La formazione culturale e professionale
nell’azione pedagogica e sociale di Annibale Maria Di Francia
*

 

1. Annibale Maria Di Francia: uomo, prete, fondatore, educatore, impegnato nel sociale, promotore di cultura

1.1 Annibale Di Francia

1.2  “Rogate ergo…”: l’idea risorsa

1.3 Annibale Di Francia educatore

1.4 Annibale Di Francia e la sua opera di promozione sociale

1.5 Annibale Di Francia uomo colto e “provocatore” di cultura

  

2. La formazione culturale nell’azione sociale e pedagogica di Annibale Maria Di Francia

2.1 Istruzione e scolarizzazione nell’Italia meridionale di fine ‘800

2.2 Formazione scolastica

2.3 Catechesi e formazione religiosa     

2.4 Sport, ricreazione, norme igieniche 

2.5 Galateo e buone maniere       

2.6 Educazione estetica      

 

3. La formazione professionale nell’azione sociale e pedagogica di Annibale Maria Di Francia

3.1.1 La rivoluzione industriale in Italia

3.1.2 La «questione sociale» e il prezzo umano del benessere

3.1.3 Le prime scuole pubbliche di formazione professionale dell’era moderna

3.1.4 Annibale Maria Di Francia pioniere solitario

3.2.1 I bisogni economici delle istituzioni

3.2.2 Il lavoro come fonte di sostentamento degli istituti

3.3 Dalla piccola «azienda domestica» ai laboratori della «scuola di arti e mestieri»

3.4 Il lavoro, primo passo verso la dignità: fattore di educazione e motivo di riscatto umano e sociale

3.5 L’eredità di Sant’Annibale Di Francia, oggi

Conclusione

 

*) il presente testo è coperto da copyright


 

L’azione educativa e di promozione umana e sociale di Padre Annibale si svolse nel cuore di quello che fu definito «il secolo della pedagogia». Il secolo XIX infatti è il secolo di Johann Friedrich Herbart, Johann Heinrich Pestalozzi, Friedrich Froebel, Albertine Necker de Saussure, Gregorio Girard, Ferrante Aporti. Il clima di rinnovamento creato dall’Illuminismo, da Rousseau e dal fenomeno del Risorgimento, sollecitò anche e soprattutto gli Stati nazionali ad interessarsi della scuola, dell’educazione popolare, della politica scolastica. Sant’Annibale Maria Di Francia non rimase estraneo a questo mondo in fermento, portando il suo contributo originale e innovativo alle istanze più profonde del momento storico.

Al nome di Annibale Maria Di Francia viene spesso affiancata una particolare definizione: «Padre degli orfani e dei poveri». Questo predicato riassume in poche parole, ma in maniera efficace l’essenza di una vita e di un’opera rivolta a favore dei derelitti e dei piccoli.

Oggi definiremmo Padre Annibale un «prete impegnato nel sociale». Tuttavia questa definizione potrebbe risultare riduttiva se non considerassimo il fatto che egli è un prete che si è fatto «educatore» per attuare con piena coerenza la sua missione sacerdotale. Lo stile con cui ha vissuto il suo apostolato educativo in mezzo ai bambini e ai giovani poveri e disagiati si ispira ai valori della pedagogia cristiana, ma risponde anche alle suggestioni che provengono dall’ambiente in cui è vissuto; affonda le sue radici nelle doti del suo cuore e della sua mente, ma si alimenta anche ad una profonda esperienza interiore. Per questo la sua spiritualità – la scoperta della necessità della preghiera e dell’azione per le vocazioni e l’esperienza dell’amore personale e misericordioso di Dio – informa anche il suo stile educativo, illumina gli obiettivi e chiarifica i metodi della sua attività a favore della gioventù. In lui spiritualità e pedagogia interagiscono e si arricchiscono reciprocamente.

L’obiettivo che si propone questa ricerca è quello di focalizzare ed esplicare i tre fattori determinanti che emergono dall’ottica pedagogica di Annibale Di Francia: l’istruzione, la cultura, il lavoro intesi come i cardini su cui poggia la crescita integrale del giovane. Padre Annibale ha combattuto la povertà e l’indigenza in tutte le sue forme e manifestazioni cercando di debellarne soprattutto le cause. In tale contesto egli aveva compreso che la vera povertà è l’ignoranza: per que­sto motivo volle far sì che ai «suoi poveri», ma soprattutto ai ragazzi e alle ragazze da lui accolti fosse offerta una reale possibilità di riscatto umano e civile, un diverso e migliore avvenire. Tutto ciò grazie all’esercizio di una professione e dopo esser venuti in possesso dell’istruzione necessaria e di quegli elementi culturali indispensabili per una convivenza civile più degna.

Non essendo questo uno studio filologico o prettamente storiografico e tanto meno una rassegna antologica, ho attinto dalle «fonti rogazioniste», gli scritti di Sant’Annibale Maria (nell’edizione completa in 62 volumi e della recente edizione critica in 7 volumi curata dalla editrice Rogate) e le sue maggiori biografie e documenti storici, solo le citazioni più importanti e significative essenziali alla esposizione degli argomenti trattati. L’approccio a tali testi mi ha consentito di tracciare, nel primo capitolo di questa ricerca, un profilo biografico essenziale del santo educatore messinese, ma nel contempo – a riscontro dell’adagio latino: agere sequitur esse – anche gli aspetti della sua personalità e del suo pensiero e spiritualità alla base della sua opera di educatore, del suo impegno sociale e di promozione umana e culturale. Nei capitoli successivi ho illustrato i tratti fondamentali della formazione culturale e professionale che il Di Francia ha voluto offrire ai suoi ragazzi e giovani.

Per motivi intuibili ho sintetizzato di molto alcuni argomenti che, seppur interessanti e pertinenti, meriterebbero una trattazione più approfondita, quali ad esempio, la descrizione dell’ambiente storico culturale in cui è vissuto Padre Annibale, gli aspetti della formazione catechetica e morale, le norme igieniche e la dimensione della fisica, sportiva e ludica della sua proposta educativa. Non ho mancato tuttavia di indicare di volta in volta le pubblicazioni e gli studi relativi a tali temi.

Ho trovato opportuno invece soffermarmi sulla situazione scolastica del nostro Paese nel periodo pre e post unitario poichè solo sullo sfondo di un tale particolare contesto emergono e sono meglio comprensibili le scelte pedagogiche di Padre Annibale Di Francia tutto ciò che ha operato a favore della formazione culturale e professionale della gioventù.

 

 

 

1. Annibale Maria Di Francia: uomo, prete, fondatore, educatore, impegnato nel sociale, promotore di cultura

 

 

1.1 Annibale Maria Di Francia

 

Annibale Maria nacque a Messina il 5 Luglio del 1851 dal cavaliere Francesco, marchese di Santa Caterina dello Jonio, Vice Console Pontificio e Capitano onorario della Marina Reale Borbonica, e dalla nobildonna Anna Toscano.

Fu educato ed attese agli studi presso il Collegio dei Gentiluomini dei monaci Cistercensi del convento di San Nicolò di Messina. Unificata l’Italia ed a seguito delle leggi eversive del neonato governo nazionale del 1866, a 15 anni Annibale Di Francia fu costretto a lasciare il collegio. Dal quel momento fu suo precettore privato Felice Bisazza (1809 - 1867), docente di “Belle Lettere” presso l’Università di Messina. Il raffinato maestro avvicinò il marchesino alla poesia e all’oratoria. Appena diciottenne sentì chiara la vocazione al sacerdozio, che egli stesso definì “improvvisa, irresistibile, sicurissima”. Tale chiamata si sviluppò e crebbe comprendendo l’importanza della preghiera per le vocazioni prima ancora di poterla scoprire nell’invito di Gesù: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe” (Mt 9, 37-38; Lc 10, 2). Queste parole del Vangelo costituirono l'intuizione fondamentale alla quale egli dedicò tutta la sua esistenza.

L’8 dicembre 1869, insieme al fratello Francesco, vestì l’abito talare come seminarista. Nel 1870 Annibale Di Francia conseguì il Diploma di Maestro elementare. Il 16 marzo 1878 venne ordinato sacerdote.

Tuttavia la vocazione e la vita sacerdotale di Padre Annibale furono segnate da un incontro avvenuto qualche mese prima della sua ordinazione con un giovane mendicante quasi cieco. Questo evento lo mise in contatto con la miseria materiale e spirituale del bassifondi di Messina: il cosiddetto “Quartiere Avignone”. Per una sommaria ma efficace descrizione di questo ghetto, tenuto nascosto alla “Messina – bene” del tempo, basta leggere alcuni brani tratti dall’opuscolo “Il canonico Annibale M. Di Francia e la sua Opera di beneficenza” scritto per presentare il lavoro di promozione umana del Di Francia dal filosofo e patriota francavillese Don Vincenzo Lilla (1837 – 1905) allora docente di “Filosofia del diritto” presso l’università di Messina:

In uno dei luoghi estremi della città di Messina, vi era un mucchio di case distrutte, quasi topaie. Oh di quanto inferiori al giaciglio delle bestie e sembra che il luogo dove dimorano le bestie potrebbe essere invidiato da coloro che vi abitavano, cioè, da quelle luride donne che facevano mercato della loro coscienza e del loro corpo (…).

In quel pezzo di terra, direi quasi, maledetta, da cui era bandito ogni principio di morale e di religione, vi erano connubi inverecondi, non erano rispettate le leggi del pudore, e questi infami accoppiamenti fra parenti stessi, violavano i diritti del sangue. La lussuria, l’oscenità, si presentavano, nella più turpe, nella più mostruosa ed infame forma. Era uno stato di vera barbarie; non cultura, non coscienza dell’umana dignità, ed anche il fioco lume del buon senso, si era spento in quelle coscienze deturpate.

Era insomma quel luogo, abitato da un branco di bestie; perché l’uomo non dominato dalla retta ragione, e dal lume della fede, è da meno d’una bestia; poiché la bestia ha l’istinto che tiene luogo di alta ragione[1].

 

Fa eco al realismo di queste parole la descrizione che lo stesso Di Francia compie questo luogo “di tanto abominio”:

Nella città di Messina esisteva da molti anni un ampio assembramento di catapecchie fab­bricato allo scopo di albergarvi poveri. Quivi si formò tale un amalgama dei più miseri, men­dicanti ed abbietti della Città, nel massimo scompiglio, disordine, abbandono e sudiciume, che quel luogo divenne oggetto di orrore a tutto il paese; e richiamò più volte 1’attenzione della pubblica Autorità, specialmente nei pericoli d’epidemia; ma nessun rimedio venne mai apportato. Vi era in ogni catapecchia, ridotta per lo più peggio che una stalla, una famiglia di poveri, se famiglia potesse chiamarsi, dacché non esistevano vincoli né religiosi né civili, né doverosi rapporti di parentela, ma si giaceva a mo’ di bruti. Parecchie malattie agli occhi af­fliggevano gran parte di quelle povera gente, vi si contagiavano i poveri bambini, scalzi, lu­ridi, cenciosi; vi si soffriva la fame con tutti i disagi dell’estrema povertà, giacigli con paglia sporca per terra e gran quantità di molesti insetti di varie specie, fino a morirne taluni len­tamente divorati!

Maggiori erano i mali morali. Le fanciulle vi perivano una dopo 1’altra inevitabilmente. Nessuno osava mettere piede in quel luogo di tanto abominio[2].

 

Da allora la mente e il cuore di quel giovane prete sono ormai indissolubilmente legati ai poveri abitanti del malfamato agglomerato di baracche e case diroccate. Padre Annibale portò a quei derelitti aiuti materiali e spirituali, catechismo e richieste di conversione: sa che evangelizzare i poveri senza soccorrerli è un lavoro incompleto. Si rimboccò le maniche per ripulire, vestire, sfamare.

 

Quando voi avrete raccolto un povero, – fu il consiglio del Beato Ludovico da Casoria - e l’avrete pulito e vestito e rivestito, dalla testa ai piedi, e l’avrete soccorso almeno per un mese, allora potrète cominciare a parlargli di confessione…[3]

 

I bambini erano in cima ai suoi pensieri: volle affrancarli da quella condizione di miseria materiale e morale: nel 1882 creò il primo “Rifugio” per raccogliere ragazze orfane e abbandonate. Un anno dopo, quello per i bambini. Approntò  inoltre una scuola serale per gli adulti.

Per realizzare i suoi ideali apostolici, il 18 marzo 1887, Annibale Di Francia impose l’abito religioso a quattro giovani che avevano cominciato a coadiuvarlo all’orfanotrofio: nasce la congregazione delle suore Figlie del Divino Zelo. Nel 1895 si affiancò all’operato di Padre Annibale il primo sacerdote, Francesco Bonarrigo. Due anni dopo nascerà la congregazione dei Padri Rogazionisti del Cuore di Gesù.

Gli anni passarono fra difficoltà d’ogni genere e tutto ciò, insieme ad un crescendo di critiche all’operato del Di Francia, portò, nel 1897, al concreto rischio di soppressione delle sue istituzioni. In quel frangente Padre Annibale chiese ed ottenne la collaborazione di Mélanie Calvat (1831 - 1904), la veggente de La Salette, che diresse le Figlie del Divino Zelo fino all’ottobre del 1898. Al superamento di questa crisi seguì la fondazione di altri due orfanotrofi a Taormina, nel 1902, e a Giardini, nel 1903.

Il 28 Dicembre 1908 un devastante terremoto rase al suolo le città dello Stretto, Messina e Reggio Calabria. Tra le vittime 13 suore, ma i bambini rimasero tutti miracolosamente illesi. Padre Annibale fu costretto a trasferire altrove gli orfani: tempestivamente il vescovo di Oria, Mons. Antonio Di Tommaso (1860 - 1956), suo amico ed estimatore, gli mise a disposizione alcune strutture nella sua diocesi. L’esilio in Puglia per i piccoli profughi durò solo un anno, ma questo bastò a far conoscere spirito caritatevole del canonico messinese: ritornando a Messina, Padre Annibale lasciò in Puglia le case rogazioniste di Oria, Francavilla Fontana, nel 1909, e Trani, nel 1910.

Seguirà l’apertura di altri istituti a San Pier Niceto, nel 1909, a Sant’Eufemia d’Aspromonte, nel 1915, ad Altamura, nel 1916, a Roma, nel 1924, a Torregrotta, nel 1925 e a Novara di Sicilia, nel 1927.

Il 1 Giugno 1927 si concluse la giornata terrena di Annibale Maria Di Francia. Ai sui funerali tutta Messina scese in strada per tributargli l’ultimo saluto acclamandolo già “santo”.

Giovanni Paolo II, il 16 Maggio 2004, ha proclamato solennemente la santità di Annibale Maria Di Francia proponendo alla Chiesa e al mondo il suo esempio ed il suo messaggio.

 

 

 

1.2 “Rogate ergo…” l’idea risorsa

 

Per Annibale Di Francia, il “Quartiere Avignone” di Messina diventa il topos e il luogo simbolico della povertà materiale e spirituale dell’umanità e nel contempo della esiguità ed inadeguatezza dei mezzi umani per risolverla e debellarla. I diseredati abitanti di quel quadrilatero di miseria e povertà sono solo una piccola parte della immensa miseria del mondo:

Che cosa sono – scriveva Padre Annibale – questi pochi orfani che si salvano e questi pochi poveri che si evangelizzano dinanzi a milioni che si perdono e sono abbandonati come gregge senza pastore? ... Cercavo una via d'uscita e la trovavo ampia, immensa in quelle adorabili parole di nostro Signore Gesù Cristo: “Pregate il Padrone della messe perché mandi gli operai nella sua messe…”. Allora mi pareva di aver trovato il segreto di tutte le opere buone e della salvezza di tutte le anime[4].

 

«La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe» (in latino: «Messis quidem multa, operarii autem pauci. Rogate ergo dominum messis ut mittat operarios in messem suam»). I sacerdoti, i consacrati e tutti i cristiani sono gli “operai del vangelo”, chiamati a continuare nel tempo l’opera di Cristo, e questi sono dunque frutto della preghiera.

In questo invito di Gesù riportato nei vangeli di Matteo e Luca[5], Annibale Di Francia riconobbe un preciso programma di vita e di azione, la sua “idea risorsa”, o ciò che in teologia viene indicato come “carisma”, dono dello Spirito per la chiesa e il mondo, e volle che divenisse la missione dei membri delle sue due congregazioni, la suore “Figlie del Divino Zelo”, fondate nel 1887, ed i “Rogazionisti del Cuore di Gesù”, fondati nel 1897. Essi dovranno impegnarsi a vivere il “Rogate…” con un quarto voto, oltre i voti di castità, povertà ed obbedienza: pregare, cioè, per le vocazioni, diffondere questa preghiera ed essere essi stessi dei “buoni operai”, attraverso l'evangelizzazione e la promozione umana dei derelitti e più bisognosi.

Così scriveva il Di Francia nel 1909 in una lettera al papa Pio X:

Mi sono dedicato fin dalla mia giovinezza a quella santa Parola del Vangelo:  Rogate ergo Dominum messis ut mittat Operarios in messem suam. Nei miei minimi Istituti di beneficenza si leva una preghiera incessante, quotidiana, dagli orfani, dai poveri, dai Sacerdoti, dalle sacrate vergini, con cui si supplicano i cuori Santissimi di Gesù e di Maria, il Patriarca San Giuseppe e i Santi Apostoli perché vogliano provvedere abbondantemente la Santa Chiesa di Sacerdoti eletti e santi, di evangelici Operai della mistica messe delle anime[6].

 

Per diffondere la preghiera per le vocazioni Annibale Di Francia ebbe contatti epistolari e personali con i Pontefici del suo tempo: la sua infaticabile tenacia nel perseguire questo intento fu sostenuta da papa Leone XIII che lo esortò a proseguire nella sua impresa; San Pio X lo benedisse riconoscendo che egli aveva fatto “eco al comando di Cristo”; Benedetto XV si proclamò “il primo Rogazionista” e Pio XI, approvando la Pia Unione di Preghiera per le Vocazioni,  la definì “l’opera delle opere”. Promosse inoltre numerose iniziative: istituì due associazioni di fedeli, la “Sacra Alleanza” (1897) e la “Pia Unione della Rogazione Evangelica”[7] (1900) per diffondere tra il clero e i laici la preghiera per le vocazioni raccomandata da Gesù.

È tutta la Chiesa che ufficialmente deve pregare a questo scopo, poiché la missione della preghiera per ottenere i buoni operai

…è tale da dovere interessare vivamente ogni fedele, ogni cristiano, cui sta a cuore il bene di tutte le anime, ma in modo particolare i vescovi, i pastori del mistico gregge, ai quali sono affidate le anime e che sono gli apostoli viventi di Gesù Cristo[8].

 

Verso il 1880 Padre Annibale scrive di suo pugno la prima vera e propria preghiera per le vocazioni – perchè confessa di non averne trovata alcuna nei libri di devozione – e sarà una preghiera per le vocazioni il primo testo che nel 1885 verrà dato alle stampe dalla tipografia dell’orfanotrofio di Messina.

Conscio che il Signore ascolta la voce dei piccoli e degli umili, egli fa pregare per le vocazioni i poveri di Messina e i bambini dei suoi istituti ma desidera anche che l’istanza di Gesù venga quanto più conosciuta a propagata. Nelle “Quaranta dichiarazioni”, il suo testamento spirituale, Padre Annibale afferma:

 

Dedicherò a questa preghiera incessante, ovvero a questa “Rogazione Evangelica del Cuore di Gesù”, tutti i miei giorni e tutte le mie intenzioni, e avrò immensa premura e zelo, perché questo divino comando di Gesù Cristo Signor Nostro poco apprezzato finora, sia dovunque conosciuto ed eseguito; che in tutto il mondo tutti i sacerdoti dei due cleri, tutti i Prelati di S. Chiesa fino al Sommo Pontefice, tutte le vergini a Gesù consacrate, e tutte le anime pie e tutti i chierici nei seminari, e tutti i poveri e i bambini tutti, tutti preghino il Sommo Dio, perché mandi operai innumeri e perfetti, e senza più tardare, e dell’uno e dell’altro sesso, e nel sacerdozio e nel laicato, per la santificazione e la salvezza delle anime tutte, neppure una eccettuata.

Sarò pronto, con l’aiuto del Signore, a qualunque sacrificio, anche a dare il sangue e la vita, perché questa “Rogazione” diventi universale.[9]

 

Probabilmente il Di Francia è il primo religioso a credere concretamente nell’efficacia dei mezzi di comunicazione di massa: la stampa periodica e dell’editoria, unici quanto innovativi per quel periodo. Pertanto il giornale la lui fondato “Dio e il Prossimo”, costituiva un eccezionale veicolo per la divulgazione su larga scala di tale particolare preghiera.

Finalmente il 4 Aprile 1926 Padre Annibale potrà partecipare all’inaugurazione a Messina del Tempio della Rogazione evangelica, la prima chiesa nella storia del cristianesimo dedicata alla preghiera per le vocazioni: sulla facciata v’è riportata la scritta: “Rogate ergo Dominum messis ut mittat operarios in messem suam”.

Il carisma, l’“idea-risorsa” della preghiera e l’azione per le vocazioni fanno dunque di Annibale Di Francia l’apostolo della preghiera per le vocazioni ed un anticipatore della moderna pastorale vocazionale. La Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni, istituita da Paolo VI nel 1964, può considerarsi il riconoscimento e la risposta della Chiesa a questa sua intuizione.

 

 

 

1.2.1 Genitori, educatori e insegnanti, “operai del Vangelo”

 

Dato il tema pedagogico di questa mia ricerca, vorrei concludere la presente sezione con un riferimento agli educatori ed agli insegnanti.

Leggendo il passo del Vangelo nei testi di Matteo e Luca, il Di Francia si chiede chi siano gli “operai” di cui parla Cristo. In verità ancora oggi l’argomento è dibattuto. Egli giunge alla conclusione che anche la vocazione dei laici è inclusa nella preghiera sollecitata da Cristo.

 

Quel divino Rogate ergo Dominum messis ut mittat Operarios in messem suam, non solo è da considerarsi in rapporto ai sacerdoti suscitati dalle supreme vocazioni, e queste ottenute dall’obbedienza a quel Divino Comando, ma è da considerarsi a quanto l’Altissimo spinge con la sua divina Grazia ad adoperare un bene più o meno efficace nella sua Chiesa, nella gran messe delle anime (…).  Nella formazione della salute eterna delle anime ci sono diversi agenti in diversi ceti e classi sociali.

 

Certamente, data la loro missione, al primo posto mette i sacerdoti e i religiosi[10]. Tuttavia include anche i laici quali i governanti e tutti quelli che formano gli alti ufficii governativi e amministrativi ma anche gli insegnanti, gli educatori e soprattutto i genitori:

 

Altri buoni operai della mistica messe sono i buoni educatori e le buone educatrici! (…) Educatori cattivi - dei quali miseramente abbonda la terra - sono flagello, rovina, della mistica messe delle anime, sono uragano, tempesta, ciclone che l’abbatte, la sconvolge, l’inghiotte! Tali sono specialmente gli insegnanti o atei, o miscredenti, o immorali di alcune scuole, e guai per la gioventù che vi capita! Ubbidire a quel divino “Rogate”, vale pure domandare alla Divina Bontà maestri ed educatori e direttori d’istituti credenti, praticanti, timorati di Dio, che mentre istruiscono la mente con sana istruzione, santamente ne educhino il cuore.

Vale pure questa Preghiera perchè il buon Dio dia lumi e grazia speciale a tutti i genitori che hanno nelle loro mani la gran messe delle future generazioni perché sappiano edificare col buon esempio i loro figli, sappiano tenerli lontani dai pericoli dell’anima, li crescano con santa educazione e li presentino a bene riusciti, o avviati a buona riuscita, a quel Dio che loro, a questo fine li ha dati. Ma ahimè, quanti rari sono questi genitori, e come spesso la casa e la famiglia formano proprio quel mondo che è uno dei tre formidabili nemici dell’uomo!

Fu da un tale definita la educazione: l’arte la più delicata tra le mani le più inesperte![11]

 

Questa intuizione è una singolare novità per i suoi tempi e fa di Annibale Di Francia un precursore dell’odierno l’insegnamento della Chiesa sulla missione e vocazione dei laici. “Tutti nella chiesa hanno ricevuto una vocazione” ha dichiarato infatti papa Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi[12] e Giovanni Paolo II nella Christifideles Laici parla chiaramente della varietà della presenza dei laici nella Chiesa “secondo la diversità di vocazioni e situazioni, carismi e ministeri”[13].

 

 

 

1.3 Annibale Di Francia educatore  

 

Padre Annibale non ha modellato le sue teorie pedagogiche per la creazione di un sistema personale ed esaustivo su di uno schema determinato ed esauriente. Tuttavia oltre che dal suo esempio e dalla sua prassi, è possibile ricavare i principi fondamentali della pedagogia difranciana dall’esteso e variegato complesso degli scritti spesso in forma di indicazioni e suggerimenti pratici ed occasionali. In particolare ai suoi religiosi e alle suore affidò dei “Regolamenti”: norme, insegnamenti  e consigli per la conduzione degli istituti. Sarebbe ora prolisso produrre qui tali disposizioni il cui contenuto tuttavia ben si potrebbe riassumere  nell’espressione: il segreto dell’educazione è l’amore.

 

Bisogna amare di puro e santo amore i fanciulli, in Dio, con intima intelligenza di carità, con carità tenera, paterna, che questo è il segreto dei segreti per guadagnarli a Dio e salvarli. Bisogna trattarli con molto affetto e dolcezza quantunque con contegno, che esclude l'abuso della familiarità e confidenza e induce il riverenziale timore. Mai e poi mai si debbono ingiuriare i ragazzi. Se occorre castigarli, si faccia pure, ma con garbo e in maniera che il fanciullo comprenda che si faccia per suo bene. Mai e poi mai si debbono riprendere innanzi agli altri ragazzi i mancamenti di uno, che possono recare scandalo, specialmente ai piccolini, mancamenti che non sono conosciuti: in tali casi si ammonisce o si punisce il ragazzo in segreto. Mai e poi mai bisogna indispettirsi coi ragazzi e aver loro rancore e diffidenza: ciò è lo stesso che disanimarli e farli rilasciare. Molte mancanze che vale meglio dissimulare, si dissimulino. Si evitino castighi e correzioni forti in quel momento, in cui provocherebbero reazioni nel ragazzo; che ciò sarebbe un rovinare l'edificio. Il sorvegliante, educatore immediato o no, ha bisogno molto di lumi di Dio e deve dimandarli giornalmente al Signore e alla Madre del Buon Consiglio, anche con lacrime; e anche interiormente nelle occasioni giornaliere (…). Facciamo dunque quanto più possiamo con ogni sforzo e con ogni supplica a Gesù e a Maria, perchè ci diano lumi circa l'educazione dei bambini[14].

 

Per Padre Annibale educare è una “santa e sublime missione”, un'arte difficile e delicata, anzi ars artium, scientia scientiarum, pochi la sanno possedere …l’educazione dei fanciulli è l’arte delle arti, e nessun’arte umana, sia pure di scultori o di pittori esimi, può assurgere al merito di quelli che sanno adolescentium fingere mores! Formare, cioè, al bene i costumi degli adolescenti[16].

 

E aggiunge giustamente che l’educatore dev’essere:

 

…filosofo, teologo, grande conoscitore del cuore umano, e santo, per essere perfetto educatore di un piccolo bambino![17]

 

Educare e salvare la gioventù per strapparla alla perdizione dell’anima e del corpo, sottrarla nella più tenera età dall’abbandono è una “speciale missione”:

 

…essendo stata questa la mia speciale missione: educare i ragazzi delle strade al lavoro di arti e mestieri, per farne buoni e non scioperanti operai, e le povere ragazze ai lavori donneschi e domestici, per potere un giorno collocarsi in oneste famiglie, o buscarsi col proprio lavoro il pane della vita[18].

 

L’azione di redimere ed educare i fanciulli e i giovani ha, infine, una ricaduta virtuosa su tutta la società e per le future generazioni:

 

Si consideri che togliere un orfanello o un’orfanella da un fatale avvenire e dargli le prosperità della vita spirituale e temporale, è un bene di vera redenzione che non si restringe a quell’anima solamente, ma porta con sé incalcolabili conseguenze di altri beni che si perpetuano di generazione in generazione! Un orfano ben riuscito, un’orfana bene istruita e moralizzata, perpetueranno la loro buona educazione e moralizzazione o con i buoni esempi che daranno in mezzo alla società o col diventare padre e madre dei figli, ai quali parteciperanno fin dalle fasce gli insegnamenti della fede e della buona civiltà, e le pie pratiche della religione e il buon avviamento al lavoro; tutti i beni insomma di cui essi furono nutriti nel pio Istituto che li raccolse e li crebbe per Dio e per il loro felice avvenire[19].

 

Annibale Di Francia legge e invita a studiare testi di pedagogia[20]. Conosce e cita Jean-Jacques Rousseau (1712 –1778), Albertine Necker de Saussure (1766 – 1841), Raffaello Lambruschini (1788 –1873) e i “romantici”, Johann Heinrich Pestalozzi (1746 – 1827)[21] e Friedrich Fröbel (1782 – 1852). A  proposito delle acquisizioni di quest’ultimo, presentando ai benefattori il nuovo Orfanotrofio infantile di Roma, così scrive:

Né i bambini che noi prendiamo saranno lasciati a baloccarsi, ma, a forma di asilo infan­tile, saranno avviati a lavoretti "froebeliani", al sillabario ed ai primissimi elementi del sapere.[22]

 

Fra gli autori che in un certo senso hanno influenzato il pensiero e la metodologia pedagogica del Di Francia una particolare menzione spetta ad Antonio Rosmini (1797 – 1855). La formazione iniziale del giovane Annibale durante gli anni del collegio fu curata infatti dallo zio paterno, Padre Raffaele Di Francia (1826 - 1885), rosminiano entusiasta, e in uno discorso letto in occasione della solenne distribuzione dei premi nell’Istituto Saccano di Messina, l’8 gennaio 1871[23], dal ventenne Don Annibale, maestro appena “patentato”, è possibile cogliere abbondanti motivi e citazioni rosminiane[24]. Il Di Francia inoltre resterà legato al Rosmini anche dopo la sua morte: nel 1904 scrisse al generale dell’Istituto della Carità, il P. Bernardino Balsari, dicendogli che nelle comunità

 

…si leggono con grande piacere e ammirazione le Opere Morali e le Lettere Familiari dell’immortale Antonio Rosmini. Questi libri furono portati al mio Istituto da un giovane Sacerdote della Provincia di Lecce, il quale si è aggregato a questa minima Congregazione della Rogazione Evangelica; egli è amantissimo delle Opere del Rosmini. Io ebbi uno zio dotto in Filosofia, il quale si formò sulle Opere del loro santo Fondatore. Ora io prego la S. V. Rev. ma, se volesse donare ai miei Istituti il libro delle Massime di Perfezione Cristiana del Rosmini, e il libro sugli Angeli nella Sacra Scrittura, di cui è autore l’illustre Predecessore della S. V. Rev. ma[25].

 

Inoltre, nel 1906, al Rosmini, allora proclamato dalla Chiesa “Servo di Dio”, scrive una preghiera invocandolo come “Celeste rogazionista”[26].  

Interessanti punti in comune tra il pensiero del Di Francia e quello del fondatore della pedagogia spiritualista è possibile coglierli nell’idea che l'elemento religioso debba dominare, anche se non esaurire, l'insegnamento (Sull'unità dell'educazione, 1826) e nella rivendicazione del diritto della Chiesa di insegnare contro ogni monopolio statale nell'ambito scolastico (Della libertà di insegnamento, 1854).

 

 

 

1.3.1 Il “sistema preventivo” di Don Bosco

 

Capisaldi dell’azione pedagogica di Annibale Di Francia sono tuttavia i principi del cosiddetto sistema preventivo di San Giovanni Bosco (1815 – 1888). Il Di Francia ebbe una relazione epistolare con Don Bosco e volle conoscerne il suo metodo educativo attraverso alcune visite negli istituti salesiani allora appena aperti in Sicilia.

Caratteristica di fondo dello stile e del metodo educativo di Don Bosco è il collocarsi nella scia della tradizione della autentica pedagogia cristiana, che dalle pagine del Vangelo percorre secoli di storia passando per San Filippo Neri (1515 – 1595), il santo della gioia inventore dell’“oratorio”, San Carlo Borromeo (1538 – 1584), organizzatore di nuove e geniali opere educative, San Francesco di Sales (1567 1622), l’umanista della “divozione” intesa come santità possibile a tutti, San Giovanni Battista de La Salle (1651 1719, instauratore di un nuovo stile educativo cristiano, Ferrante Aporti (1791 – 1858) e Gino Capponi (1792 – 1876), insigni esponenti della pedagogia del cattolicesimo liberale, per giungere fino a noi con la pedagogia personalistica cristiana di Jaques Maritain (1882 1973)[27], Emmanuel Mounier (1905 1950)[28] e Gabriel Marcel (1889 1973) – solo per citarne alcuni autori di una lunga serie che annovera tra i maggiori anche Karol Wojtyła (1920 2005) e Joseph Ratzinger (1927 - vivente).

“Questo sistema si appoggia tutto sopra la ragione, la religione, e sopra l'amorevolezza” scrive nel 1877 Don Bosco nella prima edizione del suo “trattatello” – così come chiamava il testo in cui illustra il “sistema preventivo”[29]. É questa la sintesi di un messaggio pedagogico perenne[30]: la centralità della ragione, come ragionevolezza delle richieste e delle norme, flessibilità e persuasione nelle proposte; l’importanza della religione, intesa come crescita nella fede, del senso religioso e sforzo di evangelizzazione cristiana; il valore della amorevolezza, intesa come amore educativo che fa crescere e crea corrispondenza.

Il concetto base del metodo educativo di Don Bosco sta nel “preventivo” che va inteso nel suo significato positivo. Include sia il bisogno di tener lontane le occasioni pericolose e le esperienze sicuramente e gravemente negative, sia il bisogno di indicare la strada da seguire. È un metodo preventivo e indicativo insieme, attuato mediante la presenza attiva, costruttiva e amicale dell’educatore che mentre preferisce tener lontano il male piuttosto che correggerlo quando è già avvenuto, positivamente gli contrappone il bene, il rafforzamento continuo, paziente, razionale e volitivo dell’educando stesso, favorendone la piena corresponsabilità.

Inteso in questa accezione, più di una volta nei suoi scritti il Di Francia raccomanda dunque ai suoi religiosi di attuare il “sistema preventivo” nella educazione dei ragazzi[31]. Ad esempio, a proposito delle punizioni, scrive:

 

Quando le ragazze sono bene educate e sorvegliate, non tanto facilmente commettono delle mancanze che siano degne di punizione. Basterà una avvertenza, una riprensione.

E qui si fa notare che bisogna seguire il sistema o metodo del Ven. Don Bosco, cioè il   “sistema preventivo”.

Consiste questo sistema nel prevenire che le ragazze da educarsi, o grandette o piccole, siano sorvegliate in modo che non abbiano largo o libertà di rilasciarsi e commettere mancanze, e nell’educarle così cristianamente e devotamente, che esse stesse abbiano interiormente il santo timor di Dio che le fa stare attente e circospette a non commettere delle mancanze rilevanti[32].

 

…e della sorveglianza:

La sorveglianza fatta accuratamente, continua, e con animo sempre teso sulle ragazze, è il grande preservativo per impedire ogni difetto. É l’uso del così detto metodo preventivo. Da questa tensione dell’animo delle Suore Educatrici, verso le orfane, queste apprendono l’importanza e il fine di questa continua sorveglianza su di loro.  Apprendono a guardarsi da ogni difetto, e a prendere l’abito della disciplina e della osservanza dei propri doveri. Guai se questa sorveglianza si rilascia nelle Suore che vi sono addette. Immediatamente, ed  inevitabilmente si rilasciano le educande orfanelle[33].

 

Padre Annibale fa suoi e nel contempo arricchisce della propria sensibilità gli elementi caratteristici del “sistema” di Don Bosco quali l’esigenza di un’educazione “individualizzata” che pone il fanciullo al centro del processo educativo; il rapporto personale tra educatore ed educando fatto di spontanea e aperta confidenza, di collaborazione sincera e leale.

 

La vigilanza e sorveglianza sopra i ragazzi sia per noi un precetto e un obbligo dei più stretti. Il direttore e gl’immediati, ciascuno per la sua parte, non perdano mai d’occhio alcun ragazzo, in chiesa, nei laboratori, nella scuola, e specialmente nella ricreazione e nei dormitori. Si tenga presente che i ragazzi hanno molto sottile intelligenza e fine istinto di sapersi sottrarre alla sorveglianza senza fare accorgere l’educatore-o sorvegliante. Questo sia dei ragazzi più sottile ed avveduto per non farli sottrarre. Il demonio cerca assiduamente il pervertimento dei fanciulli: il sorvegliatore deve eludere, con grande attenzione, tutte le insidie di Satana e custodire come angelo i fanciulli a lui affidati per renderli immacolati al Signore60.

 

In questo dinamismo educativo la presenza dell’educatore si configura come causa esemplare. Nei vari “regolamenti” per i Rogazionisti e per le suore il Di Francia insiste spesso su questo tema:

Più che le parole, le loro azioni penetrino edificantissime nel tenero animo dei soggetti. Gl’insegnamenti a parola, siano i più savi che si voglia, svaniscono come fumo al vento dinanzi alle azioni non buone[34].

 

Prima di tutto le suore daranno in tutto e per tutto buon esempio alle educande, sia nel parlare misurando le parole, sia nell’amore al lavoro, sia nelle -pratiche religiose, sia nell’ubbidienza alla preposta, sia nello stare in pace e rispettarsi tra loro e in ogni altra cosa(…). Si raccomandano pur alle suore gli atti di urbanità e il dipor­tamento civile, secondo i principi della sana educazione, essendo la vera educazione sorella della vera devozione[35].

 

Ed ancora:

L’educatore è lo specchio su cui si modellano i ragazzi. Dal suo diportamento e dal suo contegno dipende il diportamento degli allievi. Il prefetto dei ragazzi anzitutto terrà specchiata condotta morale e religiosa, che deve trasparire negli atti, nei gesti, nelle parole e in tutto il modo d’agire, di parlare e di pensare[36].

 

L’amore educativo, il tatto pedagogico e l’autorità intesa come “autorevolezza” rendono completa ed efficace l’opera educativa:

La Superiora e le maestre sentiranno nel loro cuore affetto e rispetto in Dio di tutte le povere orfanelle a loro affidate, considerandole come anime carissime al Signore, e forse più care di loro stesse per la loro innocenza e povertà. Le custodiscano come pupilla degli occhi loro. Non usino mai verso di loro parole ingiuriose o aspre o improntate di iracondia e di impazienza, nemmeno quando si tratta di correggerle, di rimproverarle o di punirle. Il loro tratto con le orfanelle sia improntato a dolcezza, a carità, a santa premura di crescerle buone e produrre la loro buona riuscita... Tutte le ragazzette le amino in Dio e mostrino a tutte ugualmente quest’amore, e sempre con prudenza perché non ne abusino. Ciò non toglie che possano alle volte mostrare buon viso come premio alle più buone, umili, obbedienti e osservanti[37].

 

Il “prefetto” deve agire nei confronti dei ragazzi

…in modo che predomini il vivo interesse del loro bene; così che i ragazzi l’intravedano, lo comprendano e ne restino presi. Questo è il vero segreto dell’educazione! Quando l’educatore sente il vivo interesse del bene degli allievi e li ama religiosamente compassionando il loro futuro avvenire qualora non facciano buona riuscita, egli può anche essere forte, può anche punirli se mancano e gli alunni non se ne sdegneranno mai e lo ameranno e lo temeranno[38].

 

Come Don Bosco, Padre Annibale pone grande attenzione al clima generale e all’ambiente educativo: solo in un’atmosfera idonea nascono l’affetto e la confidenza. Per i ragazzi che hanno abbandonato la loro famiglia naturale e soprattutto per quelli realmente e pedagogicamente “poveri e abbandonati” perché non hanno gustato le dolcezze di un nido familiare normale e sano questo ambiente deve esse prima di tuttofamiliare”:

…i locali dell’Orfanotrofio, il sistema disciplinare, il trattamento e le stesse preghiere, quanto più è possibile, occorre adattarle a quelle della famiglia[39].

 

A distanza di decenni le acquisizioni odierne confermano tale fondamentale intuizione: la famiglia, l’atteggiamento dei genitori e l’ambiente familiare, sono la base naturale e culturale che accompagna e sostiene l’evoluzione della persona e, a livello inconscio, influiscono fortemente sul processo di socializzazione, di crescita affettiva e maturazione intellettuale.

 

…quando noi ricoveriamo orfani nei nostri Istituti, in certo modo veniamo a sostituire i genitori. Dovremmo perciò amare questi ragazzi come i genitori amano i propri figli, ed assumere verso di loro tutti quei doveri che hanno gli stessi genitori. È una parola però dire che sostituiamo i genitori. Questi infatti, propriamente parlando, sono insostituibili. Noi siamo sempre un surrogato dei genitori. Ora un surrogato è tanto più buono, quanto più si avvicina e si rassomiglia all’originale.

Anche a fare di più di quello che fanno i genitori, noi per gli orfani rimaniamo sempre degli estranei, siamo sempre un surrogato. Quanto vale infatti uno sguardo, un bacio materno, non valgono tutte le premure e attenzioni degli altri.

L’accettazione degli orfani nei nostri Istituti è per noi come un atto di adozione che dura, propriamente, fino a quando l’orfano rimane con noi, ma che sarebbe bene durasse ancora di più. L’adottante assume tutti gli obblighi che i genitori hanno per i propri figli. Come i genitori, l’adottante deve premurarsi  per la buona riuscita dell’adottato, cioè per la  conservazione della salute, non guardando a spese e sacrifici a questo riguardo. Deve inoltre formarlo moralmente, spiritualmente, religiosamente e, secondo le possibilità, istruirlo e insegnargli un mestiere, un’arte, una professione perché domani possa vivere nella società onoratamente con il frutto della propria attività. Altrettanto dobbiamo fare noi per gli orfani che teniamo nei nostri Istituti. Anzi dico che dobbiamo fare di più degli adottanti; di più dei genitori. Gli adottanti infatti sono legati ai loro ragazzi da un vincolo di tipo legale, i genitori da un vincolo naturale. Noi invece ci vincoliamo con un legame soprannaturale: quello della carità che è necessariamente superiore, perché ha diretta relazione con Dio, il quale ritiene fatto a se stesso quello che si fa agli orfani[40].

 

Infine, per entrambi i nostri “santi educatori” la ricezione in istituto del fanciullo deve essere l’ultima ed estrema soluzione[41]:

…se il ricovero d’un orfano si rende necessario solo per la mancanza di mezzi materiali indispensabili al suo sostentamento e alla sua buona formazione, in questo caso è preferibile farlo rimanere fuori dell’Istituto, tra i suoi di famiglia e aiutarlo là finanziariamente. L’affetto familiare infatti è insostituibile, ed è il più indicato per l’educazione. L’Istituto, per quanto possa essere ottimo e attrezzato sotto tutti i punti di vista, avrà sempre, più o meno, i suoi lati negativi, sia riguardo al numero degli alunni, sia per la diversità dei caratteri, sia per la separazione pratica dalla vita sociale, come pure per la mancanza di iniziative.

Nel campo educativo, l’Orfanotrofio è sempre un surrogato della famiglia. È quindi più o meno buono a seconda che ci si sforzi di uniformare la vita dell’Orfanotrofio alla vita della famiglia[42].

 

 

 

1.3.2 Non esistono ragazzi cattivi

  

Ritroveremo altre affinità tra l’azione educativa di Giovanni Bosco e Annibale Di Francia quando parleremo, all’interno del capitolo sulla formazione culturale, del gioco, della ricreazione e delle attività parascolastiche artistiche e culturali.

Concludiamo questo virtuale parallelo accennando alla comune posizione dei due educatori di fronte ad alcuni postulati della pedagogia e dell’antropologia criminale positivista.

Essi, come in particolare Bartolo Longo (1841 – 1926)[43] ed altri, furono fieri oppositori delle teorie di Cesare Lombroso (1835 - 1909) ed Enrico Ferri (1856 - 1929) secondo cui alcuni fanciulli, ed in particolare i figli dei criminali, per nascita sono istintivamente destinati a delinquere: per essi non vi può essere redimibilità né sociale né religiosa[44].

Come per Don Bosco anche per Padre Annibale non ci sono soggetti naturalmente predisposti da ritenersi incorreggibili[45]. Con la sua opera di promozione umana a favore dei ragazzi orfani e disagiati egli smentì con i fatti il discusso psichiatra e criminologo ed il suo discepolo che in quel periodo storico godevano di grande autorità malgrado le opposizioni e le critiche ai loro metodi e conclusioni.

 

 

 

1.3.3 Originalità e caratteristiche dell’azione educativa difranciana

 

All’interno dell’ordinamento degli orfanotrofi, oltre alla preghiera, la catechesi, la sorveglianza continua ed accurata e le regole da osservare per la buona disciplina durante le attività della giornata, vi sono dei principi che fanno della educazione difranciana una pedagogia quanto mai lungimirante ed attuale.

In primis il criterio di accoglienza dei bambini e ragazzi: negli orfanotrofi antoniani venivano accettati

gli orfani e i piccoli che si trovano veramente in stato di povertà e abbandono, senza badare a nazionalità, o al colore della pelle, o alla religione. Bisogna essere come il buon samaritano.

Requisiti per la preferenza sono i gradi di povertà e di abbandono, senza umani riguardi[46].

 

Il celebre Trattato degli Orfanotrofi[47] scritto nel 1926 per disciplinare l’assistenza degli orfani è considerato un documento fondamentale che traduce in pratica del pensiero educativo ed organizzativo del Di Francia circa i suoi istituti.

Se volessimo fare una sintesi delle note caratteristiche della pedagogia del Di Francia rilevata dal complesso dei Regolamenti da lui scritti, potremmo affermare che l’azione educativa, intesa a guidare l’educando nella crescita integrale e armonica in tutte le dimensioni della persona, deve avere le seguenti connotazioni:

Religiosa: deve condurre il ragazzo a comprendere, interiorizzare e vivere i principi di fede per percorrere la traiettoria storica e raggiungere il fine per cui è stato creato.

Essenziale ed esistenziale: deve aiutare l’educando a costruire la sua esistenza attraverso elementi essenziali ed irrinunciabili: amore, solidarietà, lavoro, dignità, autonomia.

Individuale: è chiamata a comprendere che ciascun ragazzo, insieme agli eventuali condizionamenti ambientali, psichici e caratteriali, possiede proprie potenzialità e doti naturali.

Finalizzata: che guidi il ragazzo a capire l’importanza fondamentale del fine ultimo della propria esistenza, cui orientare i fini intermedi che gli verranno offerti la realtà concreta e la situazione storica in cui vive.

Amorevole: espressa con amore sincero e imparziale in modo che l’educando percepisca di essere veramente nel cuore dell’educatore.

Intelligente e attenta: capace cioè di penetrare negli strati interiori del ragazzo, per discernere e adottare gli interventi più opportuni al momento presente.

Rispettosa e soprattutto esemplare: l’educatore deve essere il modello perfetto e nel contempo imitabile, amabile, ma fermo nelle sue decisioni.

Vi sono due affermazioni pregiudiziali del Di Francia che, all’interno della sua pedagogia, dimostrano i tratti della sua sensibilità ricca di equilibrio e di saggezza. Nel suggerire comportamenti, modi relazionali e interventi da adottare dell’azione educativa, afferma che:

L’ufficio più importante e più grave in una Comunità di ragazze è quello di maestra sorvegliante giacché si può dire a lei principalmente viene affidata la custodia della loro innocenza.

Bisogna insomma, ricevuta che sia un’orfanella, riguardarla come una creaturina affidata da Dio a loro, e custodirla, e conservarla quanto più si può[48].

 

Per questa ragione – come si dirà oltre -, Padre Annibale preferiva educatori religiosi; raccomandava alle superiore di promuovere e incrementare anche la formazione religiosa e teologica delle suore, sia per l’insegnamento della religione nelle scuole interne, come anche per l’educazione e formazione delle orfane.

Il Di Francia definisce il profilo dell’educatore con una straordinaria completezza di doti e caratteristiche.

L’educatore, per il ruolo ricoperto e per essere efficace nei suoi interventi, deve

…armarsi di santa pazienza, dolcezza, mansuetudine, e carità, deve possedere pietà, zelo, carità. Se laico, deve frequentare i sacramenti, partecipare alla santa Messa e tenere specchiata condotta morale che deve trasparire negli atti, nei gesti, nelle parole e in tutto il modo di agire, di parlare e di pensare[49].

 

Le suore preposte alla direzione dell’orfanotrofio devono essere animate di spirito di sacrificio, fino al punto da sacrificare anche le proprie abitudini spirituali con tutta la quiete e le delizie della Pietà, quando ciò è richiesto dallo specifico dovere, che totalizza la loro giornata[50].

Il Di Francia desidera che gli educatori siano diligenti, attivi, intelligenti, di una intelligenza intuitiva, possibilmente sempre in crescita[51].

L’intelligenza è una delle caratteristiche fondamentali dell’educatore, il cui primo dovere è quello di conoscere l’educando nella sua concretezza storica, come persona umana composta di facoltà sensibili, psichiche, spirituali, soprannaturali, intellettuali, affettive, volitive. L’educatore deve avere la capacità di comprendere il ragazzo sotto tutti questi aspetti; si renderà conto di eventuali traumi e condizionamenti psichici; delle esigenze e delle potenzialità dei singoli; allo scopo di personalizzare l’azione educativa, rispettando la singolarità della persona. Una intelligenza pratica e responsabile che, nell’ambito dell’obbedienza e della normativa, abilita le educatrici a inventare iniziative e a prendere decisioni, a volte anche urgenti, per il miglior andamento della comunità[52].

Intelligenti, ma anche diligenti, per attuare con immediatezza e precisione interventi e attività inerenti ad un ufficio che impegnava l’educatrice nell’arco dell’intera giornata. Infine, l’addetta alle ragazze sarà attiva, non solo per la dinamicità richiesta dall’azione educativa, ma anche per venire incontro alle esigenze economiche della comunità[53].

L’attenzione continua, intelligente e responsabile non ha soltanto lo scopo di prevenire errori, marachelle e cadute morali, ma anche quello di far …prendere l’abito della disciplina e della osservanza dei propri doveri; di osservare il difetto ed intervenire nel tempo e nei modi opportuni per la correzione; e, infine, per approfondire la conoscenza personale degli educandi.

Conoscere “l’indole e le tendenze” degli orfani era particolarmente necessario in considerazione del fatto che il Di Francia raccomandava con insistenza di occuparsi …del fango della strada, cioè dei più abbandonati; questi chiedeva in una preghiera ai Sacri Cuori[54]. Egli mette in guardia gli educatori sul fatto che

…molti ragazzi entrano negli Istituti dopo che sono stati a sufficienza scandalizzati nel mondo e nelle famiglie”[55]

sia per richiamare ancora una volta la loro attenzione per evitare che il male si diffonda “per mancanza di sorveglianza”; sia perché l’educatore si impegni con sapienza e amore a rimuovere il “fango”, eventualmente depositato nell’animo dei ragazzi e restituirli alla loro originale bellezza.

Il Di Francia, nei Regolamenti relativi all’educazione, prescrive norme severe anche circa il rispetto che si deve portare alle bambine. Lui stesso per accarezzarle si limitava a poggiare la mano sui capelli. Il rispetto si fonda su una ragione di ordine superiore: perché “anime carissime al Signore”, e come tali le educatrici dovevano custodirle “come pupille degli occhi loro”[56].

Gli educatori devono saper coniugare amore sincero e rigore paterno, dolcezza e severità. Due caratteristiche dinamiche che nel processo formativo procedono in intima coordinazione, senza trascendere in espressioni offensive della dignità della persona. In questo modo l’educando può comprendere che in ogni gesto di lode, di ammonizione e perfino di castigo è per il suo bene. L’amore, il rispetto, l’interesse per il bene dei ragazzi sono segni positivi, necessari perché questi accettino volentieri l’educatore e si lascino guidare. Al contrario, le preferenze e le simpatie particolari, esautorano l’educatore e fanno sì che venga decisamente rifiutato dagli educandi. I due aspetti sono profondamente antitetici e così come le conseguenze prodotte[57].

Infine, per educare non basta che conoscere le scienze dell’educazione, i valori da prospettare, e quanto altro: è necessario che l’educatore sia uomo di preghiera. Senza la preghiera mancherebbe quella energia interiore che occorre per dare senso ed efficacia alla sua difficile missione, che non può portare avanti senza l’aiuto che viene dall’Alto. Padre Annibale spesso raccomanda agli educatori l’importanza fondamentale della preghiera e l’abituale disposizione della fiducia in Dio[58]. Alle maestre il Fondatore suggerisce di affidare le bambine ai Cuori Santissimi di Gesù e di Maria.

 

 

 

1.3.4 Una pedagogia “vocazionale”

 

 

Annibale Di Francia ha costruito la sua azione pedagogia nell’alveo secolare della genuina antropologia cristiana. Questa costatazione rende possibile trarre dalla sua prassi e dai suoi insegnamento elementi sufficienti per ricavare una pedagogia specifica e originale. E questo a partire dalla fondamentale intuizione circa l’origine, le finalità e l’essere costituzionale dell’uomo. Nel pensiero del Di Francia troviamo infatti implicita ma marcata la premessa che l’uomo, ogni singola persona, non può considerarsi un essere insignificante “proiettato” nell’esistenza, venuto al mondo inconsideratamente, senza intelligibilità, solo per sostenere la serie numerica della specie. Ogni persona umana, lungi dall’essere “fatale proiezione”, è un “progetto intenzionale”, una “vocazione” conferita alla singolarità perché sia realizzata nella esistenza. Alla base di questa antropologia c’è evidentemente la categoria biblica dell’uomo “vocato”, “chiamato” all’esistenza da Dio, che riconosce il progetto di Dio per e sulla sua via e – liberamente e responsabilmente – lo realizza. Il pensiero del Di Francia possiede, anche se informale, tale premessa antropologica biblica e nel contempo filosofica: l’uomo, appunto perché “vocazione – progetto” da realizzare, trova al termine della realizzazione educativa la sua personale identità. Questa è data dal progetto di Dio sull’uomo.

Per citare un testo tra i tanti potremmo attingere da un discorso del giovane maestro Annibale Di Francia tenuto l’8 gennaio 1871 in occasione della premiazione degli alunni dell’“Istituto Saccano” di Messina:

 

L’educazione decide la sorte d’un uomo, la società, pel cui mezzo l’educazione si comunica, ha nelle sue mani la sorte dell’uomo. (…) Nel cuore del fanciullo per chi ben rifletta sta chiuso l’uomo grande come nel picciol seme l’albero gigantesco (…); [ forse ] dorme, come nel suo piccolo germe, il genio d’un’arte, il genio d’una scienza (…).

L’educazione è l’atto della Provvidenza che si piega sull’individuo per coltivare quel seme prezioso di verità, pria che si soffochi sotto le spine delle passioni, o che il vento lo estirpi, o che il cuore si adduri nella inerzia, e la semente isterilisca per l’impotenza dello sviluppo (…). [ A sua volta ] un educatore ove ben si osservi è l’Angelo della Provvidenza che veglia sull’arca santa delle generazioni (…).

La società assume l’obbligo più grande, la missione più bella, qual si è di esercitare il suo intervento educatore (…) nel fanciullo (…). L’educazione decide la sorte d’un uomo, la società, pel cui mezzo l’educazione si comunica, ha nelle sue mani la sorte dell’uomo[59].

 

Sebbene il discorso riecheggi un linguaggio ancora aulico e accademico è un testo programmatico e indicativo. Programmatico perché il Di Francia da lì a poco inizierà la sua avventura umana e spirituale a favore dei piccoli e dei poveri. Indicativo per il fatto che apre la strada alla fondazione di una pedagogia “vocazionale” o se vogliamo “rogazionista”: l’uomo si educa e va educato “nel senso” della propria vocazione: l’uomo si realizza realizzando il pensiero progettuale di Dio su di lui[60].

 

 

 

1.4 Annibale Di Francia e la sua opera di promozione sociale

 

Se a questo punto è opportuno tratteggiare, almeno per sommi capi, l’ambito storico politico e soprattutto sociale in cui si è svolta l’esperienza del Padre Annibale è altrettanto necessario tener presente che tale sintesi, per essere troppo estrema, forse rischia di non descrivere sufficientemente lo scenario in cui si andavano a collocare la sua opera e la missione delle sue istituzioni.

Annibale Di Francia si trovò ad operare in un tempo, fine ‘800 e primi del ‘900 del secolo scorso, ed in’area geografica, il Mezzogiorno d’Italia, in cui fra le classi sociali esiste­vano profonde lacerazioni e gravi turbamenti; l'aristocrazia era irrigidita nelle formule di prevalente nobiltà terriera; la borghesia tradizionale era costituita in prevalenza da funzionari del nuovo Stato unitario; mentre le classi popolari erano purtroppo relegate nella miseria. La Chiesa non sembrava sufficientemente conscia e preparata ad affrontare i gravi problemi sociali che andavano ad agitarsi. Se consideriamo che nella Sicilia del tempo il patrimonio ecclesiastico era pari a un decimo dei beni di tutta l'isola e le forme di as­sistenza con cui gli enti religiosi provvedevano ai poveri non sempre risultavano adeguate, con l'alienazione di questi beni da parte dello Stato – il cui intervento d’altra parte stagnava o era del tutto assente – venne meno anche questa forma di assistenza. I beni rimasero improduttivi e i ricavi delle vendite furono dirottati fuori dalla Sicilia[61].

In questa cornice socio politica Annibale Di Francia diede inizio alla sua opera di redenzione sociale e morale del “Quartiere Avignone” di Messina con l’acquisto di qualche casetta trasformata in scuola e successivamente, l’8 settembre 1882, in un piccolo orfanotrofio femminile per le bambine, le più esposte al pericolo di finire sfruttate e traviate.

In un «Manifesto alla città di Messina» Annibale Di Francia descrive ai suoi concittadini i primi passi di questa sua attività:

Si è fondato da due anni un Rifugio per le gio­vinette che versano in gran pericolo di perdere l’onestà. In esso si raccolgono pu­re fanciulle disperse ed orfanelle. Quivi quelle poverette ricevono una convenien­te educazione e istruzione in varie specie di lavori e anche nelle classi elementari. Si è aperta una scuola serotina per i fan­ciulli maschi, per i quali si pensa di apri­re quanto prima un altro luogo di ricove­ro. Si è aperto altresì un piccolo asilo per bambine da cinque a otto anni nel quale si raccolgono quelle creaturine fino a se­ra, per ricevervi un po’ di istruzione nei lavori e nella prima lettura, e un po’ di vitto[62].

 

Perché l’orfanotrofio avesse una certa autonomia economica e non si basasse esclusivamente sulla beneficenza e nel contempo vi fosse anche la possibilità di costituire un piccolo patrimonio per le assistite il Di Francia si ado­però per impiantare dei piccoli laboratori di taglio, di cucito, di ricamo e di creazioni floreali.  Lo stesso spirito lo indusse ad aprire dei laboratori di arti e me­stieri con calzoleria, sartoria e tipografia nel piccolo orfanotro­fio maschile avviato l’anno successivo.

Padre Annibale potrà vedere espandersi dell’opera grazie al sostegno di amici e benefattori – in verità non molti! – e soprattutto all’avvento dei primi collaboratori, i religiosi delle sue due congregazioni, con l’apertura di altre case e la realizzazione di scuole - laboratori di tipografia, sartoria, calzoleria, falegnameria, officina, panificio, ecc… . Quel giovane prete messinese, prima ancora che lo Stato istituisse le scuole di formazione professionale, con la “fantasia della carità” che nasce dall’esperienza legata ai bisogni reali trovò le soluzioni per inse­rire nella società civile e nel mondo del lavoro quelle giovani generazioni meno fortunate.

In tutta la sua vita è evidente infatti una sorprendente larghezza di vedute ed apertura ai molteplici problemi sociali del suo tempo. Padre Annibale apre scuole serali per gli adulti, cerca e aiuta con discrezione e delicatezza nobili e benestanti decaduti, si occupa di problemi istituzionali e soprattutto economici di altri istituti religiosi e monasteri di clausura, accoglie ragazzi da altri orfanotrofi destinati alla chiusura come, per esempio, nel 1889, il gruppo delle bambine dell’“Ospizio per le orfanelle disperse” del camilliano messinese, Padre Giuseppe Sòllima. Nel 1916, tenendo presenti l’urgenza del momento, apre ad Altamura una nuova Casa per le orfane dei soldati caduti in guerra, oppure avendo conosciuto, nel 1921, un appello lanciato dalle madri russe per­ché fossero accolti i loro figli dalle madri d'Europa, prima che perissero a causa della carestia, scrisse al Papa dichiarandosi pronto ad accoglierne una ventina nelle sue Case[63].

Nonostante la grande mole delle attività intraprese, le difficoltà e le ostilità incontrate, la porta del cuore di Annibale Di Francia fu sempre aperta per chiunque tanto che Teodoro Tusino potrà trarre il titolo della sua biografia sul Di Francia con un’espressione colta durante i suoi funerali: «Si è chiusa la bocca che non disse mai no!».

 

Ebbe una compassione per i poveri, - scrive le suo “auto elogio funebre - non si può negare, e più volte li compatì e si sforzò di soccorrerli  sebbene non sappiamo quali limiti abbia oltrepassato, trattandosi che delle elemosine aveva obblighi diretti verso gli orfanelli raccolti[64].

 

E nel testo delle “Quaranta dichiarazioni” - scritto il 15 agosto 1910 a San Pier Niceto (Messina) con l’intento di affidarlo a ogni Rogazionista perché “in esse si contiene lo spirito dell’Istituto e delle nostre Regole e Costituzioni” – dichiara:

 

Amerò e rispetterò i poveri di Gesù Cristo con spirito di fede e di Carità, considerandoli come membri sofferenti del Corpo mistico di Gesù Cristo Signor Nostro e tenendo sempre presente quanto Gesù Cristo Signor Nostro esaltò i poveri, dichiarando come fatto a se stesso quello che si farà a loro. Deplorerò che il mondo ignorante e perduto li rigetta e disprezza. Il che fanno spesso anche molti e molti cristiani. Ed io, finché camminano nel retto sentiero della salute eterna, li terrò come grandi, nobili e principi presso Dio (…). Farò consistere quest’amore nel compatirli quand’anche siano molesti, nel soccorrerli e farli soccorrere, nel servirli occorrendo, nell’aiutarli dove posso, e ancor più nello evangelizzarli e nell’avvicinarli a Dio[65].

 

Ovunque e per tutta la vita Annibale Di Francia venne incontro alle necessità più gravi ed urgenti dei bambini e ragazzi che altrimenti avrebbero avuto come unica prospettiva la devianza, di don­ne costrette ad un destino umiliante, di vecchi destinati a vivere e morire nell’ab­bandono e nella disperazione. Sono soprattutto poveri tutte le specie ad attirare l’attenzione e le cure premurose del Di Francia: per rispet­to e con il delicato humor dei santi desiderava fossero chiamati “signori”, “baroni” e principi” e come tali venissero assistiti ed aiutati[66].

Uno dei suoi scritti più significativi è la lettera “Ai miei cari signori poveri” che esordisce con:

Debbono persuadersi che non è possibile contentarsi con larghi sussidii per quanto hanno di bisogno, e ciò per la ragione che i Signori Poveri non finiscono mai, ce ne sono migliaia, e per dare ad ognuno ciò che desidera, ci vorrebbe una fontana che corresse monete d’oro[67].

 

…per continuare in una apologia appassionata dei poveri che a loro volta saranno benedetti da Dio a patto che conducano una vita onesta.

Per essi Padre Annibale non esita a compromettersi fino ad alzare la voce contro le autorità che dimenticano il dovere di assistenza. Convinto che

 

…è nobile compito della stampa: combattere il male, promuovere il bene, zelare i diritti dell’umanità anche negli esseri più miseri e abbietti,

 

egli scrisse una lettera aperta a tutti i giornali cittadini, con il titolo “La caccia ai poveri”, per stigmatizzare il rude sistema di volere sradicare l’accattonaggio sbattendo i mendicanti in carcere dichiarando con forza:

 

Da un anno assistiamo ad una specie di caccia ai poveri. Inesorabili questurini spiano i passi di questi miseri, siano pure vecchi e storpi, cadenti, infermi, inabili al lavoro e appena uno ne vedono che svolta un cantone o traversa una strada, lo ac­chiappano e lo traducono in Pretura: il giudice lo trova reo di lesa pace cittadina, e lo condanna alla carcerazione da uno a sei mesi. Quell’infelice, reo di essere pove­ro, si vede chiuso in carcere come un mal­fattore (…). Quest’infelice è un uomo come noi: egli sente come noi i bisogni della vita (…). Se la povertà fosse un delitto, se il po­vero fosse lo stesso che un malfattore, per­ché Colui che venne al mondo per inse­gnarci ad amarci gli uni cogli altri come fratelli, volle abbracciare la povertà, e pro­tesse i poveri, e dichiarò come fatto a Se stesso ciò che si fa ai poverelli abbandonati? (…). Il povero è privo di tante e tante cose, ma almeno lasciategli godere il libero sole, la libera aria, il libero orizzonte della natura, oggi che vi è tanta libertà per tut­ti. Più si considera questa grave ingiusti­zia sociale, più apparisce raccapricciante (…). Se pel povero è delitto chiedere l’ele­mosina, allora del pari è un complice chi la fa a cominciare da me, dal questore e dai giudici, i quali tutti, essendo uomini, ab­biamo dovuto sentire più volte nella no­stra vita la compassione per i poverelli, e abbiamo dovuto soccorrerli con qualche obolo.

 

E conclude affermando che i poveri

…sono degni di compassione e di aiuto piuttosto che di inquisizione poliziesca e di carceri[68].

 

L’articolo fu pubblicato da parecchi giornali e fece tanta impressione da indurre il questore a ritrattare il provvedimento.

L’azione di promozione sociale di Annibale Di Francia si estende anche ai grandi temi di giustizia sociale come la situazione delle classi operaie e contadine del tempo, giungendo ad avere addirittura parole di comprensione per le loro agitazioni.

Sul periodico Dio e il Prossimo, nel 1920, scrive:

Non vi è chi non deplora lo stato convulsi­vo in cui si trova ai nostri giorni quella classe di operai e di contadini, cui fu dato a considerare la loro disagiata condizione nelle attuali universali miserie, e a cui una falsa scuola ha insegnato che debbono insorgere contro i possidenti e contro i Go­vernanti, per afferrare il vello d’oro, ed es­sere felici (…). Tutti deploriamo un sì ar­ruffato stato di cose. Ma pochi riflettono che una causa e un’origine di questo solle­vamento degli operai e dei contadini è da ricercarsi nel fatto che le classi agiate non tutte hanno saputo diportarsi verso le classi operaie. Bisogna pur dirlo, e bisogna che ognuno passi la mano sulla propria co­scienza. Molti possidenti pel passato trat­tavano gli operai e i poveri contadini in modo non troppo umano, e talvolta disu­mano! Quante volte il povero operaio dopo aver eseguito il lavoro comandatogli dal ricco, dovette aspettare lungo tempo per essere soddisfatto, mentre la sua fami­gliuola languiva! Quante volte il sarto, il calzolaio, il murifabbro, il falegname, e via dicendo, furono stringati sul prezzo che lo­ro spettava, e dovettero contentarsi di metà di quanto era di giusto! Che diciamo poi dei contadini? Molti padroni poco umani davano per es. a gabella un fondo, stabi­lendo un prezzo abbastanza forte. L’anna­ta non favoriva il povero gabellotto, questi non traeva nemmeno come dare pane ai suoi figli, pregava il padrone di acconten­tarsi di meno per quell’anno; ma tutto inu­tile: paghi, o ti caccio via! I contadini presi a giornata dovevano accontentarsi di una meschinissima paga, di qualche lira e po­chi soldi (…). È venuta l’ora della reazione operaia! Dio permette che molti possidenti (tolte sempre le debite eccezioni) raccolgano ciò che hanno seminato.

 

Padre Annibale è convinto che occorre sradicare il male dalla radice, eliminare lo stato di abiezione partendo dall’elevare il livello di vita delle classi emarginate.

Quasi contemporanea alla sua, si leverà da Caltagirone un altra voce profetica a difesa della giustizia sociale, quella dell’amico e conterraneo don Luigi Sturzo (1871 – 1959).

Troviamo qui i tratti essenziali della proposta liberatrice di Annibale Di Francia, ma se da un lato queste parole possiamo anche farci ravvisare idee politiche alquanto progressiste e toni da sindacalista[69] – a dispetto del suo lignaggio nobiliare! –, dall’altro ci mostrano la radice ultima e la motivazione di fondo di questa proposta:

 

Da più tempo la giustizia e la carità pare siano state bandite dal mondo. I sublimi insegnamenti del Vangelo, in cui si racchiude il vero Socialismo e che comandano di amarci tutti come veri fratelli, di fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi, sono stati dimenticati e calpestati…

 

Annibale Di Francia pensa ed agisce da cristiano e da prete. È un “prete impegnato nel sociale” come lo definiremmo oggi, ma sempre un “uomo di Dio” che vive e mette in pratica il messaggio rivoluzionario, anche dal punto di vista politico e sociale, del Vangelo. Il punto di partenza della sua azione caritativa e sociale è il brano del vangelo di Matteo nel quale Gesù dice: “…ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me”[70], la “magna charta” della charitas evangelica, dell’impegno del cristiano nel mondo. A tal proposito è quanto mai eloquente un episodio della vita di Padre Annibale che egli stesso confida a uno dei suoi giovani chierici:

 

Io un giorno andavo verso casa, nei pri­mi tempi, anzi nei primi giorni che comin­ciavo l’Opera. Quando incontro un gruppo di persone, che facevano circolo intorno a qualche cosa: era un ragazzo scemo, tutto lurido, colle labbra piene di bava e le vesti a brandelli e sudicio; e quella gente ne fa­ceva uno spettacolo. Io ne ebbi pietà, presi quel ragazzo per mano, lo condussi con me a casa, così quella gente si sbandò. Giunto a casa io ero solo con lui, perché nessuno dei miei c’era dentro. Lo presi, lo ripulii, gli detti da mangiare e lo misi a letto. Poi, considerando in quel poveretto Nostro Si­gnore secondo la sua parola divina, mi ac­costai per baciarlo, intendendo baciare Ge­sù. In quel momento sparì dai miei occhi quel ragazzo scemo: io vidi coricato N.S. Gesù Cristo, vidi il volto di N.S.G.C. con sguardo reale, penetrante, che mi colpì, m’intenerì, baciai e ribaciai il volto di N.S. Gesù. Era forse una visione di intelligen­za. Poi tutto ritornò allo stato di prima. Lo provvidi di tutto e lo rimandai. Da quel momento io ebbi un trasporto maggiore per i poveri[71].

 

In altri termini è quanto Padre Carmelo Drago, uno dei primi collaboratori del Di Francia, ebbe modo di testimoniare:

 

Sono veramente convinto di questo perché si vedeva che [ Padre Annibale ] era veramente compreso delle parole di Nostro Signore: “Qualunque cosa farete al prossimo per amor mio, la riterrò fatta a me stesso”, e realmente la faceva come se la facesse a Gesù Cristo stesso.[72]

 

Si tratta di una provocazione sorprendente e inquietante; di una esigenza radicale: il giudizio sulla fede e quindi sulla qualità umana della vita è dato dall’impegno e dalla disponibilità concreta, quotidiana nei confronti di chi vive una condizione di necessità, di dolore, di marginalità. Più volte nella storia del cristianesimo si è discusso sul rapporto tra fede e opere; fra possibili  e facili fughe spiritualiste e una incarnazione nella storia considerata eccessiva, giudicata impegno sociale e politico, in cui non trasparirebbe la dimensione spirituale. La risposta di Padre Annibale la troviamo nel brano di una lettera scritta a Tommaso Cannizzaro (1838 – 1921), poeta e letterato messinese, che si dichiarava ateo:

 

L’amore che io porto al Signor  mio Gesù quale vero Dio, mi spinge ad ubbidire a tutte le sue parole, oltre che produce in me un’altra fiamma d’amore, cioè l’amore per il prossimo. Gesù ha detto: - Amate il vostro prossimo come voi stessi; - ed io mi sforzo di amare il prossimo come me stesso; ed è per questo che ho dedicata la mia misera vita a bene del prossimo, per quanto meschinamente posso (…).

Ritenga, professore carissimo, che se io non amassi Gesù Cristo Dio, mi annoierei ben presto a stare insieme ai poveri più abietti, e spogliarmi del mio, e perdere il sonno e la propria quiete pei poveri e pei bambini[73].

 

Vengono a cadere qui tutte le prevenzioni, le riserve ideologiche e religiose; trovano ridimensionamento i dibattiti pur importanti sul credere o non credere. Monsignor Antonio Di Tommaso, vescovo di Oria, che in 20 anni aveva avuto modo di conoscere bene il prete messinese amante e difensore dei poveri e dei piccoli, nel 1946, aperta la “causa di beatificazione”, durante il “processo rogatoriale” sulla fama di santità, virtù e miracoli di Annibale Maria Di Francia, volle rendere questa esaustiva dichiarazione:

 

Io ritengo che il can. Di Francia stia alla presenza di Dio e che tutto quello che fa, lo fa per Dio e con Dio. Dal modo con cui agisce si vede che per lui stare a pregare dinanzi al tabernacolo o predicare, o confessare, o spidocchiare un povero ributtante, o dare da mangiare o vestire un fanciullo derelitto è la stessa cosa[74].

 

 

 

1.5 Annibale Di Francia uomo colto e “provocatore” di cultura

 

Nell’“auto elogio funebre” Annibale Di Francia valuta con semplicità, sincerità ed una sottile vena di autoironia la propria formazione culturale:

Fu d’ingegno. Fece studi abbreviati e piuttosto superficiali al Seminario, e mostrando una specie di premura ed ansietà, persuase l’Arcivescovo Mons. Guarino, poi Cardinale, a conferirgli, prematuramente, il Sacerdozio. Fatto Sacerdote si diede alla predicazione, e quasi subito a questa Pia Opera (…). Debolissimo negli studi teologici; a rigor di giustizia non lo si avrebbe potuto ordinare Sacerdote. Di filosofia non sapeva un’acca.

Negatissimo per le rubriche e per le liturgie, era una pietà vederlo come si diportava nelle sacre funzioni, sempre con la testa in aria, tanto che una volta Mons. Arcivescovo Guarino ebbe a dirgli : “Canonico Di Francia, scindemu un pocu ntra stu mundu!”

Il suo predicare era un alto e basso. Alle volte prediche vibranti e, alle volte, misere! Egli dice che alle sue prediche succedevano due fenomeni: alcuni sbadigliavano, alcuni piangevano. In quanto al verseggiare, benino, ma non era poi uno dei geni letterari[75].

 

Prendiamo “con le molle” ciò che la sua profonda umiltà ha voluto sminuire e, al contrario, percorrendo le fasi della formazione del Di Francia, considerando la sua attitudine allo studio e all’aggiornamento e valutando le sue doti  intellettuali ed artistiche, possiamo senza meno dire che Annibale Di Francia possedeva una eccellente pre­parazione teologica ed umanistica, specie letteraria[76]. Egli fu poeta, oltre che valente espositore, oratore, amante del teatro classico, critico letterario, editore, giornalista e pubblicista.

Come accennato nella biografia, egli frequentò fin dall’età di 7 anni il collegio S. Nicolò dei Gentiluomini, retto dai Cistercensi. Fu questo l’ambiente idoneo per la sua formazione religiosa e culturale di stampo umanistico. Qui insegnavano oltre al poeta e letterato Felice Bisazza e lo zio materno Padre Raffaele Toscano – già citati –, anche il filosofo Antonio Catara Lettieri (1809 – 1884), “giobertiano” e “galluppiano”[77]. Proprio a cominciare da quest’epoca, si dilettò nella composizione poetica. Dopo la una “pausa forzata” nella città di Napoli in occasione all’entrata a Messina di Giuseppe Garibaldi, a 15 anni, il giovane Annibale completò gli studi privatamente ancora sotto la guida del Bisazza e, dopo la sua scomparsa, di Riccardo Mitchell (1815 - 1883), poeta, scrittore e patriota messinese, professore di estetica e di letteratura italiana all’università di Messina[78].

Sappiamo inoltre che egli apprese ben presto l'ar­te della declamazione e primeggiò, fra i compagni del collegio di S. Nicolò, nelle rappresentazioni sceniche[79].

Fin da giovane il Di Francia frequentò cir­coli letterari e conobbe uomini di cultura, per ciò che la Messina del tempo poteva offrire. Questo clima culturale e letterario lo avvicinò entusiasta al teatro classico in prosa. Scrive il primo biografo, Francesco Bonaventura Vitale:

L’amore alle lettere, alla poesia, alla declamazione, e la lettura dei grandi poeti lo spinsero anche in quella età a sentire qualche trasporto per il teatro classico di prosa, e assistè alle rappresentazioni di Achille Majeroni[80], che si era in quei tempi reso celebre per l’inter­pretazione del «Saul» dell’Alfieri. Mai però ebbe va­ghezza di sentire produzioni teatrali, che non servivano ad istruire e ad educare[81].

 

Il Di Francia continuò i suoi studi in forma privata anche durante il suo chiericato. Il 26 gennaio 1876 conseguì il “diploma” di maestro elementare mentre per la preparazione al sacerdozio – a causa della protratta chiusura del seminario di Messina – attese da “esterno” agli studi ecclesiastici seguito ancora dal Catara – Lettieri per la filosofia e da alcuni sacerdoti della diocesi per la teologia e la formazione seminaristica[82].

Una volta prete, le parrocchie lo ricercano come versatile e fecondo predicatore per tutte le occasioni[83]. A Messina e dintorni scuole e collegi, nonostante sia appena ventenne, se lo contendono come insegnante[84]. Per un certo periodo insegna lettere o più sicuramente religione presso il prestigioso “Istituto Saccano” di Messina[85]. Per 5 anni circa, mette a frutto i principi pedagogici e la sua competenza culturale facendo da istitutore ad un fanciullo della nobile famiglia Cumbo[86].

Tra gli scritti giovanili del Di Francia si conserva un lavoro scolastico incompleto, poche paginette, intitolate dallo stesso autore: “Metodo per erudirsi e scrivere in versi”. Non si sa se l’abbia redatto per propria utilità o per i giovani di un collegio scolastico messinese nel quale insegnava. Abbiamo già accennato al suo talento poetico. Fin da piccolo ha respirato la poesia in famiglia: dall’età di 9 anni, come egli stesso scrisse, cominciò a scribacchiare versi. Sotto la guida di Felice Bisazza incrementò e affinò questo suo talento naturale e del poeta messinese ebbe lo stesso concetto di poesia pur non intendendo paragonarsi a lui:

 Ho scritto parecchi componimenti in poesia da giovinetto, perché ne sentivo l’estro, e ancor di più quell’intimo e indefinito sentimento del bello, del puro e dolce amore di tutto ciò che è buono e santo. Avviene che ciò che si sente con un po’ di poesia, si ama di estrinsecarlo in quelle forme poetiche che rispecchino l’interno sentimento. Ma sono stato così lontano dal credermi veramente un poeta, un letterato, che quasi tutti i miei componimenti furono da me abbandonati e dispersi[87].

 

Se dunque il Di Francia non intende credersi un poeta o un letterato è certo egli scrisse perché ne sente l’estro e quell’intimo e indefinito sentimento del bello, del puro e dolce amore di tutto ciò che è buono e santo che amò estrinsecare in forme poetiche. E fu un poeta versatile e di facile vena che ci ha lasciato circa 16.000 versi, la maggior parte dei quali di argomento reli­gioso, destinati ad essere musicati e cantati per le varie festività, proces­sioni e funzioni religiose. Tra questi menzione particolare meritano i componimenti per l’annuale celebrazione memoriale della collocazione permanente del Santissimo Sacramento nella cappella del “Quartiere Avignone”: questi furono raccolti nel volume «Gli Inni del 1° Luglio», pubblicato postumo[88].

Ma non è solo nella poesia – scrive Mario Germinario – che il Di Francia esercitò la sua vena letteraria (…): quando scrive, qualunque sia il tema di cui si interessa, si esprime in una purezza di stile ed in un andamento del periodare tale che mai si riesce a scollare il rigore dell’argomentare dal sapore e dalla godibilità letteraria. È «letterato» finanche quando scrive missive di ordinaria comunicazione. Laddove non manca il pepe dell’ironia, che è sempre allusiva di perspicace intelligenza e distinta personalità[89].

 

Annibale di Francia fu dunque un uomo di vasta cultura umanistica ma possedeva anche un notevole patrimonio di conoscenze bibliche[90].

 

Sapeva a memoria moltissime sentenze scritturali e le citava a proposito nelle varie circostanze della vita, da esse attingendo il lume a ben operare[91].

 

Sappiamo che egli si sforzava di tenersi aggiornato soprattutto mediante la lettura di libri e riviste. In particolare leggeva libri di spiritualità e ne raccomandava la lettura nelle sue comunità come gran mezzo di santificazione:

…perché essa, ben condotta è una pioggia benefica e soave, che penetra dolcemente nella terra del cuore e la irrora e vi si infonde con grande gusto e profitto dell’anima[92].

 

Preferiva le opere dei santi, in particolare Francesco di Sales, Alfonso De’ Liguori e Alonso Rodriguez, e suggeriva autori quali Antonio Rosmini – (allora ancora non era stato proclamato beato)[93] e Pietro Paolo Parzanése[94]

Insieme a questa produzione poetica, l’attività di “comunicatore” del Di Francia è stata varia e per molti versi innovativa: oggi tutta la sua opera come editore, giornalista e scrittore è stata dattiloscritta in 14.000 pagine raccolte in 62 volumi. Questa la constatazione in proposito del secondo teologo censore per la Revisio super scriptis della sua causa di beatificazione:

L’imponente mole degli scritti (...) può essere sufficiente a farci conoscere il Servo di Dio Annibale Di Francia nella sua qualità di scrittore: qualità questa che, a confronto delle altre più note dell’uomo di azione e dell’apostolo della carità, è rimasta piuttosto nell’ombra, anche perché di questi scritti soltanto una piccola parte è stata data alle stampe[95].

 

A diciassette anni, il 2 giugno 1868, Annibale Di Francia inizia a collaborare al bisettimanale La Parola Cattolica, diretto dallo zio materno, Don Giuseppe Toscano, e su cui continuò a scrivere per anni, divenendone a sua volta anche direttore nel 1881[96]. Altri contributi apparvero anche sulla Gazzetta di Messina, La Scintilla, Il Faro, Il Progresso italo-americano, oltre che su L’Osservatore Romano e sul Corriere delle Puglie ed altre riviste cattoliche siciliane nonché sul periodico Dio e il prossimo, da lui stesso fondato nel 1907.

Nei suoi articoli sono ricorrenti i temi della fede religiosa, della morale, della Chiesa, della giustizia, dei diritti dei poveri. Un giornalismo, quindi, di tipo apologetico. Egli, però, intuì e tenne fede al principio secondo il quale nulla può cambiare in meglio, senza creare una coscienza dei problemi da risolvere, senza creare cioè opinione pubblica. È stato già accennato, quando, grazie a un suo intervento sulla stampa messinese, intitolato La caccia ai poveri, fece ritirare la disposizione che prevedeva l’arresto dei poveri sorpresi nell’atto di mendicare.

A suo avviso la stampa aveva il compito di

 ...combattere il male, promuovere il bene, zelare i dritti dell' umanità anche negli esseri più miseri ed abietti[97].

 

Ed in effetti Annibale Di Francia, da quando si era inserito nel “Quartiere Avignone”, aveva messo a disposizione dei poveri anche la sua penna per informare, sensibilizzare l’opinione pubblica e sollecitare tempestivi interventi da parte dei benefattori e delle autorità.

 

La penna, la stampa e l’editoria – scrive Angelo Sardone – furono nelle sue mani validi strumenti di evangelizzazione e di efficace apostolato. I diritti dei piccoli, dei poveri, la difesa delle verità della fede e della Chiesa cattolica, attraverso la sua voce acquistavano un apologeta, un avvocato, un intercessore, un grande comunicatore[98].

 

Emblematico e significativo fra i tanti suoi interventi è il contenuto di una lettera inviata il 21 febbraio 1918 al Corriere delle Puglie di Bari riguardo a dei casi di vessazione e di “bullismo” ante litteram di cui erano stati fatti oggetto in Città alcuni anziani ed accattoni da parte di sfrenati vagaboncelli:

 …s’interessino i cospicui Signori – conclude il Di Francia – che tanto possono, o per le loro alte relazioni o per gli eminenti posti che occupano, affinché quei pochi girovaghi scimuniti o vecchi derelitti che elemosinano per la città, non siano lasciati in balia dei cattivi istinti vessatori d’inconsiderati ragazzi, ma siano piuttosto condotti in qualche ricovero, o come che sia provveduti e tutelati.

 

Oltre alle vittime è importante anche intervenire sugli autori di questi atti inqualificabili:

 Mentre compiangiamo queste povere vittime dell’incosciente barbarie di sfrenati vagaboncelli, pensiamo pure a questi, anch’essi infelici, piccoli carnefici. L’ozio in cui vivono, l’abbandono, il vagabondaggio, li rendono così crudeli e inumani.

 

Proponendo come rimedio ciò che in sintesi potremmo definire il programma di azione di tutta la sua vita: vincere e prevenire il male con il bene.

 

…se una mano pietosa li rimorchiasse, se una provvida ingerenza civile si occupasse di reclutarli, al lavoro, alla moralizzazione, molti di loro, che pure in fondo portano i naturali germi di qualche buona tendenza, diverrebbero anch’essi buoni ed onesti cittadini ed operai. Ed ora, se la mia domanda non è importuna, io oserei pregare la S. V. di aprire, per qualche tempo, nel suo Corriere delle Puglie, una sottoscrizione per dare un po’ di soccorso ai più sventurati tra tali deficienti e girovaghi, almeno da ora fino alla non lontana festività della S. Pasqua. A tale oggetto, da parte mia m’impegno per lire venticinque, ove la sottoscrizione abbia luogo[99].

 

Quanto detto sopra ci offre una ulteriore interessante acquisizione: Padre Annibale come vero uomo di cultura fu “provocato” dalla cul­tura e, a suo modo, ne fu anche “provocato­re”, perché “provocò cultura”, in quanto la promosse e la favorì, ma anche perché “provocò la cultura”:

 L’uomo colto – scrive Mario Germinario – non può mancare di essere un “provocatore”, che provoca e infastidisce, che indigna e turba, che ammonisce ed apostrofa, che accusa e condanna.

 

Annibale Di Francia è un cristiano straordinario, un prete

 …che merita di essere ricordato, notificato, avvertito come un santo che edifica, ma che anche inquieta con la sua provocazione la coscienza assopita della cultura contemporanea[100].

 

Abbiamo accennato al fatto che, dopo soli tre anni dall’inizio dell’apostolato di rigenerazione sociale e cristiana del “Quartiere Avignone”, il Di Francia abbia impiantato la prima tipografia dalla quale sarebbe fiorito il suo vastissimo apostolato per mezzo della stampa. Forse per questo motivo più che parlare del Di Francia come giornalista è più pertinente parlare di lui come uomo della comunicazione[101].

Resta forse fondamentale nella sua scelta a favore della valorizzazione della stampa il consiglio di San Giovanni Bosco, trasmesso a Padre Annibale nel 1884 da Don Michele Rua:

Egli [ Don Bosco ] crede che potrebbe tornare utilissimo il concorso della stampa; s’Ella facesse parlare qualche giornale locale, molti prenderebbero conoscenza della situazione sua e qualche anima caritatevole sarebbe tocca nel cuore[102].

 

Difatti già nel 1885, egli cominciò a pubblicare un foglio di comunicazione recante l’intestazione «Pia Opera dei Poveri del S. Cuore di Gesù» per illustrare la natura e le condizioni dell’istituto e cercare di raccogliere un gruppo di generosi che diano un contributo mensile a favore della sua Opera[103]. Nel 1900 un altro foglio denominato «Il Pane di S. Antonio di Padova in Messina e diocesi a vantaggio degli Orfanotrofi del Can. A. Di Francia, con triduo di preghiera efficace per quelli che aspettano grazie» diventò veicolo per la diffusione della devozione del Pane di sant’Antonio per soccorrere gli orfanelli antoniani. Lo stesso, con il nuovo titolo: “Il Segreto miracoloso”, negli anni successivi, raggiungerà 15 edizioni, tra cui una in spagnolo, inglese e francese, con una tiratura di 100.000 copie l’anno. Dal 1907 anche il periodico «Dio e il Prossimo» riporterà le notizie di grazie otte­nute per intercessione di S. Antonio che giungevano nei vari orfanotrofi antoniani e diventerà mezzo di informazione e comunicazione dell’opera rogazionista nel mondo[104].

Significativa è anche l’attività editoriale del Di Francia che va dalla pubblicazione del diario inedito di Santa Veronica Giuliani (1660 - 1727), monaca cappuccina, fino ad allora conservato nel convento di Città di Castello: nel 1891, fu dato alle stampe solo il primo volume di cui aveva curato l’edizione critica dal titolo Un tesoro nascosto[105]; a quella degli scritti della terziaria domenicana, Luisa Piccarreta (1865 - 1947): il libro L’orologio della passione – di cui cura la prime quattro edizioni –, ed un quaderno di “Memorie d’infanzia”[106].

Padre Annibale curò personalmente la pubblicazione dei suoi numerosi scritti. Per citare le opere più rilevanti: le due edizioni, del 1905 e del 1915, dell’elogio funebre in onore di Mélanie Calvat, la veggente de La Salette; la raccolta dei suoi versi “Fede e poesia”, del 1922; e le diverse edizioni, a partire dal 1901, del libro “Preziose adesioni di Eccell.mi Monsignori Vescovi ed Arcivescovi e di Eminentissimi Cardinali... all’Istituto della Rogazione Evangelica e a quello delle Figlie del Divino Zelo” che raccoglie le lettere di adesione di cardinali, vescovi e superiori generali di istituti religiosi alla Sacra Alleanza. Nella prefazione lo stesso Padre Annibale descrive l’origine delle sue due congregazioni religiose, lo scopo che si prefiggevano e la natura del carisma della preghiera e l’azione a favore delle vocazioni[107].

Annibale Di Francia fu dunque un uomo colto, non un erudito tout-court, o un uomo da tavolino – riprendendo l’espressione di Teodoro Tusino,[108] – perché fu soprattutto un uomo di azione, dedicato totalmente alla sua missione:

Soleva dire: “Avrei voluto dedicarmi allo studio della Sacra Scrittura, ma i poveri bambini con le loro cure mi hanno oppresso”[109].

 

Dello stesso tenore è quanto scrive nel 1921 nell’introduzione al libro “Fede e poesia” che raccoglie un’antologia dei suoi versi e composizioni poetiche:

L’essermi modestamente poi dedicato alle opere di beneficenza per gli orfani derelitti e pei poveri, mi tolse non poco tempo agli studi letterarii[110].

 

Tuttavia, nonostante il comprensibile rammarico, la sua missione tra i piccoli e i poveri non lo ha impoverito spiritualmente e umanamente. Annibale Di Francia fu un uomo colto sebbene uomo di azione e, viceversa, perché cosciente dell’importanza della cultura per creare un mondo più giusto e umano fu uomo di azione perché uomo colto. Fu un “uomo di azione colto” quindi, perché la sua intelligenza, sapienza e sensibilità artistica hanno “informato” la sua azione, facendo sì che l’amore sia intelligente e il bene sia fatto bene.  

 

In Annibale Di Francia – scrive Vito Magno – la cultura non fu qualcosa di aggiunto, una qualità in più. Fu il suo modo di essere completamente se stesso e pienamente uomo e santo. Più volte nei suoi scritti, con sensibilità moderna, egli ripete l’assioma secondo il quale non può esservi disaccordo tra ragione e fede, tra virtù umane e virtù soprannaturali. Questa capacità di sentire e soprattutto di vivere l’interazione tra scienza e fede dà alla sua cultura il senso e l’ambito di una vocazione e di una missione. Preparazione umanistica, senso estetico, ricchezza espressiva consentirono alla sua cultura di farsi esemplare e, perciò, di tradursi in messaggio[111].


 

[1] V. LILLA, Il canonico Annibale M. Di Francia e la sua Opera di beneficenza, Roma, Ed. Curia Generalizia dei Rogazionisti, [2010], (Collana «Padre Annibale, oggi», n. 34 n.s.), pp. 20; 22 - 23

[2] Preziose Adesioni (1919), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 50, p. 188.

[3] F. VITALE, Il canonico Annibale Maria Di Francia nella vita e nelle opere, Messina, Ed. Scuola Tipografica Antoniana, 1939, p. 129. Padre Ludovico da Casoria, Francescano alcantarino, al secolo Arcangelo Palmentieri, nato a Casoria nel 1814 e morto a Napoli nel 1885, fu amico e confidente del Di Francia: i suoi preziosi consigli lo instradarono nell’avvio dell’opera a Messina.

[4] Prefazione alle Preziose Adesioni (1901), in DI FRANCIA, Scritti, p. 170.

[5] Vangelo di Matteo capitolo 9, 37 - 38; Vangelo di Luca capitolo 10, 2.

[6] Lettera al papa Pio X  (11 luglio 1909), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 58, p. 180.

[7] Oggi denominata “Unione di preghiera per le vocazioni”.

[8] DI FRANCIA, Scritti, vol. 61, p. 174.

[9] A. M. DI FRANCIA, Le quaranta dichiarazioni, Roma, Ed. Curia generalizia dei Rogazionisti, 1982, p. 59.

[10] DI FRANCIA, Scritti, vol. 2, p. 144.

[11] DI FRANCIA, Scritti, vol. 43, p. 157 – 158.

[12] PAOLO VI, Esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi (1975), n. 73.

[13] GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Christifideles Laici (1988), n. 45. Per tutto l’argomento cfr. C. QUARANTA, Annibale Di Francia antesignano nell’opera delle vocazioni, in AA.VV., Annibale Di Francia. La Chiesa e la povertà, Roma, Ed. Studium, [1992], pp. 29 - 61.

[14] Per le Costituzioni dei Rogazionisti (22 marzo 1906), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5,  p. 373.

[15] Per le Costituzioni dei Rogazionisti (22 marzo 1906), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5,  p. 373. Padre Annibale qui cita la celebre frase di San Gregorio Nazianzeno, Oratio II (Apologetica), n. 16 (cfr. J. P. MIGNE,  Patrologiæ cursus completus, series greca, Parigi 1857 - 1866, vol. 35, p. 426).

[16] Trattato degli Orfanotrofi (23 gennaio 1926), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 657. La citazione è di San Giovanni Crisostomo, Omelia sul cap. 18 del Vangelo di Matteo. Il testo completo della frase del Crisostomo è: «Quid maius quam animis moderari, quam adulescentulorum fíngere mores?» (cfr. J. P. MIGNE,  Patrologiæ cursus completus, series greca, Parigi 1857 - 1866, vol. 58, pp. 583 - 588).

[17] Per le Costituzioni dei Rogazionisti (22 marzo 1906), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, p. 373.

[18] Lettera al Sindaco di Oria (29 ottobre 1910), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 41, p. 60.

[19] DI FRANCIA, Scritti, vol. 1, pp. 239 - 240.

[20] Cfr. C. DRAGO, Il Padre. Frammenti di vita quotidiana, Roma, Ed. Rogate, [1995], p. 453, Cfr. anche T. Loviglio, Annibale Di Francia educatore, Roma, Figlie del Divino Zelo ed., [1975], p. 29.

[21] Cfr. DRAGO, Il Padre…, pp. 188 e 452; VITALE, Il canonico…, p. 20; A. CURATOLA, L’educatore voluto dal P. Annibale Di Francia ed esigito dai nostri tempi, in AA.VV., «Atti del Convegno delle Comunità Educatrici dei Padri Rogazionisti e delle Suore Figlie del Divino Zelo. Messina 2 -5 gennaio 1977», [Grottaferrata], Ed. Studentato Teologico dei Padri Rogazionisti, [1977], p. 112. Al capitolo 3 si tornerà a parlare ancora del pedagogista svizzero e del suo pensiero sulla formazione professionale.

[22] A. M. DI FRANCIA, Il nuovo Orfanotrofio Infantile di S. Antonio, in «Dio e il Prossimo», XVIII 1925, n. 6, p. 11.

[23] Cfr. DI FRANCIA, Scritti, vol. 44, pp. 4 – 9.

[24] P. CIFUNI, Annibale Maria Di Francia educatore (Tesi di laurea), Università degli studi di Messina. Facoltà di Magistero, Messina 1974, pp. 112 – 115.

[25] DI FRANCIA, Scritti, vol. 37, pp. 26 – 27.

[26] DI FRANCIA, Scritti, vol. 57, p. 106.

[27] Cfr. CURATOLA, L’educatore voluto dal P. Annibale Di Francia ed esigito dai nostri tempi, pp. 113 – 114.

[28] Cfr. CURATOLA, L’educatore voluto dal P. Annibale Di Francia ed esigito dai nostri tempi, pp. 114 - 115.

[29] G. B. LEMOYNE – A. AMADEI – E. CERIA, Memorie biografiche di San Giovanni Bosco, Torino, Ed. SEI, 1898 – 1948, vol. 13, pp. 918 – 923; Cfr. L. CIAN, Il “sistema preventivo” di Don Bosco e i lineamenti caratteristici del suo stile, Leumann, Ed. Elle Di Ci, 1985, pp. 40 – 44.

[30] Don Bosco stesso lo riconosce come uno dei “sistemi in ogni tempo usati per la educazione della gioventù”: tuttavia nessuno come lui ha saputo applicarlo e diffonderlo con tanta coerenza e efficacia. Cfr. P. BRAIDO, Il sistema educativo di don Bosco, Ed. SEI, Torino, 1971, p. 34.

[31] Per tutto l’argomento cfr. A. PEDRINI, Don Bosco e il Beato Annibale M. Di Francia. Le vocazioni un problema urgente, d’attualità, in «Studi rogazionisti», XII 1991, n. 33, pp. 14 – 24; T. TUSINO, L’anima del Padre. Testimonianze, Roma, Ed. Curia generalizia dei Rogazionisti, [1973], p. 631 – 634; V. SANTARELLA, , Principi generali di pedagogia rogazionista, Roma, ed. privata, 1974, pp. 133 – 158; DRAGO, Il Padre…, pp. 119 – 120.

[32] DI FRANCIA, Scritti, vol. 57, p. 180.

[33] DI FRANCIA, Scritti, vol. 2, p. 164.

[34] DI FRANCIA, Scritti, vol. 1, p. 245.

[35] DI FRANCIA, Scritti, vol. 2, p. 91.

[36] DI FRANCIA, Scritti, vol. 3, p. 111.

[37] DI FRANCIA, Scritti, vol. 1, p. 260.

[38] DI FRANCIA, Scritti, vol. 3, p. 112.

[39] DRAGO, Il Padre…, p. 112.

[40] DRAGO, Il Padre…, p. 77 – 78; cfr. anche p. 110.

[41] CIAN, Il “sistema preventivo” di Don Bosco…, p. 39.

[42] DRAGO, Il Padre…, pp. 111 – 112.

[43] Scrive in proposito Rosario Esposito:“L'opera per i Figli dei carcerati, l'antropologia che la sottende e tutta la pedagogia riabilitativa, contrapposta alla Scuola Positivistica di Lombroso e Ferri segnano il fatto saliente dell'azione sociale e della figura di Bartolo Longo(…). Certamente però ha utilizzato i suoi studi di legge e la sua competenza di avvocato anche e soprattutto nell'attività di antropologo criminale; non v'è dubbio che gli studi di diritto penale ed in genere le sue conoscenze giuridiche abbiano costituito la base per vagliare e conoscere e polemizzare con il Lombroso e con il Ferri”. R. F. ESPOSITO, Bartolo Longo e la cultura laicista, in AA. VV., Bartolo Longo e il suo tempo. Atti del convegno storico…, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1983, vol. 1, p. 290.

[44] Cfr. C. LOMBROSO, L’uomo delinquente studiato in rapporto all’antropologia, alla medicina legale ed alle discipline carcerarie, Bologna, Ed. Il Mulino, 2012, p. 448 (Collana «XX secolo. Collana di storiografia e storia del pensiero politico»). La prima edizione del libro risale al 1876.

[45] TUSINO, L’anima del Padre…, p. 602; DRAGO, Il Padre…, pp. 228 – 229.

[46] DRAGO, Il Padre…, p. 111.

[47] DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. VI, pp. 644 – 695.

[48] Norme per la sorveglianza delle Orfanelle (1908), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, p. 528.

[49] Regolamento del Prefetto degli Artigianelli (1906), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, p. 393.

[50] Cfr. Regolamento delle Suore preposte per la Direzione degli Orfanotrofi (1892), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, p. 160.

[51] Cfr. Regolamento delle Suore preposte per la Direzione degli Orfanotrofi (1892), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, pp. 160 - 164; Norme per la sorveglianza delle Orfanelle (1908), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, pp. 528 - 531.

[52] Cfr. Regolamento delle Suore preposte per la Direzione degli Orfanotrofi, (1892) in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, p. 161.

[53] Cfr. Regolamento delle Suore preposte per la Direzione degli Orfanotrofi, (1892) in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, p. 161.

[54] Cfr. TUSINO, L’Anima del Padre…, p. 606.

[55] Regolamento del Prefetto degli Artigianelli (1906), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, p. 339.

[56] Trattato degli Orfanotrofi (1926), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 676.

[57] Cfr. Regolamento per le Suore educatrici (1902), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, pp. 280 - 284; Trattato degli Orfanotrofi (1926), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 6, p. 644 - 695.

[58] Per il Prefetto di disciplina (1906), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, pp. 391 - 403; cfr. Per le Costituzioni dei Rogazionisti (1906), in DI FRANCIA, Scritti (2005 – 2011), vol. 5, pp. 347 - 373.

[59] DI FRANCIA, Scritti, vol. 44, pp. 2 - 9.

[60] Per tutto l’argomento si confrontino gli articoli e le pubblicazioni di Mario Germinario riportati in bibliografia ed in particolare M. GERMINARIO, Fondazione di una pedagogia rogazionista, in «Studi rogazionisti», XXVIII 2007, n. 94, pp. 60 – 69; e M. GERMINARIO, L'uomo: proiezione del caso o progetto – vocazione di Dio? Fondazione di una pedagogia “progetto – vocazionale”, Bari, Ed. Florestano, 20132, 100 p.; cfr. anche Borraccino giuseppe, Fisionomia educativa e pedagogica di Annibale Maria Di Francia, in «Studi rogazionisti», I 1980, n. 2, pp. 32 – 34.

[61] Cfr. D. PALAZZO, Incidenza sociale dell'opera di Annibale M. Di Francia, in AA.VV., Annibale Maria Di Francia, momento, opera e figura, Bari, Ed. Favia, 1978, p. 61. Per l’argomento si rimanda agli studi storiografici riportati nella bibliografia ed in particolare, oltre al citato studio di Donato Palazzo, G. BORRACCINO, Azione religiosa e sociale del Cardinale Dusmet e di Annibale Di Francia (Tesi di laurea), Roma, Università degli studi di Roma. Facoltà di Lettere e Filosofia, 1969, 270 p.; P. BORZOMATI, Annibale Di Francia nella Chiesa e nella società meridionale, in AA.VV., Annibale Di Francia. La Chiesa e la povertà, Roma, Ed. Studium, [1992], pp. 115 - 126; A. SINDONI, Annibale Di Francia e la Chiesa di Messina,  in AA.VV., Annibale Di Francia. La Chiesa e la povertà, Roma, Ed. Studium, [1992], pp. 127 - 150; Positio, vol. 1, pp. 26 - 35.

[62] Di FRANCIA, Scritti, vol. 56, p. 2.

[63] Cfr. Lettera a Sua Santità Papa Benedetto XV (24 dicembre 1921), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 28, p. 14.

[64] DI FRANCIA, Scritti, vol. 58, p. 194. Nel 1922 il Di Francia lasciò ai suoi figli questo autoelogio funebre, perchè evitassero di fare o scrivere per lui elogi nei quali – diceva – spesso si esagera. L’intero testo riflette una profonda umiltà e una scarsa considerazione di sé, ma, in alcuni passaggi, emerge una straordinaria verità che egli non poteva assolutamente negare.

[65] DI FRANCIA, Le quaranta dichiarazioni, pp. 13 - 14.

[66] Cfr. VITALE, Il canonico…,  p. 628.

[67] DI FRANCIA, Scritti, vol. 50, pp. 56 – 57.

[68] DI FRANCIA, Scritti, vol. 50, pp. 14 – 17.

[69] Con il suo pensiero e la sua azione sociale Annibale Di Francia anticipa e mette in pratica la Rerum Novarum di Papa Leone XIII. Cfr. N. C. CORDUANO, La sua opera sociale fra due encicliche, Roma, Ed. Curia Generalizia dei Rogazionisti, 1990, 40 p., (Collana «Padre Annibale, oggi», n. 18).

[70] Vangelo di Matteo, capitolo 25, 40.

[71] VITALE, Il canonico…, pp. 708 - 709.

[72] Positio, vol. 1, p. 184.

[73] Lettera a Tommaso Cannizzaro (6 gennaio 1916) in A. M. DI FRANCIA, Lettere del Padre per i Rogazionisti del Cuore di Gesù e le Figlie del Divino Zelo, [ Padova ], Ed. Officine Grafiche Erredici, [ 1965 ], vol. 2,  pp. 62 - 63.

[74] Positio, vol. 2, p. 288.

[75] DI FRANCIA, Scritti, vol. 58, p. 194; cfr. VITALE, Il canonico…, p. 759.

[76] Per tutta questa sezione cfr. V. MAGNO, Uomo di profonda cultura, Roma, Ed. Curia generalizia dei Rogazionisti, 1988, 36 p. (Collana «Padre Annibale, oggi», n. 12); M. GERMINARIO, Provocatore della cultura, Roma, Ed. Curia generalizia dei Rogazionisti, 1988, 36 p. (Collana «Padre Annibale, oggi», n. 12 n.s.); G. MERENDA, Editore, giornalista, scrittore, Roma, Ed. Curia generalizia dei Rogazionisti, 2007, 48 p. (Collana «Padre Annibale, oggi», n. 22 n.s.); A. SARDONE, Un comunicatore originale, Roma, Ed. Curia generalizia dei Rogazionisti, 2007, 48 p. (Collana «Padre Annibale, oggi», n. 25 n.s.).

[77] Catara – Lettieri fu amico e discepolo di Pasquale Galluppi. Il filosofo, nato a Tropea nel 1770 e morto a Napoli nel 1846, ebbe il merito di far conoscere in Italia la filosofia di Kant.

[78] T. TUSINO, Padre Annibale Maria Di Francia. Memorie Biografiche, Roma, Ed. Rogate, [1995], vol. 1, p. 79.

[79] Cfr. VITALE, Il canonico…, p. 21.

[80] Achille Majeroni, attore e doppiatore, nato a Siracusa nel 1881 e morto a Roma nel 1964.

[81] VITALE, Il canonico…, p. 30.

[82] T. TUSINO, Non disse mai no. P. Annibale Maria Di Francia,  [Roma], Ed. Paoline [1967] 2 ed., pp. 27 – 30, (Collana «Biografie di contemporanei», n. 44).

[83] Cfr. TUSINO, L’Anima del Padre…, pp. 50 – 55; V. MAGNO, Annibale Di Francia, predicatore di ritiri e di esercizi spirituali, in «Sudi rogazionisti», XII 1992, n. 33, pp. 25 – 28.

[84] Cfr. VITALE, Il canonico… p. 54.

[85] Abbiamo già accennato al discorso di occasione tenuto qui dal giovane maestro Annibale, la domenica 8 gennaio 1871, nella festa annuale di premiazione degli studenti. Cfr. TUSINO, Memorie biografiche…, vol. 1, pp. 206 - 207; VITALE, Il canonico… p. 54.

[86] Cfr. VITALE, Il canonico…p. 54.

[87] A. M. DI FRANCIA, Fede e poesia. Versi, Oria, Ed. Tipografia Antoniana dell’Orfanotrofio Maschile del Canonico A. M. Di Francia, 1926, p. VII

[88] A. M. DI FRANCIA, Gl’Inni del  1° Luglio, Messina, Ed. Scuola Tipografica Antoniana, 1940, 512 p.; Cfr. TUSINO, Non disse mai no, pp. 145 – 155; L. FAVA GUZZETTA, L’opera letteraria, in AA.VV., Annibale Di Francia. La Chiesa e la povertà, Roma, Ed. Studium, [1992], pp. 105 – 114; A. M. ANDRIANI, L’esperienza in versi di P. Annibale M. Di Francia, in AA.VV., Annibale M. Di Francia. Momento, opera, figura. Atti delle giornate di studi, Oria 15 – 16 ottobre 1977, Bari, Ed. Arti grafiche Favia, 1979, pp. 267 – 282; L. R. ROSANO, La sua poesia: un cammino di luce e di fede, Roma, Ed. Curia generalizia dei Rogazionisti, 1989, 32 p. (Collana «Padre Annibale, oggi», n. 16)

[89] GERMINARIO, Provocatore della cultura, p. 13.

[90] Cfr. TUSINO, Anima del Padre, pp. 47 – 49; G. DE VIRGILIO, Appassionato della Sacra Scrittura, Roma, Ed. Curia Generalizia dei Rogazionisti, [2008], 48 p. (Collana «Padre Annibale, oggi», n. 27 n.s.); T. PEGORARO, Il pane quotidiano della Parola di Dio, Roma, Ed. Curia Generalizia dei Rogazionisti, [2008], 48 p. (Collana «Padre Annibale, oggi», n. 30 n.s.).

[91] VITALE, Il canonico…p. 539

[92] DI FRANCIA, Scritti, vol. 1, p. 90.

[93] Cfr. TUSINO, Anima del Padre, p. 47; SANTARELLA, Principi generali di pedagogia…, pp. 327 – 328.

[94] Pietro Paolo Parzanése, sacerdote, poeta, scrittore e traduttore, nato ad Ariano di Puglia nel 1809 e morto a Napoli nel 1852.

[95] Positio, vol. 1, p. 30.

[96] Cfr. F. CAMPANALE, Annibale Di Francia giornalista, in «Rogate ergo», XL 1977, n. 12, pp. 21-26; M. RECUPERO, Collaboratore e direttore de “La Parola Cattolica”, Roma, Ed. Curia Generalizia dei Rogazionisti, [2008], 48 p. (Collana «Padre Annibale, oggi», n. 27 n.s.); V. MAGNO, Uomo di comunicazione, Roma, Ed. Curia Generalizia dei Rogazionisti, [2002], 32 p. (Collana «Padre Annibale, oggi», n. 3 n.s.).

[97] DI FRANCIA, Scritti, vol. 41, p. 82.

[98] SARDONE, Un comunicatore originale, p. 26.

[99] DI FRANCIA, Scritti, vol. 41, pp. 82 – 83.

[100] GERMINARIO, Provocatore della cultura, pp. 13 e 36.

[101] Cfr. MAGNO, Uomo di comunicazione, p. 16.

[102] VITALE, Il canonico…, p. 139.

[103] Cfr. VITALE, Il canonico…, p. 156 – 157.

[104] Cfr. SARDONE, Un comunicatore originale, pp. 26 - 32.

[105] A. M. DI FRANCIA ed., Un tesoro nascosto ovvero Scritti inediti di S. Veronica Giuliani, Vol. I, Messina, Ed. Tipografia dell'Avvenire, 1891. Cfr. VITALE, Il canonico…, pp. 217 – 219.

[106] Cfr. Positio, vol. 2, p. 714 – 720; R. PIGNATELLI, Apostolo del Divino Volere, Roma, Ed. Curia generalizia dei Rogazionisti, 2008, 48 p., (Collana «Padre Annibale, oggi», n. 26 n.s.).

[107] La bibliografia completa delle opere pubblicate del Di Francia conta 138 titoli: cfr. Positio, vol. 2, pp. 1205 – 1242; sono invece 32 le pubblicazioni di cui è stato il curatore: cfr. Positio, vol. 2, pp. 1242 – 1252.

[108] TUSINO, Non disse mai no, p. 30. Padre Teodoro Tusino fu uno dei primi discepoli e collaboratori di Padre Annibale e suo biografo. Nacque a Casalnuovo Monterotaro (Foggia) nel 1899 e morì a Roma nel 1980.

[109] VITALE, Il canonico…, p. 539. Cfr. anche Lettera a P. Francesco Vitale (8 ottobre 1923), in DI FRANCIA, Scritti, vol. 33, p. 57, in cui definisce “superficiale” la propria preparazione in Storia ecclesiastica, essendosi «troppo presto dedicato alle opere di beneficenza».

[110] A. M. DI FRANCIA, Fede e poesia. Versi, Oria, Ed. Tipografia Antoniana dell’Orfanotrofio Maschile del Canonico A. M. Di Francia, 1926, p. VII.

[111] MAGNO, Un uomo di profonda cultura, pp. 21 – 22.

 

 

 

 

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Ultimo aggiornamento: 27-05-17