1. La mia vocazione…
“La mia vocazione ha avuto tre qualità: Fu improvvisa: per quanto io
amassi la vita devota, in quei tempi di massoneria e di liberalismo
imperanti, pure non pensavo alla carriera ecclesiastica; di colpo il
Signore mi mandò la sua luce. Fu irresistibile: sentivo che non potevo
sottrarmi all’azione della grazia; dovevo assolutamente cedere. Fu
sicurissima: dopo quel lume io fui assolutamente certo che Dio mi
chiamava, non potevo più minimamente dubitare che il Signore mi voleva
per quella via”.
Uno di quegli incontri che ti cambiano la vita… Verso la fine del
1877, P. Annibale, ancora diacono passa per un vicolo periferico della
città di Messina, quando s’imbatte in un povero e cieco, che gemendo
chiede l’elemosina ai passanti. - Dove Abiti! – gli chiede. - Alle Case
Avignone. - Sai le cose di Dio? - E chi me le insegna? - Dove sono
queste case Avignone? - Verso la Zaèra. - Verrò a trovarti - e lascia
scivolare nella mano del mendicante una moneta.
Quell’incontro sarà decisivo per la sua vita e per il suo ministero
sacerdotale.
“In un remoto angolo della Città di Messina, esisteva da molti anni
un quadrilatero di un centinaio di catapecchie a pian terreno, senza
fabbriche superiori, le quali venivano date in affitto, mediante
pagamento giornaliero, ai poveri più miseri e abbandonati. In questo
modo si erano qui raccolti un buon numero di mendicanti, uomini e donne,
grandi e piccoli, nel massimo scompiglio, disordine e squallore. Quel
luogo, detto Quartiere Avignone, era divenuto obbrobrioso per tutta la
Città.”
“Vidi e baciai il volto di nostro Signore…”
“…un giorno andavo verso casa, nei primi tempi anzi nei primi giorni
che cominciavo l’Opera. Quando mi incontro in un gruppo di persone che
facevano circolo attorno a qualche cosa: era un ragazzo scemo, tutto
lurido, con le labbra piene di bava e le vesti a brandelli e sudicio; e
quella gente ne faceva uno spettacolo. Io n’ebbi pietà, presi quel
ragazzo per mano, lo condussi con me a casa, così quella genti si
sbandò. Giunto a casa, io ero solo con lui, perché nessuno dei miei
c’era dentro. Lo presi, lo ripulii, gli detti da mangiare e lo misi a
letto. Poi, considerando in quel poveretto Nostro Signore, secondo la
sua divina parola, mi accostai per baciare, intendendo baciare Gesù. In
quel momento sparì dai miei occhi quel ragazzo scemo: io vidi coricato
Nostro Signore Gesù Cristo, vidi il volto di Nostro Signore Gesù Cristo
con sguardo reale, penetrante, che mi colpì, m’intenerì: baciai e
ribaciai il volto di Nostro Signore Gesù. Era forse una visione
d’intelligenza. “Poi tutto tornò allo stato di prima. Lo provvidi di
tutto e lo rimandai. Da quel momento io ebbi un trasporto maggiore per i
poveri. Quel ragazzo fu messo in un ospizio, poi non ho saputo più
nulla”.
2. Una Parola di Gesù, il Carisma, dono dello Spirito alla Chiesa, un
ideale di vita... La preghiera e l’azione per le vocazioni
“Un giovane, all'inizio della sua vita spirituale e quando ancora
nulla conosceva di quelle divine parole di Cristo: "Rogate ergo Dominum
messis... " (Pregate il Padrone della messe perché mandi gli operai
nella sua messe…) registrate nel santo Vangelo, ebbe in mente questo
pensiero dominante, cioè che per operare il maggior bene nella Chiesa,
per salvare molte anime, per estendere il regno di Dio sulla terra,
nessun mezzo fosse tanto sicuro quanto l'accrescersi di eletti ministri
di Dio, di uomini santi, apostolici, secondo il Cuore di Gesù e che
quindi ottima e proficua preghiera da preferirsi sarebbe quella di
chiedere al Cuore di Gesù, che mandi sulla terra uomini santi e
sacerdoti eletti, come ai tempi di san Domenico e di san Francesco...
Questa idea gli pareva molto chiara e indiscutibile. Il detto giovane in
seguito restò sorpreso e compenetrato nel leggere nel santo Vangelo
quelle divine parole: "La messe è molta ma gli operai sono pochi:
pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai nella sua
messe”.
”Vi era da riflettere: che cosa sono questi pochi orfani che si
salvano, e questi pochi poveri che si evangelizzano, dinanzi a milioni
che se ne perdono e che giacciono abbandonati come gregge senza pastore?
Consideravo la limitatezza delle mie forze, e la piccolissima cerchia
delle mie capacità, e cercavo un'uscita, e la trovavo ampia, immensa, in
quelle parole di Cristo: Pregate il padrone della messe... Allora mi
pareva di aver trovato il segreto di tutte le opere buone e della
salvezza di tutte le anime... ". "Eppure in venti secoli, questo gran
rimedio vuol parere a me che poco sia stato tenuto presente, poco o
nulla si sia usato, e la grande parola di Cristo è rimasta quasi sepolta
e inavvertita nelle pagine stesse del Vangelo. ... Si fanno preghiere
per la pioggia, per le buone annate, e per cento argomenti umani e si
tralascia di pregare il sommo Dio perché mandi buoni operai evangelici
alla mistica messe... ".
In questo “pregate – rogate” vi è un'esortazione e un comando
insieme. E' dovere di ogni cristiano obbedire a questo comando. Bisogna
che tutti preghiamo a questo fine, perché Gesù Cristo lo vuole... ".
"Il Signore volle istruirci che i suoi sacerdoti non sorgono a caso,
non si formano da se, non può formarli lo sforzo umano; ma vengono dalla
divina misericordia, che li crea, che li genera, che li dona al mondo; e
che se non si prega per averli, non si ottengono!". "Chiamiamo
infallibile il rimedio della preghiera, perché avendolo additato e
imposto nostro Signore, non può fallire; e se additò la preghiera a
questo scopo, vuol dire che vuole esaudirla, se no, non l'avrebbe
comandata". "Domandiamo perciò al Dio delle misericordie e della santità
falangi di uomini apostolici: egli non potrà negarceli; è impegnata la
sua parola!
3. La lettera agli amici
Nei suoi ultimi anni, per raggiungere magistrati, professori,
professionisti, intellettuali in genere che erano lontani da Dio, atei e
miscredenti, il Padre stampò un suo opuscolo teologico-morale-pastorale,
nel quale richiama tutti al supremo interesse dell’uomo, cioè la
salvezza dell’anima. Il titolo sa di accademico, ma è una viva
manifestazione del suo cuore: Lettera del canonico Annibale Maria Di
Francia ai suoi Amici e Signori, che egli ama come se stesso e il cui
benessere e felicità desidera e brama come di se medesimo. In questa
“lettera aperta”, P. Annibale, parla in maniera lineare e semplice di
Dio, di Gesù Cristo, della Chiesa, della nostra relazione con Dio,
dell’importanza della salvezza eterna e dei mezzi per raggiungerla: la
preghiera, la buona lettura, la devozione a Maria. Parla del rispetto
umano e dell’umiltà, che apre le porte alla grazia. Ricorda la
testimonianza di fede dei grandi del passato tra cui Dante, Giotto,
Colombo, Michelangelo, e dei contemporanei, Alessandro Volta, Silvio
Pellico e Manzoni chiudendo col famoso discorso tenuto da Giovanni Prati
al senato, citato per intero. È meraviglioso il passaggio in cui il
Padre spiega il motivo che l’ha indotto a scrivere: «Come sacerdote di
Gesù Cristo, fin da quando abbracciai questo sacro ministero, ho inteso
sempre un vivo affetto, che mi ha fatto desiderare il bene e la felicità
altrui come di me medesimo. Mi sembra di avere legame di una santa
amicizia con tutti sulla terra, siano della mia religione o di un’altra,
siano ricchi o poveri, signori ed operai, umile e misera gente o alta
aristocrazia. Ho veduto un mio fratello, un mio signore in ognuno, e ciò
che di meglio ho desiderato per me in questa vita e nell’altra, l’ho
desiderato ugualmente per tutti».
Così in un foglio che accompagna la lettera. Ci piace riportarne la
conclusione. Dopo aver spiegato quanto è facile l’osservanza della legge
di Dio e di quanta amarezza è cosparsa la via della perdizione, il Padre
si domanda: «Ed ora che altro mi resta da aggiungere?». «…una cosa
sola mi resta da fare, e la farò con tutto il cuore, cioè: pregare
giornalmente per Lei, mio carissimo..., e specialmente nella
celebrazione della S. Messa, quando tengo Gesù nelle mie mani. Sì, ho
pregato, pregherò per la sua eterna salvezza fino all’ultimo estremo
della mia vita. Quando l’affanno di morte mi affaticherà, intenderò che
quegli aneliti siano tante suppliche al Signore mio Gesù Cristo perché
la sua divina grazia la illumini, la commuova, e la guadagni [… ] Ma ciò
non basta. Quand’io sarò in cielo, nel seno del mio Creatore e divino
Redentore, come fermamente spero, io seguiterò a pregare […] ed io abbia
ad averla a compagno dell’eterna beatitudine!».
4. Io l’amo i miei bambini…
Parlare del Padre Annibale Maria Di Francia e non parlare del suo
amore per i piccoli, soprattutto i bambini orfani, poveri e abbandonati,
quando proprio da tutti è conosciuto principalmente come «Padre degli
orfani», è parlare di lui a metà. Togliergli, per così dire,
quest'aureola è rendere la sua figura incompleta. Il seguente brano
porta la nostra attenzione non solo sulla sua santità, ma passando dal
quel suo naturale estro poetico, spontaneamente, sui suoi figli
prediletti, i suoi bambini per i quali lavorò, lottò e soffrì, per i
quali conobbe mortificazioni, per i quali - stendendo la mano - fu
trattato da “importuno” e da “insano”. “Io l’amo i miei bambini” è il
testamento spirituale di Padre Annibale. È una consegna sempre
stringente e sempre attuale che tutti noi riceviamo dalle mani di questo
Padre dal grande cuore …
Io l’amo i miei bambini, ei per me sono Il più caro ideal della mia
vita. Li strappai dall’oblio, dall’abbandono, Spinto nel cor da una
speranza ardita.
Fiorellini d’Italia, appena nati Era aperto l’abisso a divorarli, Non
era sguardo d’occhi innamorati Che potesse un istante sol bearli.
Pargoletti dispersi in sul cammino, Senza amor, senza brio, senza
sorrisi. Ahimè, quale avvenir, quale destino Li avria nel torchio del
dolor conquisi!
Perle deterse le bambine mie, Le raccolsi dal loto ad una ad una,
Quasi conchiglie nel mezzo delle vie; Oggi avviate a più civil fortuna.
Mi chiaman Padre: sulle loro chiome Del ministro di Dio la man si
posa; Chiamano Madre, e a sì dolce nome Risponde del Signor la casta
sposa.
Perché non manchi a queste mense il pane Ho gelato, ho sudato… - Oh,
ecco intanto Quest’oggi il vitto, o figli miei, dimane Ci
penserà quel Dio che vi ama tanto!
Spesso ho battuto a ferree porte invano; Atroce è stata la
sentenza mia Via di qua l’importuno, egli è un insano; Sconti la pena della sua
follia! -
O miei bambini, un dì verrà che voi Saprete il mio martirio e l’amor
mio, Che più non ama il padre i nati suoi. Che per voi scongiurai gli
uomini e Dio!
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