
Difatti già nel
1885, egli cominciò a pubblicare un foglio di comunicazione recante
l’intestazione «Pia Opera dei Poveri del S. Cuore di Gesù»
per illustrare la natura e le condizioni dell’istituto e cercare di
raccogliere un gruppo di generosi che diano un contributo mensile a
favore della sua Opera.
Nel 1900 un altro foglio denominato
«Il Pane di S. Antonio di Padova in Messina e diocesi a vantaggio
degli Orfanotrofi del Can. A. Di Francia, con triduo di preghiera
efficace per quelli che aspettano grazie» diventò veicolo
per la diffusione della devozione del Pane di sant’Antonio
per soccorrere gli orfanelli antoniani.
Lo stesso, con il nuovo titolo: “Il Segreto miracoloso”,
negli anni successivi, raggiungerà 15 edizioni, tra cui una in
spagnolo, inglese e francese, con una tiratura di 100.000 copie
l’anno. Dal 1907 anche il periodico «Dio e il Prossimo»
riporterà le notizie di grazie ottenute per intercessione di S.
Antonio che giungevano nei vari orfanotrofi antoniani e diventerà
mezzo di informazione e comunicazione dell’opera rogazionista nel
mondo.
Significativa è anche l’attività editoriale del Di Francia che va
dalla pubblicazione
del diario inedito
di Santa Veronica Giuliani (1660 - 1727), monaca cappuccina, fino ad
allora conservato nel convento di Città di Castello: nel 1891, fu
dato alle stampe solo il primo volume di cui aveva curato l’edizione
critica dal titolo Un tesoro nascosto;
a quella degli scritti della terziaria domenicana, Luisa Piccarreta
(1865 - 1947): il libro L’orologio della passione – di cui
cura la prime quattro edizioni –, ed un quaderno di “Memorie
d’infanzia”.
Padre
Annibale curò personalmente la pubblicazione dei suoi numerosi
scritti. Per citare le opere più rilevanti: le due edizioni, del
1905 e del 1915, dell’elogio
funebre in onore di Mélanie Calvat, la veggente de La Salette;
la raccolta dei suoi versi “Fede e poesia”, del 1922; e le
diverse edizioni, a partire dal 1901, del libro “Preziose
adesioni di Eccell.mi Monsignori Vescovi ed Arcivescovi e di
Eminentissimi Cardinali... all’Istituto della Rogazione Evangelica e
a quello delle Figlie del Divino Zelo” che raccoglie le lettere
di adesione di cardinali, vescovi e superiori generali di istituti
religiosi alla Sacra Alleanza. Nella prefazione lo
stesso Padre Annibale descrive l’origine delle sue due congregazioni
religiose, lo scopo che si prefiggevano e la natura del carisma
della preghiera e l’azione a favore delle vocazioni.
Annibale Di Francia
fu dunque un uomo colto, non un erudito tout-court, o un
uomo da tavolino – riprendendo l’espressione di Teodoro Tusino,
– perché fu soprattutto un uomo di azione, dedicato totalmente alla
sua missione:
Soleva dire: “Avrei voluto
dedicarmi allo studio della Sacra Scrittura, ma i poveri bambini con
le loro cure mi hanno oppresso”.
Dello stesso tenore
è quanto scrive nel 1921 nell’introduzione al libro “Fede e
poesia” che raccoglie un’antologia dei suoi versi e composizioni
poetiche:
L’essermi modestamente poi dedicato
alle opere di beneficenza per gli orfani derelitti e pei poveri, mi
tolse non poco tempo agli studi letterarii.
Tuttavia, nonostante
il comprensibile rammarico, la sua missione tra i piccoli e i poveri
non lo ha impoverito spiritualmente e umanamente. Annibale Di
Francia fu un uomo colto sebbene uomo di azione e, viceversa, perché
cosciente dell’importanza della cultura per creare un mondo più
giusto e umano fu uomo di azione perché uomo colto. Fu un “uomo di
azione colto” quindi, perché la sua intelligenza, sapienza e
sensibilità artistica hanno “informato” la sua azione, facendo sì
che l’amore sia intelligente e il bene sia fatto bene.
In Annibale Di Francia – scrive
Vito Magno – la cultura non fu qualcosa di aggiunto, una qualità
in più. Fu il suo modo di essere completamente se stesso e
pienamente uomo e santo. Più volte nei suoi scritti, con sensibilità
moderna, egli ripete l’assioma secondo il quale non può esservi
disaccordo tra ragione e fede, tra virtù umane e virtù
soprannaturali. Questa capacità di sentire e soprattutto di vivere
l’interazione tra scienza e fede dà alla sua cultura il senso e
l’ambito di una vocazione e di una missione. Preparazione
umanistica, senso estetico, ricchezza espressiva consentirono alla
sua cultura di farsi esemplare e, perciò, di tradursi in messaggio.
V.
LILLA, Il canonico Annibale M. Di Francia e la sua Opera
di beneficenza, Roma, Ed. Curia Generalizia dei
Rogazionisti, [2010], (Collana «Padre Annibale, oggi»,
n. 34 n.s.), pp. 20; 22 - 23
Per
le Costituzioni dei Rogazionisti (22 marzo 1906), in DI
FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, p. 373.
Per
le Costituzioni dei Rogazionisti (22 marzo 1906), in DI
FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, p. 373.
Padre Annibale qui cita la celebre frase di San Gregorio
Nazianzeno, Oratio II (Apologetica), n. 16
(cfr. J. P. MIGNE, Patrologiæ cursus completus, series
greca, Parigi 1857 - 1866, vol. 35, p. 426).
Trattato degli Orfanotrofi (23 gennaio 1926), in DI
FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 657. La
citazione è di San Giovanni Crisostomo, Omelia sul cap.
18 del Vangelo di Matteo. Il testo completo della frase
del Crisostomo è: «Quid maius quam animis moderari, quam
adulescentulorum fíngere mores?» (cfr. J. P. MIGNE,
Patrologiæ cursus completus, series greca, Parigi 1857 -
1866, vol. 58, pp. 583 - 588).
Per
le Costituzioni dei Rogazionisti (22 marzo 1906), in DI
FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, p. 373.
DI FRANCIA, Scritti,
vol. 1, pp. 239 - 240.
Cfr.
C. DRAGO, Il Padre. Frammenti di vita quotidiana,
Roma, Ed. Rogate, [1995], p. 453, Cfr. anche T.
Loviglio,
Annibale Di Francia educatore, Roma, Figlie del Divino
Zelo ed., [1975], p. 29.
A. M.
DI FRANCIA, Il nuovo Orfanotrofio Infantile di S.
Antonio, in «Dio e il Prossimo», XVIII 1925, n.
6, p. 11.
P.
CIFUNI, Annibale Maria Di Francia educatore (Tesi di
laurea), Università degli studi di Messina. Facoltà di
Magistero, Messina 1974, pp. 112 – 115.
G. B.
LEMOYNE – A. AMADEI – E. CERIA, Memorie biografiche di
San Giovanni Bosco, Torino, Ed. SEI, 1898 – 1948, vol.
13, pp. 918 – 923; Cfr. L. CIAN, Il “sistema preventivo”
di Don Bosco e i lineamenti caratteristici del suo stile,
Leumann, Ed. Elle Di Ci, 1985, pp. 40 – 44.
Per
tutto l’argomento cfr. A. PEDRINI, Don Bosco e il Beato
Annibale M. Di Francia. Le vocazioni un problema urgente,
d’attualità, in «Studi rogazionisti», XII 1991,
n. 33, pp. 14 – 24; T. TUSINO, L’anima del Padre.
Testimonianze, Roma, Ed. Curia generalizia dei
Rogazionisti, [1973], p. 631 – 634; V. SANTARELLA, ,
Principi generali di pedagogia rogazionista, Roma, ed.
privata, 1974, pp. 133 – 158; DRAGO, Il Padre…, pp.
119 – 120.
DI
FRANCIA, Scritti, vol. 2, p. 164.
Scrive
in proposito Rosario Esposito:“L'opera per i Figli dei
carcerati, l'antropologia che la sottende e tutta la
pedagogia riabilitativa, contrapposta alla Scuola
Positivistica di Lombroso e Ferri segnano il fatto saliente
dell'azione sociale e della figura di Bartolo Longo(…).
Certamente però ha utilizzato i suoi studi di legge e la sua
competenza di avvocato anche e soprattutto nell'attività di
antropologo criminale; non v'è dubbio che gli studi di
diritto penale ed in genere le sue conoscenze giuridiche
abbiano costituito la base per vagliare e conoscere e
polemizzare con il Lombroso e con il Ferri”. R. F.
ESPOSITO, Bartolo Longo e la cultura laicista, in AA.
VV., Bartolo Longo e il suo tempo. Atti del convegno
storico…, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1983,
vol. 1, p. 290.
TUSINO, L’anima del Padre…, p. 602; DRAGO, Il
Padre…, pp. 228 – 229.
Regolamento del Prefetto degli Artigianelli (1906), in
DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, p. 393.
Cfr.
Regolamento delle Suore preposte per la Direzione degli
Orfanotrofi (1892), in DI FRANCIA, Scritti (2005 –
2011), vol. 5, p. 160.
Cfr.
Regolamento delle Suore preposte per la Direzione degli
Orfanotrofi, (1892) in DI FRANCIA, Scritti (2005 –
2011), vol. 5, p. 161.
Cfr.
Regolamento delle Suore preposte per la Direzione degli
Orfanotrofi, (1892) in DI FRANCIA, Scritti (2005 –
2011), vol. 5, p. 161.
Cfr.
TUSINO, L’Anima del Padre…, p. 606.
Regolamento del Prefetto degli Artigianelli (1906), in
DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, p. 339.
Trattato degli Orfanotrofi (1926), in DI FRANCIA,
Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 676.
Per
il Prefetto di disciplina (1906), in DI FRANCIA,
Scritti (2005 – 2011), vol. 5, pp. 391 - 403; cfr.
Per le Costituzioni dei Rogazionisti (1906), in DI
FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, pp. 347 -
373.
Per
tutto l’argomento si confrontino gli articoli e le
pubblicazioni di Mario Germinario riportati in bibliografia
ed in particolare M. GERMINARIO, Fondazione di una
pedagogia rogazionista, in «Studi rogazionisti»,
XXVIII 2007, n. 94, pp. 60 – 69; e M. GERMINARIO, L'uomo:
proiezione del caso o progetto – vocazione di Dio?
Fondazione di una pedagogia “progetto – vocazionale”,
Bari, Ed. Florestano, 20132, 100 p.; cfr.
anche Borraccino
giuseppe, Fisionomia educativa e pedagogica di
Annibale Maria Di Francia, in «Studi rogazionisti»,
I 1980, n. 2, pp. 32 – 34.
Cfr.
D. PALAZZO, Incidenza sociale dell'opera di Annibale M.
Di Francia, in AA.VV., Annibale Maria Di Francia,
momento, opera e figura, Bari, Ed. Favia, 1978, p. 61.
Per l’argomento si rimanda agli studi storiografici
riportati nella bibliografia ed in particolare, oltre al
citato studio di Donato Palazzo, G. BORRACCINO, Azione
religiosa e sociale del Cardinale Dusmet e di Annibale Di
Francia (Tesi di laurea), Roma, Università degli studi
di Roma. Facoltà di Lettere e Filosofia, 1969, 270 p.; P.
BORZOMATI, Annibale Di Francia nella Chiesa e nella
società meridionale, in AA.VV., Annibale Di Francia.
La Chiesa e la povertà, Roma, Ed. Studium, [1992], pp.
115 - 126; A. SINDONI, Annibale Di Francia e la Chiesa di
Messina, in AA.VV., Annibale Di Francia. La Chiesa e
la povertà, Roma, Ed. Studium, [1992], pp. 127 - 150;
Positio, vol. 1, pp. 26 - 35.
Cfr.
Lettera a Sua Santità Papa Benedetto XV (24 dicembre
1921), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 28, p. 14.
Con il
suo pensiero e la sua azione sociale Annibale Di Francia
anticipa e mette in pratica la Rerum Novarum di Papa
Leone XIII. Cfr. N. C.
CORDUANO,
La sua opera sociale fra due encicliche, Roma, Ed. Curia
Generalizia dei Rogazionisti, 1990, 40 p., (Collana «Padre
Annibale, oggi», n. 18).
Lettera a Tommaso Cannizzaro (6 gennaio 1916) in A. M.
DI FRANCIA, Lettere del Padre per i Rogazionisti del
Cuore di Gesù e le Figlie del Divino Zelo, [ Padova ],
Ed. Officine Grafiche Erredici, [ 1965 ], vol. 2, pp. 62 -
63.
Cfr.
VITALE, Il canonico…, p. 21.
A. M.
DI FRANCIA, Fede e poesia. Versi, Oria, Ed.
Tipografia Antoniana dell’Orfanotrofio Maschile del Canonico
A. M. Di Francia, 1926, p. VII
A. M.
DI FRANCIA, Fede e poesia. Versi, Oria, Ed.
Tipografia Antoniana dell’Orfanotrofio Maschile del Canonico
A. M. Di Francia, 1926, p. VII.
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