Ecco, per
esempio, un viaggio che il Padre stesso ci descrive con delle
pennellate manzoniane: «Il giorno 29 gennaio del corrente anno
1909, tutti gli orfani del nostro Orfanotrofio Maschile Antoniano
accompagnati da noi sacerdoti e da alquanti fratelli assistenti e
metà delle orfanelle guidate dalle suore, si partì da Messina verso
le cinque. Si attraversarono le vie ingombrate da enormi macerie, e
si transitò in mezzo alle recenti baracche dei superstiti, i quali
guardavano commossi il rapido sfilare dei due orfanotrofi; e più
d'un ciglio s'inumidì vedendo che quegli orfanelli tanto amati in
Messina lasciavano anch'essi l'infelice città. L'allontanamento col
piroscafo fu mesto per tutti!». A Reggio il comando militare usò
tutte le cortesie agli orfanelli e alle orfanelle. Gli occhi di quei
bimbi che erano ancora pieni di immagini funeste, videro arrivare
invece cassette di biscotti, caramelle, latte sterilizzato. La gente
faceva a gara per aiutare i piccoli profughi.
Ecco il treno sulla linea Reggio - Taranto.
L'aria è mite, il paesaggio sfila con vedute di bellezza
inimitabile e i piccoli orfani si sentono sollevati dall'incubo in
cui hanno vissuto negli ultimi tempi. Le loro giovanissime
esistenze, già provate inizialmente dalla perdita dei genitori,
sopportano meglio la prova che hanno subito di recente. Il padre Di
Francia, vero padre, è fra loro, e ringrazia Dio per avere potuto
alleviare i suoi piccoli protetti.
Sono tutti lì, con i piccoli volti assiepati ai
finestrini. Vanno verso una casa nuova, verso una vita nuova; e per
dei bambini si sa che la novità è sempre la cosa più affascinante. A
un tratto un canto sboccia dai loro animi protesi verso l'avvenire,
un canto religioso e lieto, che rivela la giovinezza immortale dei
figli di Dio. Quando arrivano in vista di Francavilla il Padre dice:
“Salutiamo la Madonna della Fontana, Protettrice della città!”.
Messina, il Duomo dopo il
terremoto
Tutti dicono l'Ave Maria. Intanto il treno arriva
in stazione, e i nuovi ospiti vedono con stupore e commozione che
una vera folla li attende. Si è sparsa la voce che arrivano i
profughi da Messina, e la popolazione di Francavilla, dal cuore
generoso, vuol far loro onore! Sono dei piccoli profughi che
meritano omaggi gentili e parole affettuose. Gli uni e le altre non
mancano. Ecco gli operai e le loro consorti, ecco i signori e le
signore dell'aristocrazia; molti hanno le mani piene, e tutti
sorridono tra le lacrime. Ecco l'autorità, gli stendardi cittadini.
Francavilla si reputò fortunata di poter ospitare
gli orfani di Messina, e mise a loro disposizione metà dell'ex
convento delle Scuole Pie per i maschi, mentre una signora della
città cedette una sua casa alle bambine.
La stazione ferroviaria di
Francavilla Fontana
Restava da collocare l'altra metà delle orfane e
tutta la comunità delle suore. Circa sessanta persone erano rimaste
a Messina. Vi provvide la generosità del vescovo di Oria, Mons.
Antonio Di Tommaso, il quale destinò per loro gran parte del
monastero delle Benedettine, abitato da un piccolo numero di monache
che fecero volentieri posto alle nuove venute.
L'arrivo ad Oria avvenne il 20 Febbraio 1909.
Alla stazione, gremita di popolo, lo stesso mons. Di Tommaso
attendeva con tutte le autorità. Furono tributate accoglienze
commoventi, ed ognuno fece a gara per dimostrare la nobiltà generosa
di quella terra di Puglia. Non essendo ancora pronti i locali del
Monastero Benedettino, posto attiguo al castello di Oria, già
proprietà di San Carlo Borromeo, si provvide all'alloggio mettendo a
disposizione i grandi saloni dell'ospedale Martini retto dalle
Figlie della Carità, le quali, per circa un mese, prodigarono ogni
cura.
Oria, l'Ospedale Martini
La Domenica delle Palme le suore e le orfane
fecero processionalmente il loro ingresso nel monastero. Nella
chiesa attendevano il vescovo di Oria e tutti i notabili. Prima del
Te Deum e della Benedizione Eucaristica, il canonico Di
Francia pronunciò un discorso per ringraziare il Signore di aver
offerto, attraverso la generosità di nobili persone, una nuova e sì
grande prova della sua infinita, misericordiosa provvidenza.
Così gli Istituti, anziché essere distrutti,
prendevano posto in altre città, senza che tuttavia si rinunciasse
alla Casa Madre di Messina. Le vie della Provvidenza – misteriose e
sempre benefiche – aprivano nuovi sviluppi all'iniziativa del can.
Di Francia.
In quell'anno non mancarono soccorsi straordinari
poiché la catastrofe del terremoto aprì gli animi alla carità. E,
primo fra tutti, il Papa pensò alle due case di Oria inviando per
esse cospicue offerte a quel vescovo. Le offerte furono impiegate
per stabilire nell'orfanotrofio di San Benedetto l'industria dei
telai, che oltre ad impiegare nel lavoro giovani energie, ne rese
meno incerto l'avvenire.
Intanto il can. Di Francia riuscì ad acquistare
l'ex convento di San Pasquale situato all'estremità della città di
Oria. Era in pessimo stato; ma, appena eseguiti i più urgenti
restauri, vi furono raccolti i giovani di Francavilla nell'intento
di ripristinare la scuola di Avignone.
La prima cosa che il Di Francia fece ponendo
piede nei nuovi locali fu di collocare all'ingresso le immagini del
S. Cuore di Gesù e del Cuore dolcissimo di Maria eleggendoli a
Padroni della Casa e di quelli che ci avrebbero abitato sotto la
loro amorosa protezione.
Il 6 Ottobre di quello stesso anno i giovani di
Francavilla arrivarono a San Pasquale. Il can. Di Francia celebrò la
Messa per loro, e in un fervido discorso traboccante d'intenso amore
li esortò a ringraziare il Signore, e dispose che per tre giorni si
adorasse Gesù Sacramento venuto con loro ad abitare nella nuova casa
e si implorassero altre divine misericordie. Furono tre giorni di
Paradiso, diretti dalla parola suadente del Padre fondatore, il
quale illuminava i giovani sulle virtù del Sacerdote di Cristo. É
tanto l'entusiasmo e la fede suscitati che si giunse perfino a
trascurare i pasti presi via via, alla meglio. Ancor oggi le parole
di quei santi giorni sono la guida viva che anima la Congregazione.
Né mancarono i sacrifici. La prima sera i giovani
dovettero dormire in letti improvvisati ma il can. Di Francia
dormì sul pavimento.
Alla fine dei tre giorni di spirituale ed intenso
raccoglimento si volle fare una più solenne inaugurazione. Era
domenica, e la mattina il sagrestano dimenticò di stendere il
tappeto all'altare del Sacramento prima della S. Messa. Nessuno vi
fece caso. Se ne accorse il can. Di Francia in sagrestia, mentre la
piccola comunità già faceva colazione. E fu lui che incolpandosi di
negligenza nel culto del Signore, volle farne pubblica penitenza.
Così, per espiazione, s'impose di starsene in ginocchio in mezzo al
refettorio mentre la comunità mangiava. Con le mani incrociate sul
petto, gli occhi fissi a terra tutto umiliato per la sua grave
mancanza, dette esempio altissimo di umiltà e di zelo per la casa di
Dio.
Il can. Di Francia sapeva adattarsi a tutto nella
sua angelica semplicità. In quei primi giorni, mancando il cuoco, ne
fece le veci e servì lui stesso a tavola i suoi giovani.
Piccole cose, ma tali da illuminare una vita e
dare la misura di un'altezza di virtù davvero esemplare.