Don
Vincenzo Lilla (1837 - 1905)
Il Padre lo stimò «dottissimo uomo, autore d’insigni opere
filosofiche».
Nel 1902 scrisse il primo libro che parlava di
Padre Annibale e della sua opera di promozione umana.
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Nacque a Francavilla Fontana il 13 Giugno 1837. Frequentò il ginnasio
– liceo retto dagli Scolopi e fu alunno del Seminario diocesano di Oria.
Le sue idee liberali e “giobertiane” lo posero in contrasto col Vescovo
di Oria, Mons. Luigi Margarita (1800 - 1887), filo-borbonico. Per questo
motivo e per perfezionare ed approfondire gli studi filosofici nel 1863
si recò a Napoli. In quella università frequentò le lezioni di Bertrando
Spaventa, Augusto Vera, Francesco De Sanctis e Luigi Settembrini, pur
mantenendo indipendente il suo giudizio. Ordinato sacerdote, dopo aver
insegnato in diversi licei della Città, nel 1876, fu nominato docente di
Filosofia del Diritto ed enciclopedia giuridica a Napoli ove insegnò
fino al 1886, quando ottenne la stessa cattedra nella Regia Università
di Messina.
Ingegno poderoso, lasciò svariati volumi tra cui: Filosofia del
diritto (1880); Critica della dottrina etico-giuridica di John
Stuart Mill (1889); Le supreme dottrine filosofiche e giuridiche
di Giovan Battista Vico rivendicate (1894); Manuale di filosofia
del diritto (1903). Studiò a fondo il beato Antonio Rosmini, fu
citato e lodato più volte da Niccolò Tommaseo ed Antonio Fogazzaro disse
di lui che “salì sui più perigliosi vertici della più alta speculazione
metafisica”. Il libro Saggi di Sacra eloquenza racchiude le sue omelie
di fine e apprezzato predicatore.
Fu amico e grande ammiratore di Padre Annibale e della sua opera. Lo
aveva conosciuto nel presentargli una ragazza orfana che fu accolta
all’Istituto “Spirito Santo”. Ne era rimasto ammirato e volle che tutta
la città conoscesse meglio l’opera nascosta di Padre Annibale. Per
questo motivo scrisse e pubblicò nel 1902 un opuscolo elogiativo, il
primo che appariva sull’argomento: «Il Canonico Annibale M. Di
Francia e la sua Pia Opera di Beneficenza». Fu lui a definire il
Quartiere Avignone, il più misero sobborgo di Messina, un “pezzo di
terra maledetta”: «In uno dei luoghi estremi
della città di Messina, vi era un mucchio di case dirute, quasi topaie.
Oh, di quanto inferiori al giaciglio delle bestie! E sembra che il luogo
dove dimorano le bestie potrebbe essere invidiato da coloro che vi
abitavano, cioè, da quelle luride donne, che facevano mercato della loro
coscienza e del loro corpo. In quel pezzo di terra, direi quasi,
maledetta, da cui era bandito ogni principio di morale e di religione,
vi erano connubi inverecondi, non erano rispettate le leggi del pudore,
e questi infami accoppiamenti fra parenti stessi, violavano i diritti di
sangue. La lussuria, l’oscenità, si presentavano nella più turpe, nella
più mostruosa ed infame forma. Era uno stato di vera barbarie; non
coltura, non coscienza dell’umana dignità, ed anche il fioco lume del
buon senso, si era spento in quelle coscienze deturpate. Era insomma
quel luogo abitato da un branco di bestie; perché l’uomo non dominato
dalla retta ragione, e dal lume della fede, è da meno di una bestia,
poiché la bestia ha l’istinto che tiene luogo di alta ragione…».
L’opuscolo del professore Vincenzo Lilla giovò non poco alla causa
del Padre, sia perché il ricavato dalla vendita fu versato a suo
beneficio, sia perché il nome dell’Autore dissipò nella mente di tanti
messinesi i pregiudizi che si erano andati accumulando sull’Opera del
Padre ed egli ne fu immensamente grato. L’umanità sofferente commuoveva
sinceramente il Lilla, che sognava una sapiente legislazione atta a
spegnere il dissidio tra le classi e ad affratellare l’umanità nel
lavoro. Nelle parole di ringraziamento pronunziate in risposta alle
onoranze tributategli nella città natale nel 1903 il professor Lilla
disse: «Spenti gli affetti di famiglia, tutto il
mio cuore, il mio amore e tutti i miei affetti sono rivolti a te, mia
diletta patria, e vorrei concorrere con tutte le mie forze fisiche e
morali al tuo miglioramento, ma lo farò per quanto le mie condizioni
economiche me lo consentiranno. Cercherò menomare almeno i più gravi
mali che ti affliggono. Non tutte le calamità che funestano l’umana
famiglia si possono rimuovere, e di tal natura sono quelle derivanti da
imperfezioni dell’organismo corporeo. Ma il peggiore di essi è la
cecità. E chi potrebbe descrivere l’immensa copia dei mali di cui è
circondata la cecità, specialmente quando a questa sventura si accoppia
la miseria! Dico il vero: è una condizione che ingiuria Dio ed offende
l’uomo. Il cieco mendico è incapace a tutto; egli sente veramente il
peso della propria esistenza... L’amore non suggellato dai sacrifici è
maschera di egoismo, ed il mio amore a questa classe infelice è
accompagnato dal più grande sacrificio. Io darei tutto me stesso; ma
darò cosa più cara di me, la casa dove nacqui, che racchiude le più
belle memorie della mia vita, i trastulli dell’infanzia, le veglie
durate per lo studio, le meste rimembranze delle perdite dei miei cari,
i dolci ricordi della mia adorata madre, quando mi parlava di Dio e mi
inoculava nell’anima i sentimenti più delicati di religione. O care
memorie di mia vita, io con dolore non vivrò più in mezzo a voi, ma
rimarrete indelebilmente nel mio cuore come suggellate da ferro rovente.
Voglio però che lì vivano ed abbiano quieta dimora i poveri ciechi. Gli
adoratori del vitello d’oro invano cercano di trovare il sommo bene
nelle accumulate ricchezze. Insani, non sanno che il miglior godimento,
che può trarsi dalla ricchezza, si ha quando si destina al sollievo dei
miseri!».
Nel suo testamento olografo Vincenzo Lilla mantenne la sua promessa,
lasciando non solo la casa ma la quasi totalità del suo cospicuo
patrimonio alla Congregazione di carità di Francavilla perché servisse a
far sorgere nella sua casa avita un ospizio per ciechi poveri. Purtroppo
la sua volontà non fu realizzata.
Don Vincenzo Lilla morì a Messina il 29 Novembre 1905 assistito dallo
stesso Padre Annibale che volle celebrare solennemente le sue esequie
nella chiesa dello Spirito Santo. L’elogio funebre fu tenuto da Padre
Pantaleone Palma, suo ex discepolo.
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